È fine giornata, stai per metterti sul divano e concederti un po’ di sano relax quando ti squilla il telefono: è una tua amica, ha avuto una lite con il suo partner e… inizia a scaricarti addosso tutta la sua rabbia. Oppure, un tuo familiare rientra dalle classiche commissioni, non fa in tempo a varcare la porta che inizia a lamentarsi di tutto, dall’incompetenza generalizzata alla viabilità da incubo e, non la finisce più! Ancora, sei sui social network in modalità cazzeggio, stai scrollando un po’ la home quando ti ritrovi con un soliloquio drammatico di un tuo amico. Cosa dire poi del partner che si lamenta continuamente di come l’abbia fatto soffrire il/la sua/o ex?
Ti sono familiari questi scenari? Quante volte hai fatto da contenitore della spazzatura emotiva altrui? Avrai notato che queste modalità comunicativa unidirezionale può lasciarti esausto, privo di forze o addirittura debilitato. Tale modalità comunicativa si chiama «trauma dumping» e consiste nell’atto di condividere eccessivamente i propri vissuti, a tal punto da diventare lesivo per chi, suo malgrado, ascolta. Quando ci sentiamo costretti ad ascoltare gli sfoghi altrui, corriamo molti rischi, questa dinamica può farci sentire:
- svuotati,
- frustrati,
- scarichi,
- deprivati di intraprendenza e spirito d’iniziativa,
- disorientati,
- spenti,
- rabbiosi,
- ansiosi,
- stressati.
Gli effetti del trauma dumping divengono più forti quando l’interlocutore si sente in qualche modo vincolato ad ascoltare e non riesce a sottrarsi. Inoltre vi sono altre due evenienza che rendono il trauma dumping davvero corrosivo: tu che ascolti, in quel determinato momento, non hai deciso deliberatamente di fare da contenitore emotivo dell’altro e, in più, non hai la libertà di dire la tua e fai fatica a cambiare discorso, perché per quanto tu ci prova, l’altro ritorna lì, nella sua zona di lamentela. In pratica il trauma dumping si verifica quando la trasmissione di emozioni forti e soverchianti è unidirezionale, non vi è una vera condivisione empatica e calma come può succedere in momenti di confidenze intime e vicinanza emotiva.
C’è quindi un individuo che esprime in modo massivo ciò che ha dentro e un altro che, suo malgrado, raccoglie. Chi esprime i suoi vissuti, inoltre, non si preoccupa di assicurarsi che l’interlocutore sia “pronto” all’ascolto, non si cura di scegliere un tempo e un momento appropriato, ne’ è sensibile allo stato d’animo di chi raccoglie i suoi messaggi. In quel momento esiste solo lui, le sue emozioni e il suo bisogno di spazzatura da scaricare, a qualsiasi costo, anche a quello di far sentire esausto il suo interlocutore.
Nota bene. Parlare dei propri traumi, alleggerirsi dei propri carichi emotivi, è un qualcosa di giusto, di sano, per farlo è necessario scegliere un momento e un luogo appropriato, avendo l’accortezza di rispettare gli stati emotivi di chi ascolta e accogliere anche sue eventuali emozioni o semplicemente il suo disagio. È poi estremamente disfunzionale basare le proprie interazioni sulla lamentala e sullo sfogo emotivo. Questa tendenza rischia di essere corrosiva per sé e per chi ascolta.
Le relazioni che instauri sono cibo per la tua mente
Tutte le relazioni interpersonali che stringi sono in qualche modo transazionali, cioè implicano una transazione, uno scambio, un reciproco dare e avere. In un certo senso, le relazioni che instauri funzionano come cibo per la tua mente, ti alimentano!
Le relazioni che instauriamo sono un po’ come gli alimenti che ingeriamo, ci sono quelli buoni e che fanno bene (prendi le ciliegie, il cantalupo…), ci sono relazioni saporite ma che fanno male (patatine fritte, come le relazioni che talvolta desideriamo ma che sappiamo che non ci porteranno da nessuna parte!) e poi ci sono cibi estremamente nocivi, che fanno male e che non sono neanche saporiti! Ecco, le persone che sanno solo lamentarsi rientrano in quest’ultima categoria.
Dovremmo imparare ad alimentare bene la nostra mente, scegliendo persone genuine di cui circondarci e impostando transazioni di valore. Le persone che si lamentano sempre dovrebbero fare un duro lavoro su se stesse, perché la loro manifestazione nasconde un focus attivo h.24 sui risvolti problematici affrontati nell’arco della vita. La verità è che tutti hanno problemi, il gap si genere quando alcune persone si convincono di essere le sole ad averli, oppure ritengono che, poiché sono speciali, i loro problemi sono più grandi degli altri. Sono davvero poche le persone che, armate di tanta pazienza e un forte spirito introspettivo, si fermano ad analizzare i loro problemi, fino a capire le origini delle loro conflittualità e… risolvendosi. Una persona risolta non sente il bisogno di scaricarti niente addosso!
Cosa dire della condivisione dei drammi sui social network?
Oggi, i social network sembrano essere divenuti il palcoscenico di drammi e leggende. Da un lato abbiamo i profili dei superfighi baciati dalla fortuna, con le loro storie epiche da raccontare. Questi sfoggiano love story da sogno, paesaggi mozzafiato, piatti stellati, nuovi acquisti (…). Dall’altro, poi, abbiamo l’esatto opposto, account zeppi di tristezza, abusi, oscurità e disfunzioni. I social network sembrano prediligere gli estremi: dalla vita impeccabilmente curata a chi non teme di dimostrarsi un disadattato e non perde occasione per lamentarsi e mostrare i suoi lati oscuri.
Certo, si potrebbe dire che queste persone vogliono solo condividere un po’ della loro vita. Magari chi condivide post autocelebrativi cerca sana ammirazione mentre chi condivide post drammatici, cerca vicinanza affettiva oppure semplicemente un posto dove sfogarsi. Sicuramente, lo scenario più benevole potrebbe essere questo, tuttavia, qualsiasi azione ha un effetto su chi, in qualche modo, la subisce.
È stato spesso sottolineato l’impatto corrosivo che il confronto sociale esercita sull’autostima di chi osserva bacheche che sembrano vetrine perfette. Gli account superfighi, infatti, possono minare la fragile autostima di chi non si sente pienamente realizzato. Anche chi condivide psicodrammi può avere un impatto nefasto.
Condividere esperienze dolorose senza l’accordo dell’interlocutore, quindi senza ritagliarsi un momento e un luogo appropriato, può avere un impatto negativo sulla salute mentale di chi riceve quel drammatico messaggio. Questo è vero sia se a sfogarsi è l’amica al telefono, sia se lo sfogo arriva da un video postato su Instagram o un post su Facebook.
Era il 17 marzo 2022 quando Fedez, in lacrime, ha condiviso con il mondo la scoperta di una malattia, lasciando tutti i suoi fan nel dubbio. Nei video, lo stesso Fedez aveva ammesso: «mi sentivo di buttare fuori un po’ di m**** letteralmente e nient’altro in questo momento non sono abbastanza lucido per andare oltre». Buttare fuori un po’ di me*** è quello che fanno tantissime persone e lo fanno a discapito degli altri.
Non tutti gli interlocutori di Fedez avevano la capacità di elaborare quella carica emotiva, quelle lacrime. Secondo diversi autorevoli psicologi del panorama internazionale, già il fatto di essere presenti nel feed di un social network può rappresentare un’invasione dello “spazio virtuale altrui”. In questo pensiero c’è un fondo di realtà ma mi sento di fare alcune considerazioni aggiuntive. Quando una generazione cresce con la costante possibilità di accesso a contenuti digitali e l’uso di profili social, il confine tra l’identità digitale, online e quella del mondo reale, offline, può essere molto sfumato. Quindi, sicuramente ciò che arriva nella nostra home page dei social network può avere un impatto su di noi e sulla nostra identità.
Ma qui sta a noi agire, non bisogna mai dimenticarlo: il potere è nelle nostre mani, siamo noi a disporre dei social network e non il contrario, non sono i social a disporre di noi! Ognuno di noi dovrebbe imparare a dialogare con se stesso, a fare i conti con la propria sensibilità e a comprendere quando è il caso di chiudere, di dire basta e semplicemente di passare al post successivo!
Vale anche nelle relazioni quotidiane
E questo vale anche nelle relazioni quotidiane. Siamo noi ad avere il potere, siamo noi a disporre del nostro tempo e delle nostre risorse psicoaffettive, non sono gli altri a disporre di noi! Questo deve entrare bene nella nostra testa! Alcuni di noi lo dimenticano mentre altri, ahimè, non l’hanno mai imparato. Fin da bambini ci insegnano che c’è sempre qualcosa più importante dei nostri bisogni. Questo apprendimento ci è stato inculcato ogni giorno della nostra infanzia e talvolta anche nella vita da adulti.
Cresciamo con frasi invalidanti come «smettila di piangere sennò la mamma è triste», «anche se non lo vuoi, devi mangiarlo tutto sennò Gesù piange» oppure «smettila di fare i capricci, sennò papà si arrabbia». Messaggi analoghi hanno mediato un insegnamento disastroso: «i tuoi sentimenti, la tua rabbia, il tuo pianto… sono meno importanti dei miei e di quelli degli altri», «tu non hai valore, gli altri sì». Così cresciamo pensando che c’è sempre qualcosa più importante di noi stessi e ci sentiamo obbligati a diventare i contenitori emotivi degli altri, ci sentiamo costretti a dire sì a favori scomodi, anche quando tutto ciò che vorremmo è badare a noi stessi!
Quando qualcuno vuole usarti come il suo contenitore emotivo, ricorda che tu disponi dei suoi stessi diritti; anche tu hai il diritto di essere compreso, ascoltato e rispettato. Se in quel momento non ti va di sforzarti e ti senti stremato, con tutta la serenità del mondo, sentiti libero di affermare un fermo: «non dirmi nulla, in questo momento non riesco ad ascoltarti!». Non inventare scuse perché non hai bisogno di giustificare qualcosa che ti spetta di diritto.
Alcune persone si scusano per ogni piccola cosa vivendola come la più grave delle mancanze, questo avviene perché non hanno imparato che anche a loro è concesso uno spazio e un tempo in cui esistere ed esprimere pienamente se stesse e i propri bisogni. È nostro sacrosanto dovere prenderci cura di sé e questo talvolta significa chiamarsi fuori da una discussione, far valere i propri bisogni o addirittura chiamarsi fuori da una relazione! Mettere spazio con tutto ciò che non ci fa bene, non ci fa crescere. Abbiamo bisogno e, anzi, meritiamo di costruirci uno spazio felice, tutto per noi, dove poter star bene e imparare a guardarci dentro.
Anche se nel tempo abbiamo imparato a non amarci e a ignorare i nostri reali bisogni, non è mai troppo tardi per ribaltare ogni sorta di apprendimento implicito ricevuto. Nel mio libro «Riscrivi le Pagine della Tua Vita», ti spiego come ripristinare un equilibrio perduto, ti insegno a rivendicare il tuo valore di persona completa, ad ascoltare i tuoi bisogni e soprattutto a farli rispettare dagli altri. Si hai deciso di restituirti ciò che già ti spetta di diritto, è il libro giusto per te! Te lo consiglio da lettore a lettore. Anche io ho dovuto faticare per conquistarmi il mio posto nel mondo, un posto che in realtà mi spettava di diritto e che spetta anche a te!
Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in neuropsicobiologia
Autore del libro bestseller “Riscrivi le pagine della tua vita” – Rizzoli
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