Stefano De Martino è uno di questi uomini. Uno di quelli che non si è accontentato del riflesso, e ha avuto il coraggio di cercare lo sguardo. Quello vero, il proprio. Quello che arriva quando smetti di chiederti chi dovresti essere e inizi, finalmente, a vederti.
Un’identità che non ha fretta
Quando lo abbiamo conosciuto, era un ballerino. Un talento limpido, il corpo che si muoveva con una padronanza istintiva. Ma dietro ogni movimento perfetto, c’era già il seme di qualcosa che non si poteva insegnare: la capacità di mettersi in gioco. Non solo sul palco, ma nella vita. Stefano non ha mai avuto paura di cambiare pelle, ma lo ha fatto senza mai perdere la sua radice.
E questa è la sua prima verità psicologica: non confonde l’identità con il ruolo. Non si è mai irrigidito in una definizione. Ha danzato, ha presentato, ha recitato, ha amato. E in ognuna di queste esperienze, ha lasciato andare un pezzo di ciò che sembrava essere, per fare spazio a ciò che stava diventando. Non è comune. Anzi, è quasi un atto rivoluzionario, in un tempo in cui restare fedeli a un’immagine conta più che essere fedeli a sé stessi.
Il coraggio di raccontarsi vulnerabile
In un’intervista disse una frase che, per chi conosce il linguaggio delle emozioni, pesa più di mille slogan:
“Ora riesco a guardarmi da fuori.”
Questa frase dice tutto. Dice che c’è stato un tempo in cui non riusciva. In cui la vita lo portava via, lo trascinava tra emozioni forti, decisioni impulsive, e un’identità ancora da comporre. Dice che ha vissuto, sì, ma anche che a un certo punto ha scelto di fermarsi, di guardarsi, di capire.
Non tutti lo fanno. Molti si adagiano nell’irrequietezza. Altri costruiscono corazze che sembrano successo, ma dentro nascondono fratture mai rimarginate. Stefano no. Stefano ha deciso di andare in terapia. Di sedersi in silenzio e dare un nome alle cose che sentiva. Di riconoscere che anche un uomo amato, desiderato, ammirato, può sentirsi perso. Può avere bisogno di aiuto. E non c’è nulla di più potente, oggi, che vedere un uomo che non ha paura della sua fragilità.
La forza della gentilezza maschile
Nel suo modo di stare al mondo, c’è qualcosa di estremamente educativo. Non urla. Non ostenta. Non aggredisce. Ma incanta. Con un’ironia delicata, con la capacità di prendersi in giro, con quella leggerezza che non è mai superficialità, ma consapevolezza profonda di ciò che conta.
È un uomo gentile, Stefano. E la gentilezza, oggi, è un atto politico. Soprattutto se arriva da un maschile che ha conosciuto la competizione, il palco, l’esposizione mediatica. Scegliere di essere gentili quando il mondo ti chiede di essere forte – nel senso più arido del termine – è un atto di resistenza poetica.
L’amore come specchio, non come scudo
La sua storia sentimentale è stata spesso oggetto di gossip. Amori intensi, ritorni, addii. Ma se si guarda più a fondo, si intuisce che ogni relazione per Stefano è stata un luogo di scoperta. Non tanto dell’altro, quanto di sé. Non ha usato l’amore per nascondersi. Lo ha vissuto, e forse anche sbagliato, ma sempre mettendosi in gioco.
In una delle sue dichiarazioni più mature ha detto: “Gli amori si compiono.” Una frase che è quasi una filosofia. Non tutti gli amori devono durare per essere veri. Alcuni accadono per insegnarti chi sei. Per mostrarti dove sanguini ancora. Per insegnarti a dire addio con gratitudine. In questo, Stefano non cerca di tenere tutto con sé. Sa lasciare andare. Sa restare intero anche dopo la fine. E questo è uno dei tratti più evoluti della maturità affettiva: non cercare nell’altro ciò che puoi costruire solo dentro di te.
La paternità come scelta di presenza
Poi c’è Santiago. E lì si apre un altro capitolo. Un uomo può dire molte cose su cosa significa essere padre. Ma poi è nei piccoli gesti, nella coerenza, nei “no” educativi, nella tenerezza mai esibita, che si misura la qualità di quell’amore.
Stefano è un padre che non vuole “piacere” al figlio. Vuole esserci. Con la sua imperfezione, con i suoi tentativi, con i valori che prova a trasmettere. Gli ha insegnato che le cose non si ottengono schioccando le dita. Che il tempo non si compra. Che la presenza non si finge. E in questo, ha rotto un ciclo. Perché troppi uomini si rifugiano nel lavoro, nel ruolo, nella distanza. Lui no. Lui ha scelto la vicinanza.
Un uomo che sa stare in sé
Stefano De Martino è diventato, lentamente, un uomo che sa stare in sé. Non per isolamento. Ma per integrazione. Sa stare nel silenzio, senza scappare. Sa stare nella confusione, senza smarrirsi. Sa stare nella luce dei riflettori senza confondere il calore del pubblico con l’amore di cui ha bisogno davvero.
Non ha bisogno di una maschera. Ha imparato a portare il volto che ha. A raccontare anche le sue incertezze. A dirsi, e a dirci, che non si nasce già fatti. Che ogni giorno si aggiunge un pezzo. Che si può cambiare strada, e anche cambiare idea, se questo significa essere più fedeli alla propria verità.
Il lavoro come espressione, non come compensazione
La sua carriera è cambiata insieme a lui. Non è più solo il ballerino di Amici, né solo il conduttore brillante. È un uomo che usa la televisione per portare nel mondo un pezzo della sua umanità. Lo si vede in Bar Stella, che non è un varietà come gli altri. È un ritorno alle origini, un atto d’amore per la cultura popolare, un esercizio di memoria e autenticità.
Lui non cerca di stupire. Cerca di comunicare. E lo fa con la grazia di chi sa che il vero spettacolo è restare fedeli alla propria voce interiore, anche se non fa rumore.
La profondità di chi ha scelto di sentirsi
Stefano De Martino non è solo un volto televisivo. È il racconto vivente di una trasformazione possibile. Quella di chi ha avuto tutto troppo presto, e ha capito che niente di tutto quello basta, se non impari a sentire davvero.
È il racconto di un uomo che non rincorre l’approvazione, ma coltiva la connessione. Con sé stesso, con chi ama, con il proprio tempo interiore. E forse è per questo che piace tanto: perché in un mondo in cui tutti vogliono mostrarsi forti, lui ha scelto di essere umano. E l’umano, quando è vero, piace sempre.
Ana Maria Sepe, psicoanalista
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