Tutti noi possiamo cimentarci in uscite infelici, pronunciare frasi scomode o dire cose che, in realtà, non pensiamo. Capita. È umano. A volte ci lasciamo sopraffare dalle emozioni e nel tentativo di difenderci, feriamo l’altro. Questo «può andar bene» se capita di rado, se quella frase pungente è solo un evento sporadico, capace di sorprendere se stessi e gli altri per l’eccezionalità dell’evento. Se invece le uscite infelici sono sistematiche, inevitabili, tanto che non sorprendono più nessuno, allora c’è un problema. Quelle frasi pronunciate vanno attenzionate e trattate con cautela.
La qualità di ogni relazione si costruisce con l’attenta scelta dei messaggi che vogliamo comunicare agli altri. A volte, i messaggi che ricevi dal tuo partner sembrano fare tutto fuorché curare il benessere di coppia. Le persone che sono pienamente concentrate su se stesse, non considerano neanche il benessere di coppia, vivono i comportamenti dell’altro in funzione di sé e non di un sistema diadico fatto da un «noi».
Queste persone non capiscono che ferire l’altro significa danneggiare la relazione, significa abbassare il livello di benessere di coppia. La vita in fondo è unica e tutti dovrebbero viverla al meglio. Se scegli un partner, dovresti impegnarti per far sì che le cose funzionino… ma non tutti sembrano pensarla così. Alcune persone sembrano scegliere un partner per rendergli la vita difficile, non lo fanno con l’intento deliberato di danneggiare ma finiscono per ferire l’altro perché a monte loro sono state ferite.
Nell’impossibilità di curare da sé le proprie ferite, queste persone, riversano sul partner la forte impotenza. Vediamo quali sono le frasi tipiche su cui riflettere. Magari se il tuo partner le pronuncia spesso, puoi fargli leggere questo articolo con l’intento di farlo riflettere sulla sua emotività.
Chi usa queste frasi con il partner dovrebbe lavorare su se stesso
Le frasi che usiamo, i nostri atteggiamenti, i toni e tutte le strategie comunicative, sono frutto di un apprendimento. Riflettono l’ambiente in cui siamo cresciuti. È chiaro che se siamo cresciuti in una famiglia coesa, disponibile e supportiva, abbiamo imparato a chiedere aiuto, abbiamo appreso che sul prossimo si può contare, che egli non ci ferirà e non ci tradirà. Nel comunicare, non siamo prevenuti sull’altro e ciò ci consente di comunicare senza usare strategie difensive.
Purtroppo, chi è cresciuto in un ambiente ostile in cui non poteva contare su nessuno all’infuori di sé, nel suo arsenale comunicativo ha accumulato un mucchio di strategie che probabilmente andavano bene nella sua famiglia d’origine, in cui regnavano livelli gerarchici e ostilità, ma di certo quello stesso arsenale risulta del tutto inadatto in una relazione in cui l’altro arriva disarmato e pieno di buoni propositi.
Chi ha un vissuto molto difficile, nel comunicare userà il pregiudizio dell’offesa (presumerà che l’altro in qualche modo voglia sminuirlo, offenderlo, ferirlo o che comunque non sarà disponibile o utile). Partendo prevenuto, finirà per sparare a zero, ferire e trasformare ogni scambio, anche quello più semplice, in un vero campo minato.
- «Devi, che ti piaccia o no!»
- «È così e basta!»
- «Non pensarci nemmeno…»
- «Da oggi le cose andranno così!»
Queste frasi hanno una cosa in comune: non lasciano all’altro alcuna possibilità di scelta. Sono imposizioni. A queste si aggiungono minacce velate basate sul ricatto affettivo, quali:
- «Stanno così le cose? Allora mi comporterà di conseguenza!»
- «Se fai così, io…»
- «Questo è il tuo metro? Allora mi adeguerò»
Queste frasi sono minacce velate: «se tu fai così, io farò peggio… poi non ti lamentare!». In una coppia sana questo non dovrebbe esistere. Se percepiamo che l’altro ci abbia fatto un torto, ci sforziamo di comprenderne le cause, usiamo la nostra empatia e usiamo un dialogo aperto atto a migliorare la relazione e non a peggiorarla!
Le persone che usano i ricatti affettivi o che impiegano una comunicazione prepotente, probabilmente non hanno mai sperimentato la vera libertà di scelta. Nella famiglia d’origine, dovevano sgomitare per affermare se stessi e così hanno imparato che la comunicazione è…. competizione. C’è chi vince e chi perde. Per queste persone, esistono due livelli gerarchici e la prepotenza è il mezzo per porre se stesso in serie A, anche a costo di schiacciare l’altro. È arrivato il momento di fargli capire che esistono livelli paritetici in cui entrambi possono gioire della serie A. Non c’è nessuna gerarchia, nessuna competizione, c’è solo uno scambio alla pari.
«Non importa, non è colpa tua»
La frase «non importa, non è colpa tua» merita un paragrafo a parte. Intendiamoci, in questa frase non c’è nulla di sbagliato. Anzi, se l’ascolti ed è accompagnata da un atteggiamento rassicurante, non c’è nulla da indagare. Dovresti invece rifletterci su se questa frase è accompagnata da atteggiamenti di colpevolizzazione. Con le parole il tuo partner può dire:
- «Non importa»
- «Va bene così»
- «Non potevi farci nulla»
- «Va tutto bene»
ma poi con gli atteggiamenti ti fa intendere esattamente il contrario. Ti tratta come la causa di un suo disagio, di una sua mancanza. In realtà, questo si verifica quando il tuo partner ha l’aspettativa irrealistica che sia tu a risolvere ogni sua lacuna, anche se pone le radici nella sua infanzia. Eccoti una notizia: per quanto tu possa stargli vicino e supportarlo, purtroppo le sue lacune dovrà colmarle da sé. L’amore e il supporto che riceve da te oggi sono meravigliosi, ma non potranno soppiantare le sue carenze di ieri, appartengono a due dimensioni e due tempi differenti.
«Come stai?» – risponde bene ma…
Cosa dire poi per quel falsissimo «BENE» pronunciato come fatidica risposta alla domanda «come stai?» o «Come va?». Quel «BENE», però, è dissonante perché è accostato ad atteggiamenti che fanno intendere tutt’altro. Questo è un approccio comunicativo sicuramente immaturo ma che va compreso e non colpevolizzato*. La persona che risponde in questo modo, non ha mai imparato che comunicando in modo coerente i propri stati d’animo, le cose si possono risolvere.
*Colpevolizzare l’altro serve a poco. Se non ti sta bene come comunica il tuo partner, lascialo. Altrimenti accoglilo e fai il tuo meglio per dargli il buon esempio. Le colpevolizzazioni e le accuse avranno l’unico effetto di rendervi infelici a vicenda. Il dialogo aperto e la comunicazione mirata, invece, possono trasformare una coppia in difficoltà in una relazione unica e preziosa.
«Ma perché tu…?». Se sbaglia lui/lei, accusa te
Alcune coppie quando litigano sfoggiano una memoria da paura! Riescono a rinfacciare episodi distanti anni. Questo accade perché si sentono minacciate e non riescono ad accettare un proprio errore. Vogliono sentirsi sempre impeccabili perché hanno appreso che non dovrebbero mai sbagliare, ma in realtà sbagliare è naturale. Sarebbe più facile, comodo e utile dire «sì, è vero, scusami… sono stato disattento». Invece, «ma perché tu cosa fai?»… «Ma perché tu, quella volta…?!». Facendo vivere la coppia in un eterno passato di accuse.
Le accuse scattano quando sentono di aver sbagliato ma in nessun modo vogliono ammetterlo. Ammettere di essere in torto diventa un eclatante colpo all’autostima, un colpo che non riuscirebbero a incassare. Allora enfatizzare le pecche dell’altro diventa una strategia per sentirsi bene con se stessi. Molto triste per la coppia. Se il tuo partner si comporta così, l’unica cosa che puoi fare è disinnescare, non alimentare il turbinio di accuse. Comprendere che questo modo di fare esprime un disagio. Le persone che si esprimono in questo modo, sono molto dure, anche con se stesse.
- «Tanto tutto è inutile»
- «Non importa nulla»
- «Sei sempre il solito»
- «Sapevo che andava a finire così»
- «Una volta, fosse anche una volta!! Ma niente, non va mai bene nulla»
Queste frasi riflettono una forte disillusione. Sono pronunciate dal partner che non crede più a nulla perché non ha imparato a fidarsi (soprattutto di se stesso) e af-fidarsi all’altro. In queste persone l’idea che hanno sulla realtà vince sulla realtà stessa, cioè quei preconcetti di cui parlavamo sopra, vincono anche sullo stato delle cose. Queste persone hanno bisogno di imparare che l’amore vero esiste eccome, che le persone di cui fidarsi ci sono e a volte le cose vanno bene!
Allora io cosa faccio?
Se ti sei riconosciuto in queste frasi, ti farà bene lavorare su te stesso. Stesso discorso se hai riconosciuto questi pattern nel tuo partner. Lavorare su se stessi è l’inizio di tutto, la base, l’ABC. Purtroppo viviamo in una società che lascia poco spazio all’educazione emotiva. Lavorando su di sé è possibile da un lato arricchire il proprio arsenale comunicativo (banalmente, se sono in pace con me stesso, lo sarò anche con l’altro e questo emergerà nel mio stile comunicativo). Dall’altro lato, lavorare su di sé permette di fare ordine su quelle che sono le proprie priorità, sui bisogni e su come intendiamo soddisfarli. L’andamento della relazione, l’esito finale, sarà la naturale evoluzione del tuo percorso di crescita personale.
Come lavorare su di te?
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Anna De Simone, psicologo esperto in neuropsicologia
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