Ti amo e poi non ti amo: l’ansia relazionale

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Hai una relazione ricca di sentimenti ambivalenti? In cui a volte senti di amarlo mentre altre volte non lo sopporti e vuoi lasciarlo ma poi, non riesci ad immaginarti senza di lui/lei? Sentimenti contrastanti innescano dinamiche relazionali altalenanti che si caratterizzano per momenti di sfuriate e periodi di apparente benessere di coppia. La verità è che portare avanti una relazione in questo modo può essere logorante per entrambi.

Il termine ansia è molto generico, nel presente articolo parlerò di «ansia relazionale» per descrivere quella sensazione di agitazione, tensione e nervosismo nutriti nei confronti della coppia. L’ansia emerge sempre: quando si sta insieme e ci si sente deprivati della propria autonomia (e finanche della propria identità) e quando si teme il distacco, come un’ombra minacciosa che induce a rimanere nella relazione. Questa condotta è tipica di chi ha uno stile di attaccamento disorganizzato. Ma facciamo un passo indietro, che cos’è uno stile di attaccamento?

Lo stile di attaccamento

Tutti noi sperimentiamo diverse relazioni affettive, in ognuna delle quali impariamo qualcosa. Il legame che più di tutti ci ha lasciato insegnamenti, fino a forgiarci, è stato il primo che abbiamo instaurato o meglio, quello che i nostri genitori hanno costruito con noi. Questa “relazione primaria” ci ha dato in eredità l’arsenale emotivo che usiamo quando ci relazioniamo agli altri e, in definitiva, il modo in cui impariamo a guardare a noi stessi e gli altri. Lo stile di attaccamento può essere descritto come quell’insieme di apprendimenti che, stabilizzandosi nella nostra memoria, ci guida nei rapporti interpersonali.

Chi ha uno «stile di attaccamento sicuro» ha appreso e iscritto nella sua memoria, una percezione di sé e dell’altro come “buono e accudente“, pertanto tenderà a stringere relazioni basate anzitutto nella sicurezza e fiducia in sé. Al contrario, chi ha uno stile disorganizzato ha appreso una percezione negativa sia di sé che dell’altro. Allora a volte sente di doversi proteggere da se stesso ricercando l’altro come via di fuga da sé. Altre volte, invece, sente di doversi proteggere dal legame e dai rischi che comporta, credendo di doversi allontanare dalla coppia. I primi autori a parlare di attaccamento disorganizzato sono state, nel 1986, Mary Main e Judith Solomon basandosi sulle osservazione empiriche condotte in precedenza da Mary Ainsworth e sulle ipotesi teoriche di John Bowlby.

Le nostre «modalità relazionali» sono “programmate” nella nostra memoria

Mentre impariamo a camminare e a parlare, c’è un altro apprendimento che i nostri genitori mediano, quello che riguarda le nostre modalità relazionali o «sistema di attaccamento». Questo ci orienta nelle relazioni interpersonali, influenzando la scelta del partner e le dinamiche di coppia. Cosa succede quando gli apprendimenti affettivi iscritti nella nostra memoria innescano un sistema disorganizzato?

  • Una parte di noi vuole scappare da se stesso, rifugiandosi nel legame e fondendosi con l’altro.
  • Un’altra parte di noi vuole scappare dall’altro e chiudersi in se stesso.

Come premesso, ciò si manifesta perché la persona ha acquisito una percezione negativa sia di sé che dell’altro. Purtroppo, le persone non sono consapevoli degli “effetti” degli apprendimenti passati, così, invece di fare i conti con i “programmi” contenuti nella propria memoria emotiva, spostano all’interno della coppia tutti i malesseri che si trascinano dentro. Ne consegue che anche la visione che hanno del partner può cambiare radicalmente.

Il partner a volte è amabile, altre volte è pessimo

In questo contesto così complesso, subentrano spesso ulteriori meccanismi psicologico che sono la scissione e la generalizzazione. Così, il partner, a volte viene visto come totalmente negativo e la persona percepisce se stessa come positiva e capace: ritenendo il partner la causa di tutti i suoi mali, focalizza la sua attenzione su «ciò che la coppia non gli dà».

In altri periodi, invece, il partner viene percepito come completamente buono, quasi un santo! Mentre la persona percepisce se stessa come totalmente indegna del rapporto e immeritevole d’amore, condanna se stessa per «tutto ciò che non riesce a dare alla coppia». Si convince che non è fatta per i legami, per le relazioni, sente un malessere generalizzato che attribuisce a qualcosa “di sbagliato” che ha dentro. In realtà, tutta questa agitazione è legata “solo” a una mancanza di conoscenza di sé. Presumiamo di conoscerci ma dentro di noi ci sono delle complessità che ignoriamo e che andrebbero portate alla luce.

Questo spiega perché le persone che hanno uno stile di attaccamento disorganizzato hanno anche un’autostima altalenante. A volte si sentono come pantere, capaci di tutto! Altre volte, invece, si sentono fragili, come dei teneri coniglietti bianchi che faticano a uscire dalla propria tana se non vedono la mano del partner tesa dall’esterno.

Altre sensazioni caratteristiche possono essere: la paura del rifiuto e del fallimento ma anche senso di vuoto, con periodi in cui la persona riferisce di «non sentire niente», soltanto perché non riesce a entrare in contatto con se stessa. Insomma, i periodi di stabilità sono merce rara!

Le emozioni, oltre la memoria

È triste ammetterlo ma non tutti hanno avuto la possibilità di interiorizzare modalità relazionali sane e funzionali. Chi ha appreso uno stile di attaccamento disorganizzato, per poter gioire dell’appagamento che una storia d’amore può donare, ha bisogno di fare uno sforzo extra. Questo sforzo è sia di tipo cognitivo (di riflessione e auto-osservazione), sia di tipo emotivo (di accoglimento, contenimento, sicurezza e auto-accudimento).

Chi ha uno stile disorganizzato, infatti, ha spesso anche un altro problema: la disregolazione emotiva. Cosa significa? Che le emozioni che vive sono estremamente intense, di un volume emotivo altissimo! Quando le emozioni legate all’ansia relazionale emergono, queste sono dirompenti e non lasciano spazio ai pensieri calmi e lucidi e tantomeno all’auto-osservazione. Ecco perché chi vive questi modelli è spesso inconsapevole dei suoi reali bisogni e talvolta è anche confuso. È l’intensità delle emozioni contrastanti a stordire e disorientare, sé e il partner.

Come anticipato, non c’è nulla di “sbagliato” in chi vive sentimenti così contrastanti, c’è solo da rallentare e imparare a fare una sana introspezione. La parola «imparare» è la chiave di tutto. Quelli che innescano confusione e ambivalenze, sono apprendimenti del passato che, una volta portati alla luce, possono essere “abbandonati” per lasciare spazio a nuove modalità di sentire e di essere. Tali modalità possono essere acquisite solo con un profondo lavoro su se stesso!

D’amore ci si ammala, d’Amore si guarisce

Insieme alla psicoterapia, c’è un altro strumento che può rivelarsi preziosissimo per concederti modalità inedite di esistere: il secondo libro di Psicoadvisor. Questa volta, il tema portante è l’amore e come si evolvono i nostri stili relazionali dall’infanzia fino all’età adulta. Proprio come con il nostro primo libro (bestseller 2022 e libro di Psicologia e self-help più venduto d’Italia), anche con questo secondo manuale offriremo strumenti utili, esercizi psicoterapeutici e tante strategie per l’autoanalisi. Ognuno di noi dovrebbe diventare il suo oggetto di studio: mettere se stessi al centro della propria vita non è un errore, è il primo passo per iniziare a vivere relazioni, amori, emozioni e non subire. L’amore è un dono, non una condanna! Il libro sarà disponibile in tutte le librerie dal 4 luglio. Il titolo non poteva essere che questo: «D’amore ci si ammala, d’Amore si guarisce».

Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in neuropsicobiologia
Autore del libro bestseller “Riscrivi le pagine della tua vita” – Rizzoli
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