Vivere una relazione d’amore tossica, riflessioni dello psicoterapeuta

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Psicoterapeuta cognitivo comportamentale, dottore di Ricerca in Neuropsicologia ed esperta in Mindfulness.

In questo articolo, partirò dalle riflessioni di una mia paziente per approfondire e condividere alcuni aspetti fondamentali del nostro percorso di recupero psicologico, a seguito della chiusura di una relazione con un partner sociopatico. Con il termine-ombrello “sociopatico” intendo indicare, in questa sede, non una diagnosi clinica, ma piuttosto una categoria di individui più o meno tossici e spesso pericolosi nelle relazioni interpersonali, soprattutto quelle sentimentali e amorose.

Si tratta di individui che rientrano in diagnosi cliniche diverse che possono in parte sovrapporsi, e sono caratterizzati da comportamenti ed atteggiamenti tipici e ben identificati dalla letteratura in materia.

Le riflessioni di Giulia (nome di fantasia che non corrisponde al nome reale della paziente) sono così rappresentative delle peculiari difficoltà psicologiche che emergono nelle relazioni con partner sociopatici, che ho deciso di utilizzarle come spunto di approfondimento per mostrare quali siano le dinamiche psicologiche tipiche nelle relazioni con partner sociopatici.

Nell’articolo alternerò dunque i brani tratti direttamente dal diario di Giulia, alla spiegazione di alcuni dei passaggi fondamentali che fanno parte del percorso di recupero psicologico.

1. IL METTERE IN ORDINE

“Iniziare a scrivere su un foglio bianco è sempre difficile, ma questa volta il foglio non è bianco. Al contrario è un foglio di “brutta copia”, pieno di annotazioni sparse, disegni, scarabocchi, parti cancellate. Il mio intento è di riordinarlo e metterlo in bella copia. Questo foglio rappresenta esattamente come mi sento in questo momento: ho provato tanto dolore, ho vissuto un’esperienza traumatica, mi sono persa e lasciata andare, come questo foglio accartocciato tra le mie mani. 

A che punto sono adesso?
Apro il foglio, cerco di stenderlo, di rileggere qualche frase, accarezzo le macchie delle mie lacrime. Non voglio buttarlo via, voglio metterlo in bella copia. Ricordare, riflettere e trascrivere le annotazioni importanti”.

In questa prima parte del suo diario, Giulia inizia a riflettere sull’importanza di scrivere il racconto della sua esperienza in “brutta copia” affinché sia possibile poi riordinare i fatti, e in cui gli eventi possano assumere un significato nuovo, coerente e pieno di senso. Un senso ordinato e comprensibile, che solamente a posteriori apparirà con chiarezza, permettendole di continuare a dipanare la matassa oscura dei dolorosi legami psicologici che uniscono una donna al suo partner tossico: paura, colpa, inadeguatezza, sottomissione, aspettativa, speranza, rabbia… Emerge dunque un primo, importantissimo aspetto del percorso di recupero psicologico: il bisogno di mettere ordine attraverso la narrazione della propria storia.

Mettere in ordine ciò che è accaduto, comprendere il proprio comportamento alla luce di una consapevolezza nuova è un processo molto importante nel recupero del senso di identità e di autodeterminazione. Quel senso di identità che viene lentamente eroso nelle relazioni con partner manipolativi ed abusanti, a causa dei loro comportamenti ambigui e destabilizzanti

Imparare a riconoscere le motivazioni e le dinamiche psicologiche – spesso inconsapevoli – che hanno portato a dibatterci nelle maglie strette di una relazione tossica, è un passaggio delicato ma fondamentale. E’ da qui che si parte nel percorso di riordino, comprensione, cambiamento e rinascita.

2. LA MANCANZA DI CONTATTO 

“Un anno fa l’avevo raggiunto nella sua città. Stavamo cercando di uscire da uno dei momenti di crisi più intensi. Non facevo attenzione alle mie sensazioni, a quello che sentivo, eppure i segnali erano tanti. Mi sembrava un bipolare”.

Un altro degli aspetti che caratterizzano l’esperienza ed il vissuto psicologico di chi si trova in una relazione tossica è la mancanza di contatto con se stessi. 

La scarsa capacità – quando non sia del tutto assente – di ascoltare le proprie percezioni interne, è responsabile di tutte le volte in cui “si fa finta di niente” e si va avanti, a fronte di comportamenti spiacevoli o francamente offensivi. Ma occorre fare una specifica, poiché questo aspetto di non ascolto interiore può, a mio avviso, assumere due connotazioni differenti:

1)  Incapacità primaria, o perdita successiva, della capacità di percepire le proprie sensazioni interne e successivamente mentalizzarle, portandole alla consapevolezza, dando loro un nome, una connotazione cognitiva, un significato contestuale;

2)  Inclinazione a non ascoltare le proprie percezioni e sensazioni interne per timore di dover prendere atto di qualcosa di doloroso e spiacevole (a volte questo fenomeno ha a che fare con la dissonanza cognitivao meglio, con il tentativo di evitarla).

Nicola Ghezzani, nel suo bellissimo libro “La paura di amare”, definisce questa capacità di attenzione, ascolto e consapevolezza come “sensibilità al corpo”; ossia “la lettura dei sentimenti, che presuppone la sensibilità al corpo come fonte di piacere e di dolore” e aggiunge “E la sensibilità al corpo diviene poderosa liberazione quando siamo in grado di dare una qualche lettura dei sentimenti, l’analisi onesta e minuziosa dei propri stati d’animo”.

In assenza di tale capacità di ascolto e lettura, il corpo rimane oggetto distante, forzosamente sganciato dal resto dell’esperienza di relazione, che ne resta monca e parzializzata. Il corpo non mente: imparare ad ascoltarne i messaggi ci permette di vivere a contatto con la realtà, senza perderci nelle nostre paure e aspettative.

 3. IL RUOLO DELLA PAURA

 “Avevo paura. Cominciavo a trovare le tracce di altre donne, ma non reagivo. Stavo male macercavo di andare avantiContribuivo a portare avanti i suoi inganni pur di non perderlo. Nessuna reazione di gelosia. Ero profondamente triste, ma facevo di tutto per accontentarlo.”

L’altro fattore che gioca un ruolo decisamente importante nelle relazioni disfunzionali è la PAURA. Probabilmente, a mio avviso, si tratta del fattore decisivo che spinge ad accondiscendere, tollerare, sopportare e restare nel rapporto anche a costo del proprio benessere.

La paura può assumere diverse forme, tante quante sono le convinzioni disfunzionali e le distorsioni cognitive che la sottendono: abbiamo dunque la paura di restare da soli, la paura di subire ritorsioni e/o vendette, la paura di perdere qualcosa che riteniamo fondamentale, come lo status sociale o economico, la paura di perdere eventuali figli nati dalla relazione, la paura di essere considerati “cattivi” o inadeguati, la paura di apparire sciocchi o poco interessanti, e infine – ma non certo meno importante – la paura di perdere il partner.

La paura porta ad accettare comportamenti dolorosi e irrispettosi, a superare le esperienze spiacevoli pur di restare insieme, ad accondiscendere a richieste e atteggiamenti che non si condividono, a sottomettersi a partner arroganti, manipolatori, infedeli, o aggressivi. La paura porta a credere che tutto sia meglio dell’affrontare la situazione temuta. Ma è un errore: occorre affrontare a viso aperto le proprie paure per potersi finalmente liberare di esse, e con esse di un presente troppo doloroso per essere compatibile con una vita felice e gratificante. A volte, addirittura per essere compatibile con la sopravvivenza psicologica o anche fisica.

4. L’ANNULLAMENTO DI SÈ

 “Chi ero? Dov’ero? Stavo scomparendo, mi stavo annientando.

L’annullamento di sé, il dimenticarsi di se stessi, il mettersi sempre uno scalino più in basso dell’altro; ecco un altro degli aspetti condivisi da molte relazioni disfunzionali. Questo spostamento di focus– da se all’altro – avviene lentamente e gradualmente, attraverso quei comportamenti e scelte che pongono l’altro sempre al primo posto, preoccupandosi prima di tutto delle sue necessità, dei suoi bisogni e delle sue aspettative e tralasciando necessità, aspettative e preferenze proprie.

Questo atteggiamento, ripetuto e generalizzato, porta l’individuo a vivere – come mi piace dire – “su una gamba sola”, cioè in una condizione di equilibrio fragile ed estremamente precario, dove il primo soffio di vento è in grado di farlo rovinare a terra. Ci si annulla per andare incontro all’altro. Ci si annulla per renderlo felice sperando così che a sua volta renda felici noi. Ci si annulla per sentirsi accettati e riconosciuti. Ci si annulla per non essere aggrediti o contestati. Ci si annulla perché ci è stato insegnato un “codice servile”, un insieme di regole morali in cui il senso del donarsi all’altro è stato completamente distorto, trasformato da “dono” in “sacrificio”, legato non più all’amore ma al soddisfacimento di rigidi e sterili precetti morali: “se sarai buono anche gli altri saranno buoni con te”, “porgi l’altra guancia”, “perdona sempre i difetti degli altri” …e così via.

5. UNA VISIONE CHIARA

“Ora ho la sensazione che mi sia tutto chiaro. Nei momenti di nostalgia, so quali immagini richiamare per riportarmi alla realtà. Ultimamente riesco a leggere nel giusto senso perfino comportamenti e segnali a cui non avevo dato alcun peso. Le sue parole assumono uno specifico significato. Ho preso pienamente coscienza del fatto che lui non può più far parte della mia vita. Non mi ha mai amata e per me può rappresentare solo dolore. L’importante è che io abbia preso coscienza di quello che è successo.Mi guardo adesso, a distanza di un anno, dopo un lungo percorso.

A questo punto, dopo aver affrontato un cammino doloroso di consapevolezza e analisi, a volte spietata, delle ragioni che hanno portato ad assumere comportamenti e scelte disfunzionali, si sviluppa la “visione chiara” di ciò che è stato, di ciò che è accaduto. Una visione non più appesantita da sovrastrutture moralistiche, da illusioni adolescenziali o aspettative salvifiche: ora si può finalmente guardare ai fatti per ciò che essi sono stati, dando loro un nome e contestualizzandoli nell’ambiente – psichico, culturale e sociale – in cui si sono sviluppati e hanno preso vigore fino a realizzarsi e perpetrarsi. Questo permetterà di lasciar andare il senso di colpa verso se stessi e verso l’altro, lasciando nascere, al suo posto, un senso di sé più ampio, libero e ricco di sfumature e significato.

6. IL PERDONO DI SÉ

“Non sono più la stessa, ma esisto. Mi guardo con occhi diversi. So di aver sbagliato, so che le colpe non sono solo sue o solo mie. A questo punto non sento più rabbia, più pena né per lui né per me stessa. È successo. È stata un’esperienza, una dura esperienza di vita. Potevo stare più attenta, potevo dire basta prima. Non importa.

Ora ho la sensazione che mi sia tutto chiaro. Nei momenti di nostalgia, so quali immagini richiamare per riportarmi alla realtà. Ultimamente riesco a leggere nella giusta direzione perfino comportamenti e segnali a cui non avevo dato alcun peso. Le sue parole assumono uno specifico significato. Ho preso pienamente coscienza del fatto che lui non può più far parte della mia vita. Non mi ha mai amata e per me può rappresentare solo dolore. L’importante è che io abbia preso coscienza di quello che è successo.”

Il passaggio finale è il perdono di sé, e a volte anche dell’altro. Finalmente si comprende che, date le premesse che abbiamo conosciuto e reso chiare, la relazione non poteva andare diversamente.

Si capisce che è stato un passaggio doloroso di crescita e di comprensione profonda, un passo lungo e faticoso verso un modo più consapevole e pieno di essere se stessi. Probabilmente sperimenteremo una maggiore libertà interiore, che si rifletterà in scelte più corrispondenti ai propri valori e desideri, nella capacità di manifestarsi con amore e rispetto per ciò che si è e nella costruzione di una vita piena di senso.

Si potrà lasciar andare il bisogno compulsivo di ottenere dall’esterno ciò che dobbiamo imparare a donare a noi stessi: amore, rispetto, considerazione, accudimento e validazione, dando valore a ciò che si prova e desidera senza richiedere approvazione dall’esterno, ma semplicemente accogliendoci.