Ogni persona che incontro nel mio lavoro, sia che il contatto avvenga per un percorso improntato al rapporto con il cibo e i malesseri legati all’alimentazione, sia che arrivi consapevole di voler lavorare sulla sua storia e su dove questa l’ha portata, io ricevo un dono.
Nessuno che varchi la porta del mio studio se n’è mai andato senza lasciarmi una qualche forma di lezione. Nel confronto si cresce, si cambia e si sondano aspetti in cui ci si riconosce e altri da cui si differisce. Tra gli insegnamenti più grandi, quelli su cui mi trovo a riflettere in questi giorni, ci sono quelli legati all’immagine della donna nel nostro “modernissimo” 2020.
Una mia giovane paziente mi ha portato a conoscere una canzone uscita da poco e, dopo averla sentita velocemente con lei, sono tornata ad ascoltarla veramente per poter comprendere cosa potesse risuonarle e perché avesse deciso di parlarmene. Un verso della canzone recita così:
“Piacere mi chiamo Donna
Convivo col difetto e con la vergogna
Se giro con i tacchi e la gonna corta
Se sono troppo magra o troppo rotonda
Mi hanno chiamato secca e balena
Gridato in faccia e sussurrato alla schiena
Mi hanno dato della suora, della troia, della scema…”
E’ perfettamente chiaro che la violenza di genere non è esclusiva prerogativa del genere femminile, ma in questo articolo, mi vorrei concentrare su questo aspetto viste le recenti riflessioni. Il fine non è quello di andare a sondare un argomento così vasto e delicato che comprende leggi, tutela lavorativa e remunerazione di donne e uomini, quanto piuttosto quello di riflettere su quanta violenza ancora ci sia nei giudizi, nelle forme di pensiero che ci portiamo dentro e che arrivano prima, molto prima (e purtroppo in modo ancora più subdolo) della violenza fisica conclamata.
Davvero una ragazzina, una giovane donna che è adolescente oggi, sente di convivere ancora col difetto e la vergogna? Poi l’ho collegato ad altri mille racconti visti, sentiti e letti. Purtroppo sì, quante volte ancora soprattutto le donne si trovano a rendersi apprezzabili, consone, per essere amate? E ancora, è una difficoltà che si trova a fronteggiare una giovane e che va svanendo col tempo oppure è una sensazione che accompagna per tutta la vita?
Si impara mai ad essere amate solo per ciò che si è senza prodigarsi per rispondere a determinati canoni? Si è davvero libere di scegliere di dedicarsi alla carriera senza che altri si chiedano se non sia inopportuno togliere troppo tempo alla famiglia?
Si può davvero scegliere di avere figli giovanissime senza essere etichettate come delle “poco di buono sprovvedute”, di averli “tardi” perché si è atteso il proprio “momento giusto” o di non averli perché non fanno parte del proprio percorso di vita, senza essere per questo “meno donne”?
Si può davvero aspirare al successo economico e lavorativo senza far sentire nessuno minacciato o svilito e viceversa si può scegliere di dedicarsi ad occupazioni domestiche senza essere tacciate di mancanza di intraprendenza e modernità? Si può scegliere cosa indossare secondo la voglia e l’umore del momento senza essere etichettate come suore o svergognate? Si può trovare in altre donne, siano esse sorelle, amiche, mamme, figlie, colleghe o semplici conoscenti supporto o si deve fare tutto da sole perché la questione riguarda sempre qualcun’altra e non è un problema nostro?
Sicuramente sì, si può, ma non è così scontato e facile. Almeno non per tutte e in tutti i momenti.
Credo, però, che ogni volta che una donna viene attaccata per il semplice fatto di volersi esprimere e ogni volta che, in modo più o meno velato, le viene chiesto di essere un po’ meno di quel che desidera perdiamo un po’ tutte. Per la mia esperienza lavorativa, molte volte è proprio una donna che arriva a chiedere di essere seguita per poi andare a “curare” tutto il sistema coppia, famiglia, ecc… e lo fa perché ritiene di essere la colpevole o comunque la responsabile di tutto quello che non va bene attorno a lei.
Alle volte guardare la sofferenza che certe abitudini, certi stereotipi richiedono, le fa addirittura scappare. Fa desiderare ardentemente di tornare a “chiudere gli occhi” ed essere di nuovo “quelle brave e non dare problemi”.
Allora quella canzone, che non appartiene alla storia della musica da anni, che è stata scritta da due cantanti giovanissime, rappresenta ancora uno spaccato reale della vita delle donne: dalle ragazzine a quelle più adulte. Perciò alle donne che ho incontrato, che fanno parte della mia vita e con le quali lavoro, voglio dire:
“Con i capelli fuori posto
Senza vestiti belli addosso
Anche al buio c’è una luce che ti illumina
Perché tu sei bella così (…)
Devi soltanto sembrare te stessa
Né una regina né una principessa
Solo chi non ti ama ti vuole diversa
Perché tu sei bella così, bella così…”
– Chadia Rodriguez e Federica Carta
Autore: Stefania Canil, psicologa (psicoterapia e nutrizione)
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