Criminologi, vittimologi, penalisti, psicologi, biologi del comportamento, evoluzionisti… sono molte le figure professionali interessate allo studio del «male». Se ci soffermiamo a riflettere, il fascino oscuro del male riesce sempre a catturare la nostra attenzione: lo fa ogni giorno con i fatti di cronaca che riempiono giornali e TG, lo fa con i thriller, i polizieschi e le storie dei criminali che sono divenuti tristemente famosi per aver assunto una condotta antisociale dalle sfumature marcatamente malvagie.
Ma che cos’è il male?
Nell’antichità si supponeva che il «male» fosse una proprietà congenita della natura umana, sintomo di un uso disordinato e improprio del libero arbitrio. Oggi, sappiamo che il male non ha nulla a che vedere con la natura umana. Anzi, sotto la spinta della selezione naturale, sarebbero i «comportamenti pro-sociali» ad avere la meglio. La teoria evoluzionista asserisce che i tratti pro-sociali come l’altruismo verso i propri simili, siano quelli destinati a resistere lungo i millenni perché massimizzano le chance di sopravvivenza e migliorano la possibilità di diffondere i propri geni (Robert Trivers, 2014). Sarebbe il bene a garantire la conservazione della specie e questo spiegherebbe l’istinto di collaborazione che caratterizza molti di noi.
Secondo il celebre psicoanalista Carl Gustav Jung, in ognuno di noi esiste «un’ombra», una parte oscura che sia a livello conscio che a livello inconscio, riusciamo a rifiutare perché non in linea con la nostra stessa «morale». Nel panorama attuale, le teorie di C. G. Jung non hanno trovato alcuna conferma scientifica. Dati alla mano, studi longitudinali hanno dimostrato che le condotte devianti, così come i comportamenti antisociali, sono il frutto di una traiettoria evolutiva che è andata a minare o impedire un sano sviluppo psicoaffettivo. La malvagità, dunque, sembrerebbe figlia di particolari deviazioni dello sviluppo, le componenti maggiormente compromesse sono quelle connesse all’empatia, alla capacità introspettiva e, più generalmente, al funzionamento cognitivo, ne è un esempio l’incapacità di pensiero controfattuale.
La genesi del male: tra psicologia e biologia
Tra le teorie criminologiche più accreditate vi è quella della vittima che diventa carnefice. Secondo questa teoria, i traumi precoci potrebbero piantare il seme dell’antisocialità. La biologia molecolare ha provato a spiegare tale fenomeno studiando l’interazione gene-ambiente. L’esposizione a eventi drammatici nei primi anni di vita lascia un segno indelebile nella psiche dell’individuo mediante alterazioni fissate nel cervello in sviluppo. In questa prospettiva sono coinvolte cascate molecolari che porterebbero a una più lenta degradazione dei neurotrasmettitori amminici o a un’atrofizzazione delle cortecce prefrontali.
Cosa vuol dire tutto questo? Che anche quando si parla di «predisposizione biologica» non si fa riferimento a qualcosa di innato, bensì a caratteristiche che si modellano in base all’ambiente di sviluppo dell’organismo umano. Alcune evidenze arrivano dagli studi del ricercatore psicologo Avshalom Caspi, che già nel 2002 osservò che nei bambini maltrattati vi erano maggiori possibilità di espressione del gene MAOA, anche noto come «gene criminale» o «gene guerriero». L’esperienza precoce di maltrattamento conduce all’espressione di questo gene che, a sua volta, conduce a comportamenti aggressivi e antisociali in età adulta. Ecco che l’individuo da vittima inerme, si trasforma in un temibile carnefice.
Oggi, la criminologia si prefissa di comprendere le dinamiche che ruotano intorno alle personalità psicopatiche, sociopatiche, violente (…), comprendere il fenomeno significa smascherare il male, così da prevenirlo in ambito sociale e cooperare con le forze di polizia. Se negli Stati Uniti la figura del Profiler è molto diffusa già da decenni, in Italia solo da pochi anni lo psicologo specializzato in criminologia è entrato nei dipartimenti di giustizia e nei comandi degli organi deputati alle indagini. Comprendere la mente criminale non è mai semplice. In questa prospettiva, la parola multifattorialità sembra essere una prerogativa. La complessità del fenomeno, infatti, non può essere spiegata con un approccio riduzionista.
Nel panorama internazionale, uno dei criminologi di maggior rilievo è Vincente Garrido, psicologo e criminologo, nonché collaboratore delle forze dell’ordine spagnole e consigliere della Direzione Generale degli Istituti Penitenziari spagnoli. La sua esperienza lo ha condotto a collaborare con l’ONU proprio per perseguire l’obiettivo di prevenire le condotte devianti nei giovani abitanti delle zone a rischio dell’America Latina.
Tra le sue numerose ricerche, citiamo quelle sul delinquente psicopatico (freddo e manipolatore o impulsivo e caotico) e sull’attualissimo sex offender: i predatori sessuali sembrano essere i criminali con il tasso di recidività più alto, più il numero di precedenti condanne è elevato e maggiore sarà la probabilità di ripetere il reato. L’impulso predatorio sembra non assopirsi anche dopo aver scontato pene detentive molto lunghe.
Tiranni, psicopatici e serial killer
Ripensando alla storia dell’umanità, quante personalità antisociali vi vengono in mente? Per noi europei è ancora forte il ricordo dei campi di concentramento. A quei tempi, Adolf Hitler non era il solo tiranno, nel suo entourage militavano molti «malvagi» condannati poi per crimini di guerra. Tra questi figura Josef Mengele, noto per i suoi raccapriccianti esperimenti su cavie umane, in particolare bambini (ebrei, trovatelli e zingari). In realtà, definire esperimenti quelli di J. Mengele è un’offesa alla scienza.
J. Mengele si arruolò come volontario nelle SS militari tedesche dove servì per tre anni, successivamente, a partire dal 1943 prestò servizio al campo di concentramento di Auschwitz dove seviziava bambini. J. Mengele aveva due lauree, una in antropologia e una in medicina, pur conoscendo culturalmente il genere umano, decise deliberatamente di straziarlo. Per le sue atrocità, nella Germania hitleriana, J. Mengele fu soprannominato «l’angelo della morte».
Se ai tempi della Germania nazista ci fosse stato uno psicologo-criminologo a colloquio con Josef Mengele, cosa gli avrebbe chiesto? Che tipo di profilo psicologico avrebbe potuto stilare? E soprattutto, cosa spinse J. Mengele a condurre esprimenti crudeli su bambini? Non certo un’ideologia, o meglio, ricordate il principio della multifattorialità? Parlare solo di ideologia nazista sarebbe troppo riduzionista e ci allontanerebbe dallo scopo: comprendere la natura delle condotte devianti dell’uomo.
«Non sopporto un certo tipo di donne, e non cesserò di squartarle finché non le avrò eliminate tutte» queste sono le parole che Jack lo Squartatore scrisse alla Central News Agency di Londra, la lettera era datata 25 settembre 1888.
Un caso ancora più eclatante -ma solo in termini mediatici- è quello di Jack lo Squartatore. Non tutti sanno che il serial killer soprannominato Jack lo Squartatore è un uomo realmente vissuto nel 1988. I tentativi di tracciare un profilo psicologico di Jack lo Squartatore hanno prodotto questi risultati: viene descritta la pulsione omicida, l’estrema violenza sessuale e la profonda misoginia (forte disprezzo per le donne). Chi era davvero Jack lo Squartatore? Per il criminologo Vincente Garrido, Jack lo Squartatore era una persona che viveva i suoi crimini come semplici opportunità. Agiva in un quartiere ricco di potenziali vittime (donne che vagavano nella notte) che gli offrivano l’opportunità di assecondare le sue pulsioni omicide. Nella vita quotidiana viveva emozioni contrastanti e di certo godeva di un elevato status sociale (aveva una discreta sicurezza economica e anche la cultura necessaria per scrivere lettere di beffa alle autorità).
«I volti del male»
Gli appassionati di criminologia e psicologia possono approfondire questi temi con una collana di libri monografici dedicati ai grandi criminali della storia: dai tiranni ai leder delle sette, dai capi di organizzazioni criminali fino ai serial killer come Ted Bundy (nella foto in alto). Il progetto editoriale (edito da Emse) si chiama «i volti del male».
NOTA BENE. Non si tratta di romanzi, ma di monografie ricostruite grazie a un esaustivo lavoro di documentazione su rapporti di polizia, atti processuali, documenti e ricerche sull’eredità di ogni figura.
Allegata alla biografia di ogni «malvagio» è riportato il profilo psicologico tracciato dal criminologo Vincente Garrido. La collana si può acquistare in edicola a partire dal 4 gennaio, il primo numero è dedicato a Jack lo Squartatore (costo 2,99 euro). Per conoscere quali sono le biografie dei personaggi descritti con la collana, vi rimandiamo al sito ufficiale del progetto editoriale: ivoltidelmale.it