La ricostruzione del fatto: lunedì 3 agosto, Viviana Parisi e suo figlio Gioele si sono allontanati da casa per acquistare delle scarpe. Viviana non ha mai raggiunto il centro commerciale ma ha imboccato l’autostrada verso Palermo da Venetico. Dopo un piccolo incidente nel quale è stato coinvolto un furgone, la Parisi ha scavalcato il guard rail scomparendo nei campi con il piccolo Gioele, 4 anni.
Il corpo di Viviana Parisi è stato trovato nella fitta boscaglia di Caronia, ai piedi di un traliccio dell’alta tensione. Secondo gli investigatori Gioele era con la madre al momento dell’incidente e della fuga nel bosco. La ricerca del piccolo Gioiele continua con cani molecolari e droni. Intanto l’autopsia della donna ha rilevato ferite compatibili con la caduta dal traliccio. «Le fratture e le ecchimosi – spiega il legale Pietro Venuti – sono compatibili con una caduta dall’alto. Non vi sono, infatti, tagli o ferite d’arma da fuoco».
Le ipotesi si muovono verso il suicidio mentre il marito di Viviana Parisi, Daniele Mondello, afferma che la donna non si sarebbe mai suicidata.
La diagnosi di psicosi
Da qualche giorno è apparsa la notizia che a Viviana era stata diagnosticata una psicosi. Notizia che era stata taciuta dal marito che aveva parlato solo di episodi depressivi: «Aveva avuto una forma di depressione che si era acutizzata durante il lockdown. Ma non era un malessere quotidiano e non è mai stata aggressiva, anzi».
Secondo il referto medico dell’ospedale di Barcellona Pozzo di Gotto “Viviana Parisi soffriva di manie di persecuzione”. Per il suo disagio mentale aveva affrontato anche un periodo di ricovero. La cognata di Viviana, Mariella Mondello ha dichiarato: “Diceva a mio fratello che era pedinata, ma erano soltanto cose che aveva nella sua mente. Stava male mentalmente, anche se negli ultimi tempi sembrava stesse meglio, alternava periodi di serenità a periodi di crisi nervose”.
Vediamo da vicino la diagnosi di Viviana Parisi
Il delirio di persecuzione è classificato nel DSM V tra “i disturbi dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici“. Il trattamento del disturbo prevede somministrazione di psicofarmaci, psicoterapia e se necessario il ricovero.
La mania di persecuzione è la convinzione che il paziente possa essere oggetto di aggressioni, danneggiamenti, molestie da parte di un individuo, un’organizzazione o altro gruppo più o meno definito in base alla struttura del delirio stesso. I deliri di persecuzione, infatti, possono essere più o meno strutturati. Un delirio di persecuzione strutturato, per esempio, potrebbe vedere un paziente convinto che personaggi della malavita o dei servizi segreti lo stiano pedinando per precise ragioni o che stiano seguendo un piano ben definito. Un delirio di persecuzione non strutturato potrebbe innescare nel paziente la convinzione che tutti lo stiano spiando senza fini specifici, con la mancanza di un piano coordinato rendendo qualsiasi scenario estremamente imprevedibile.
I deliri sono caratterizzati da un forte distacco dalla realtà.
La letteratura scientifica ci dice che chi soffre di disturbi dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici vede un elevato rischio di suicidio sia in preda al delirio sia nella fase di remissione sintomatica.
Le ipotesi
Gli inquirenti non escludono alcuna pista anche se l’ipotesi dell’omicidio sembra essere, indizio dopo indizio, sempre più remota. Come ha affermato la criminologa Roberta Bruzzone ancor prima dell’esito dell’autopsia: “l’ipotesi suicidaria è decisamente plausibile“.
Tra i vari scenari su quanto possa essere accaduto, nessuno esclude quello più terribile: omicidio-suicidio. Viviana si è tolta la vita lanciandosi dal traliccio dopo aver ucciso suo figlio in un tentativo di fuga andato male.
Le ricostruzioni dei giorni precedenti, vedrebbero Viviana prelevare piccole cifre di denaro. Si era allontanata da casa con 150 euro e aveva rifiutato di pagare il casello autostradale affermando di non avere soldi con sé. Perché Viviana ha omesso il pagamento del casello? Se Viviana Parisi aveva premeditato qualcosa, plausibilmente si trattava di una fuga e non di un omicidio-suicidio. Una fuga dai suoi persecutori.
Quando si soffre di psicosi e ancora più precisamente di manie persecutorie, la situazione può precipitare da un momento all’altro, tuttavia la Parisi potrebbe aver perso ogni contatto con la realtà entro le mura domestiche: solo questo può spiegare il perché dei 104 chilometri percorsi e il tragitto apparentemente senza meta (non si stava recando presso il centro commerciale così come annunciato). In questo contesto, Viviana Parisi può aver male interpretato l’incidente inserendolo nel suo vissuto delirante. Assunta l’ipotesi del suicidio (che sembra essere la più probabile) ed escludendo un eventuale rapimento, sulle sorti di Gioele gli scenari potrebbero essere ridotti a due:
- la madre, nel tentativo di proteggerlo da persecutori immaginari, lo ha occultato danneggiandolo o intrappolandolo.
- Viviana Parisi avrebbe potute vedere in Gioele il suo persecutore-nemico e avrebbe potuto assassinarlo perché ritenuto un grosso ostacolo per la sua fuga o una minaccia per la sua incolumità.
In entrambe le ipotesi, il bambino potrebbe essere stato vittima di un momento di follia.
Suicidio volontario o involontario?
Una donna in preda a una psicosi potrebbe decidere di salire su un traliccio per spiare e osservare l’arrivo dei suoi persecutori e poi fatalmente cadere e morire, in un suicidio del tutto involontario. Sono molti i suicidi involontari che si consumano in preda ai deliri. Oppure si è potuta suicidare volontariamente, con una ideazione suicidaria improvvisata.
Viviana Parisi è stata uccisa dallo stigma sociale
Ci saranno ipotesi su ipotesi, ma anche la ricostruzione più plausibile resterà tale: solo una ricostruzione.
E’ vero, c’è l’inchiesta penale che al di là delle ipotesi deve produrre prove ma al momento di prove certe non ce ne sono e forse la verità non verrà mai a galla. Mentre si cerca la verità su quanto accaduto, si può fare altro: parlare di più dei disturbi mentali e prevenire episodi come questo contrastando lo stigma che accompagna la malattia mentale.
“Stigma” è un termine complesso che include problemi di conoscenza (ignoranza o mis-informazione), di attitudine (pregiudizio) e di comportamento (discriminazione, disinteresse, negazione). Tra i problemi di comportamento c’è tutto il sistema di inerzia osservato nel caso di Viviana Parisi.
Lo stigma è qualcosa che induce al silenzio e porta alla negazione della condizione di malattia mentale. Lo stigma sociale verso le persone affette da malattia mentale persiste ed è un fenomeno radicato ed ubiquitario: la malattia mentale è ancora un tabù, così chi ne soffre lo nasconde, lo nega o non capisce cosa gli sta accadendo, scivolando nella più totale inconsapevolezza.
Qualcuno potrebbe chiedersi: come può una donna con una diagnosi di delirio di persecuzione, essere lasciata da sola con un bambino di soli 4 anni? Un occhio severo potrebbe condannare il marito, la cognata e i familiari che non hanno visto i campanelli d’allarme. I familiari di Viviana Parisi non meritano alcun verdetto di colpevolezza perché probabilmente anche loro sono vittime dello stigma sociale che incombe sulla malattia mentale.
Daniele Mondello, il marito di Viviana Parisi, non ha mai sentito la necessità di fare accenno alla malattia mentale della moglie anche se ha lanciato tanti appelli. In un’intervista pubblicata il 13 agosto sul Corriere.it Daniele ha continuato a ignorare la salute mentale della moglie e alla domanda “Cosa pensa sia successo?” ha risposto:
«Non saprei proprio, è successo qualcosa di così lontano dal nostro mondo che non riesco a immaginare nulla. L’avevo vista tranquilla e sapevo che doveva andare a prendere le scarpe per il bambino, non c’erano motivi di particolare allarme».
Dopo un ricovero, la prescrizione di psicofarmaci e la diagnosi di un disturbo psicotico, se si continua a ignorare un fatto un motivo più profondo c’è e pone le radici nei retaggi culturali.
C’è davvero poca informazione e tanta mis-informazione sulla patologia mentale. Soprattutto sulla schizofrenia e i disturbi psicotici, spesso associati ai retaggi delle strutture manicomiali. La paura della malattia mentale rende l’argomento un tabù con la conseguenza che chi ne soffre non riceve tutto il sostegno possibile (sanitario ma anche sociale).
È dimostrato che abbandonare i pregiudizi e guardare alla malattia mentale per quello che è – cioè una malattia come un’altra e soprattutto che può essere oggetto di un accurato trattamento – ne cambia notevolmente la prognosi. Di fondamentale importanza è ammettere l’esistenza di condizioni psicopatologiche che vanno trattate e non occultate o lasciate al caso.
Solo superando lo stigma sociale si potrà affrontare l’assunzione della responsabilità del prendersi cura di chi ne ha bisogno. Viviana Parisi e il piccolo Gioele, di sicuro ne avevano un gran bisogno.
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