Ti senti a pezzi? Ecco come iniziare a ricomporti, dentro e fuori

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Ci sono momenti della vita in cui ci si guarda allo specchio e non ci si riconosce più. Non è solo una questione estetica o di stanchezza accumulata: è una frattura più profonda, silenziosa, che attraversa l’identità. Ti senti come un puzzle caduto a terra, con i pezzi sparsi ovunque e nessuna istruzione per ricomporsi. Ogni frammento racconta una parte di te: un dolore, una scelta che non ti ha rappresentato, un sogno messo da parte, una voce che non è stata ascoltata.

Spesso questa sensazione non arriva all’improvviso. Si insinua piano, mentre continui a vivere, lavorare, essere presente per gli altri. Ma dentro, qualcosa si incrina. Ti accorgi che hai smesso di sentire davvero. O peggio: senti tutto, troppo, senza più filtri né direzione.

In questi momenti è fondamentale non correre a “riparare” tutto subito, ma imparare a guardare il proprio vuoto con tenerezza. Perché il dolore che senti ha qualcosa da dirti. E non è un nemico da scacciare, ma una parte di te che chiede ascolto. Ricomporsi, allora, non significa tornare ad essere come prima, ma accettare di diventare una versione più autentica di te. Una versione che includa le ferite, senza farsi definire da esse.

In questo articolo esploreremo — attraverso la psicoanalisi e le neuroscienze — cosa accade dentro di noi quando ci sentiamo spezzati, e come possiamo davvero iniziare a rimettere insieme i pezzi, fuori da ogni automatismo, con rispetto, presenza e verità.

Il senso di frammentazione: un’esperienza psichica profonda

In psicoanalisi, la sensazione di “essere a pezzi” viene spesso letta come espressione di un Io fragile, scisso, che non riesce più a integrare le sue parti interne. Secondo Winnicott, il senso di continuità dell’essere si costruisce nei primi anni di vita attraverso esperienze di accudimento “sufficientemente buono”. Quando queste esperienze mancano o sono disorganizzate, l’Io cresce su fondamenta instabili, e può frantumarsi facilmente sotto stress.

Il sentirsi frammentati, dunque, non è solo una metafora: è la percezione reale di un sé che non riesce a tenersi insieme. Ogni emozione vissuta troppo intensamente (o troppo a lungo repressa) può diventare un pezzo che si stacca. Ed è così che il corpo inizia a “non sentire più” o a sentire troppo. Il vuoto e l’iperattivazione diventano facce della stessa medaglia.

Ricomporsi significa, quindi, prima di tutto riscoprire l’integrità dell’Io. Non attraverso la perfezione o la forza, ma attraverso il riconoscimento delle parti escluse. Di quelle che abbiamo imparato a nascondere per sopravvivere: la rabbia, la vergogna, il bisogno, la paura.

Cosa accade nel cervello quando ti senti “a pezzi”

Anche le neuroscienze parlano il linguaggio della disintegrazione. Quando viviamo uno shock emotivo, una perdita importante o un trauma, il cervello entra in uno stato di allerta prolungato. L’amigdala, responsabile della risposta alla paura, rimane iperattiva, mentre la corteccia prefrontale — che regola il pensiero razionale e la pianificazione — si “disconnette” parzialmente.

Questo spiega perché, nei momenti di crisi, fatichiamo a pensare con chiarezza, a prendere decisioni o a “vedere il futuro”. Non siamo deboli: il nostro sistema nervoso è in modalità sopravvivenza. E in quello stato, tutto ciò che non è immediatamente vitale viene sospeso: il desiderio, la progettualità, persino l’autostima.

Nel lungo periodo, questo squilibrio può diventare cronico. Il cervello impara a “spegnere” alcune connessioni per proteggersi. Ed è così che ci si sente disconnessi da sé stessi: perché in parte, lo si è davvero. Ma questa neuro-disintegrazione può essere invertita. Con cura, tempo e presenza emotiva, il cervello può riprendere a costruire nuove reti neurali. E si può tornare a sentire, integrare, vivere.

La difesa della frammentazione: quando l’inconscio ci protegge

Molto spesso, la sensazione di essere a pezzi non è solo il frutto di un trauma esterno. È anche una strategia inconscia. Freud parlava del “meccanismo di scissione dell’Io” come di una difesa arcaica che protegge dalla sofferenza psichica. Quando un’esperienza è troppo intensa per essere elaborata — ad esempio una delusione amorosa profonda, un lutto, un tradimento affettivo — la mente può frammentarla per renderla più tollerabile.

Questo può portarci a vivere “a compartimenti stagni”: una parte di noi va avanti, funziona, lavora. L’altra rimane congelata nel dolore. Non comunichiamo più con tutte le parti del nostro essere, e così iniziamo a sentirci vuoti, alienati, spenti. Ma è importante sapere che questo stato non è una condanna: è stato un modo per sopravvivere. La frammentazione, in questo senso, è stata una forma di amore verso noi stessi.

Ricominciare, allora, non significa “smontare” la difesa di colpo, ma riconoscerla, ringraziarla, e cominciare — piano — a reintegrare ciò che era stato escluso. Come un terapeuta fa con il paziente: tenendo insieme le parti più scisse, offrendo uno spazio dove tutto può essere detto, accolto, metabolizzato.

Il corpo come via per la ricomposizione

Spesso ci concentriamo solo sulla mente, ma è il corpo che custodisce la memoria più antica delle nostre fratture. La teoria del “soma psichico” — già accennata da Reich e poi ripresa dalla neurobiologia — ci mostra come il corpo trattenga e riproduca le tensioni emotive non elaborate. Una schiena rigida, una gola chiusa, uno stomaco sempre contratto… non sono solo segnali fisici, ma emozioni sedimentate.

Per questo, iniziare a ricomporsi significa anche imparare ad ascoltare il corpo. Accorgersi di come respiriamo, di dove si annida la tensione, di quando ci contraiamo per difenderci anche da chi amiamo. Il corpo parla sempre, e molto prima delle parole.

Tecniche come la mindfulness, il respiro consapevole, il grounding, oppure semplicemente il camminare in silenzio possono attivare il sistema nervoso parasimpatico, calmando l’allarme e facilitando la rielaborazione emotiva. È attraverso il corpo che torniamo a sentirci integri, presenti, vivi.

Le relazioni che ci ricompongono (e quelle che ci frammentano)

Ci sono relazioni che ci frantumano, e relazioni che ci aiutano a rimettere insieme i pezzi. In psicoterapia si parla spesso di “oggetti buoni interni”: figure relazionali che, anche solo nella memoria, riescono a offrirci sostegno, contenimento, conforto. Ma non sempre li abbiamo avuti. E allora diventa essenziale costruirli fuori — in amicizie vere, in amori maturi, in spazi terapeutici — e poi dentro.

In fondo, ci si ricompone davvero solo quando si riesce a stare in relazione senza perdere sé stessi. Quando si può dire “io” anche accanto a un “noi”. Quando si può chiedere aiuto, senza sentire che si sta crollando. Quando ci si sente visti, ma non invasi.

Per farlo, però, serve prima riconoscere le dinamiche relazionali tossiche in cui ci si è forse dissolti: relazioni simbiotiche, manipolatorie, anaffettive. In quelle, il Sé si frantuma ogni giorno un po’ di più. E ogni passo verso la libertà emotiva è un pezzo che torna al suo posto.

Ricomporsi non è tornare come prima: è diventare autentici

Il vero fraintendimento del dolore emotivo è l’idea che si debba “tornare come prima”. Ma tu non sei più quello di prima. E questo non è un fallimento, ma una metamorfosi. La frammentazione che hai vissuto ti ha permesso di vedere parti di te che non avresti mai potuto riconoscere nel benessere.

Ricomporsi, allora, significa scegliere quali pezzi tenere, quali lasciare, e quali ricreare da zero. È un processo attivo, non un restauro passivo. È un gesto d’amore profondo verso te stesso, che inizia quando smetti di chiederti “Perché mi sento così?” e inizi a chiederti “Di cosa ha bisogno la parte di me che si sente così?”

In questa ricomposizione c’è una potenza trasformativa immensa. Perché finalmente puoi essere intero, senza dover essere perfetto. E intero non vuol dire invulnerabile, ma semplicemente vero.

I pezzi non tornano mai uguali, ma tornano tuoi

Ti sentirai ancora a pezzi, a volte. Succederà nei giorni di stanchezza, nei cambi di stagione interiori, nei ricordi che pungono quando meno te lo aspetti. Ma stavolta saprai che quei pezzi non sono persi: sono lì. E che puoi raccoglierli con mani nuove. Mani più gentili.

Ricomporsi non è un atto eclatante, ma una costanza silenziosa. È scegliere ogni giorno di esserci per sé stessi, anche quando il mondo non lo vede. È imparare a stare nella vulnerabilità senza vergogna. È fare pace con ciò che non puoi cambiare e trasformare ciò che puoi.

È di questo che parlo nel mio libro “Il mondo con i tuoi occhi”, un invito a guardare dentro e fuori con uno sguardo nuovo, non filtrato dai condizionamenti, ma plasmato dalla consapevolezza. Perché la felicità non è un puzzle da completare secondo l’immagine sulla scatola. È un’opera aperta, che parla di te. E sei tu a decidere cosa farne, pezzo dopo pezzo. Per immergerti nella lettura e farne tesoro, puoi ordinarlo qui su Amazon oppure in qualsiasi libreria

A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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