Terapia elettroconvulsivante o elettroshock: come funziona

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Terapia elettroconvulsivante
La terapia elettroconvulsivante è tra i trattamenti più drastici e più controversi. Comunemente nota come elettroshock, si tratta di una tecnica terapeutica usata solo in quei casi che non rispondono ai trattamenti farmacologici.

Oggi, nelle strutture ospedaliere e centri per la salute mentale, si esegue sia l’elettroshock bilaterale (con elettrodi posti ai due lati della testa), sia l’elettroshock unilaterale (con elettrodi posti solo a un lato della testa). Quest’ultimo trattamento è preferito in quando sembra che causi meno effetti collaterali rispetto al trattamento bilaterale.

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Elettroshock: a cosa serve?

L’effettiva efficacia della terapia elettroconvulsivante è tutt’oggi molto dibattuta. Il suo impiego è consigliato solo nei casi di depressione cronica, disturbo bipolare, catatonia che non rispondono ai farmaci. L’elettroshock può essere usato per il trattamento dei sintomi della schizofrenia e nella depressione psicotica. Solo raramente il trattamento è impiegato in caso di disturbo dello spettro autistico.

L’elettroshock è usato anche in quesi casi in cui sono state osservate condotte suicidarie e i tempi di intervento (farmacologico o psicoterapeutico) sarebbero troppo lunghi per le condizioni precarie del paziente. Altre applicazioni si trovano nei casi in cui la depressione è associata a una malattia grave o a una gravidanza, dove il trattamento con antidepressivi metterebbe a rischio la madre o il feto.

La terapie elettroconvulsivante consiste nell’induzione deliberata di una crisi convulsiva con temporanea perdita di coscienza

Terapia elettroconvulsivante

La terapia elettroconvulsivante (TEC) è considerata dai clinici una scelta responsabile solo quando altre terapie falliscono e/o solo quando il rischio di suicidio è elevato. Rispetto a qualche decennio fa, i benefici del trattamento superano i rischi degli effetti collaterali associati.

La scarica elettrica somministrata con il trattamento è d’intensità compresa tra i 70 e i 130 volt. Gli effetti di tale scarica non sono ancora del tutto noti, tuttavia diversi studi hanno correlato la ripetuta applicazione del trattamento a un miglioramento del sistema serotinonercico.

La TEC sembra infatti sensibilizzare due sottotipi di recettori per la serotonina migliorando la trasmissione del segnale.

Come si svolge?

Un tempo, la terapia elettroconvulsivante era detta bilaterale in quanto si applicava un elettrodo su ciascun lato della fronte. Oggi si applica un unico elettrodo a un salo lato della fronte, all’emisfero cerebrale non dominante (di solito il destro).

In passato la persona restava sveglia fino al momento della scarica, quando la corrente innescava la crisi convulsiva; la scossa elettrica provocava contorsioni spaventose fino a causare fratture ossee. Oggi, prima di applicare la corrente, al paziente viene somministrato un anestetico in aggiunta a potente miorilassante, cioè un farmaco in grado di rilassare fortemente la muscolatura dell’intero corpo così da evitare contorsioni legate al passaggio della scarica elettrica.

Durante la terapia elettroconvulsivante, gli spasmi muscolari risultano appena percettibili all’osservatore e la persona si risveglia qualche minuto più tardi senza ricordare nulla del trattamento.

Durata

Ogni terapia è studiata a sé, tuttavia i protocolli prevedono tra le 6 e le 12 applicazioni di ECT (acronimo dall’inglese electroconvulsive therapy) a pochi giorni di distanza l’una dall’altra. I clinici concordano con un’attesa di almeno 24 tra un trattamento e l’altro. In genere si prevedono 2 – 3 trattamenti alla settimana fino alla riduzione dei sintomi.

I circa 800 milliampere di corrente continua attraversano il sistema nervoso centrale per una durata che va dai 100 millisecondi fino ai 6-8 secondi. La scarica va da un lato all’altro della testa nell’ECT bilaterale oppure dalla fronte al retro della testa nell’ECT unilaterale.

Al termine del ciclo di elettroshock il paziente segue una terapia farmacologica con antidepressivi. La terapia farmacologica ha lo scopo di prevenire recidive (ricadute).

Effetti collaterali

Per ridurre gli effetti collaterali, il trattamento di somministrazione di corrente elettrica si applica a un solo emisfero ed è unito all’uso di miorilassanti.

Nonostante i progressi, la maggioranza degli specialisti è concorde nel riconoscere che chi si sottopone all’ECT corre il rischio di sviluppare confusione mentale e perdita di memoria temporanea.

Tra le testimonianze dei pazienti sottoposti al trattamento, è abbastanza comune rilevare un’amnesia di diversa intensità. In genere, le persone sottoposte alla TEC riferiscono di non avere alcun ricordo del periodo in cui hanno ricevuto la scarica e talvolta anche delle settimane che hanno preceduto e seguito il trattamento.

elettroshock a cosa serve
L’apparecchio che emette la scarica elettrica è in grado di innescare una crisi epilettica dalla durata di 30-50 secondi. Il dispositivo, in contemporanea, restituisce l’elettroencefalogramma del paziente.

Da un punto di vista cognitivo (memoria compresa), gli effetti della terapia elettroconvulsivante (elettroshock) sono più leggeri quando si tratta di ECT unilaterale. Gli effetti sulla memoria sono più rilevanti in caso di ECT bilaterale. Ciononostante, anche la terapia elettroconvulsivante unilaterale è associata a deficit cognitivi (confusione mentale, problemi di memoria, disorientamento…) che possono presentarsi ancora sei mesi dopo il trattamento (Sakeim, Prudic, Fuller et al., 2007).

L’entità degli effetti sulla memoria sono variabili, anche le tempistiche per il pieno recupero cognitivo variano da individuo a individuo.

Altri effetti collaterali sono legati all’uso dell’anestesia generale -il paziente si sottopone all’elettroshock già privo di coscienza- e al miorilassante.

Terapia elettroconvulsivante in Italia

L’elettroshock è una scoperta tutta italiana. All’inizio del XX secolo, Ugo Carletti, studioso di epilessiva, cercava metodi per indurre crisi epilettiche e lo trovò applicando scariche elettriche ai lati della testa. Fu così che nacque l’elettroshock. Solo successivamente, nel 1939, l’elettroshock fu impiegato su una persona affetta da schizofrenia e successivamente il suo impiego si fece largo tra i pazienti con depressione grave.

Stando a Ignazio Marino, Presidente della Commissione di inchiesta del Senato sul Servizio Sanitario Nazionale, le strutture in Italia che praticano l’elettroshock sono 91 (dato aggiornato 2013). Stando all’AITEC (Associazione italiana per la terapia elettroconvulsivante), i numeri sono ben diversi e la terapia elettroconvulsivante in Italia è molto meno diffusa. Secondo l’associazione, in Italia vi sono solo 11 strutture che eseguono la TEC, 6 appartenenti al Servizio sanitario nazionale e 5 cliniche private convenzionate con il SSN.

Elettroshock e depressione

Come premesso, l’elettroshock è usato in caso di disturbi resistenti al trattamento farmacologico, in particolare, per curare l’episodio maniacale o depressivo nel disturbo bipolare, la depressione grave con o senza episodi psicotici, la catatonia, la schizofrenia…

Nel 2012 è stata condotta una meta-analisi sull’efficacia della terapia elettroconvulsivante nel trattamento della depressione (unipolare e bipolare). I risultati hanno indicato che sebbene i pazienti (depressi con diagnosi bipolare e depressi con diagnosi di disturbo depressivo maggiore) rispondessero al trattamento medico in modo diverso, hanno ottenuto ricadute positive paragonabili.

La procedura ha visto una remissione dei sintomi depressivi con un successo del 50,9% per i pazienti con depressione maggiore grave e del 53,2% per i pazienti con depressione bipolare. Gli studi in follow up, seppur limitati, evidenziano che circa il 50% dei pazienti che hanno ottenuto dei benefici dal trattamento, mostrano una recidiva entro 12 mesi; circa il 37% di recidive si manifestano entro i primi 6 mesi (Jelovac, Kolshus, McLoughlin, 2013). Ciò significa che gli eventuali effetti benefici dell’elettroshock non sono duraturi nel tempo e il paziente dovrà sottoporsi a più cicli.

Il rischio di ricadute aumenta quando a seguito del trattamento il paziente non assume antidepressivi.

Risvolti etici della terapia elettroconvulsivante

Le controversie sull’ECT non riguardano solo la potenziale efficacia e il meccanismo d’azione (ancora ignoto) della terapia, vi è anche un risvolto legale ed etico.

Nel 2005, l’Organizzazione mondiale della sanità ha affermato che la terapia elettroconvulsivante andrebbe eseguita solo su pazienti che hanno accettato il trattamento mediante il consenso informato. Ciò significa che i pazienti devono essere messi al corrente dei rischi e degli eventuali effetti collaterali della terapia.

E’ importante sottolineare che pazienti in stato maniacale, pazienti catatonici, con sintomi psicotici, schizofrenici o gravi sintomi depressivi, solo raramente sono in grado di dare un reale consenso consapevole.

In queste circostante è importante che sia indicato un tutore legale in grado di prendere tale decisione in quanto il consenso informato riferito dal paziente può essere legalmente inefficace a causa del suo stesso stato mentale.

Testimonianze

Grazie alla TEC “mi sono liberato dal fardello della sofferenza: la terapia mi ha restituito la lucidità, e mi ha fatto tornare la voglia di vivere“. Queste le parole che Giampietro Ferrari ha riferito ai giornalisti de L’Espresso. Al paziente, in questo caso, è stato diagnosticato un disturbo bipolare e prima dei 37 anni aveva tentato nove volte il suicidio e conduceva una vita estremamente compromessa dagli episodi maniacali. La psicopatologia del paziente era refrattaria a un approccio faramcologico.

Un’indimenticabile testimonianza sull’elettroshock è certamente quella di Alda Merini, che scrive: “ogni tanto ci assiepavano dentro una stanza e ci facevano quelle orribili fatture. Io le chiamavo fatture perché non servivano che ad abbrutire il nostro spirito e le nostre menti. La stanzetta degli elettroshock era una stanzetta quanto mai angusta e terribile; e più terribile ancora era l’anticamera, dove ci preparavano per il triste evento. […] Una volta arrivai a prendere la caposala per la gola, a nome di tutte le mie compagne. Il risultato fu che fui sottoposta all’elettroshock per prima, e senza anestesia preliminare, di modo che sentii ogni cosa. E ancora ne conservo l’atroce ricordo”. Per fortuna, il protocollo oggi prevede l’anestesia totale prima del trattamento che non risulta doloroso.

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