Vuoi cambiare te stesso? Ti basta fare queste due cose

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Partiamo da un presupposto, cambiare non è semplice. A prescindere dal nostro obiettivo, che sia quello di tenersi in forma oppure di stabilire una routine di benessere, o ancora chiudere una relazione disfunzionale, è naturale sperimentare una certa resistenza al cambiamento. Freud e Breuer (1895/1955) furono i primi a introdurre il concetto di “resistenza” nella pratica clinica. Più di recente, la neurobiologia ha evidenziato la fisiologia soggiacente alla resistenza al cambiamento.

Oggi abbiamo abbastanza nozioni per affrontare il problema da più punti di vista e… risolverlo. Lo sviluppo della resistenza al cambiamento inizia nella prima infanzia e può essere fondato neurofisiologicamente. Da bambini, infatti, possiamo apprendere un modello di personalità rigido flessibile.

Diciamocelo, siamo rigidi! Ci aspettiamo che sia la realtà ad adattarsi a noi e non viceversa. Eppure, un buon grado di flessibilità ci consentirebbe di beneficiare di qualsiasi ambiente. La flessibilità è la chiave per una vita felice, relazioni appaganti, sonni tranquilli e poco stress. Tanto più si è rigidi, infatti, tanto più si è chiusi, restii al cambiamento, restii ad accogliere il punto di vista altrui, scettici verso tutti, sfiduciati e prevenuti.

Essere flessibili non significa annullare se stessi, essere eccessivamente tolleranti, adattarsi a tutto o non avere un’identità! Significa piuttosto imparare a riflettere e farlo bene! So che poche persone sono abituate a riflettere, spero che tu faccia parte di quella minoranza che riesce a sfruttare al meglio le proprie funzioni cognitive. Certo, esercitare la propria intelligenza spesso porta molte grane e delusioni, ma fidati, meglio vedere tutto e capire che vivere con la testa sotto la sabbia. Vedere tutto, alla lunga paga, ti salda tutti i debiti che la vita ha con te!

Quella stessa facoltà mentale, infatti, se unita alle nozioni giuste, ti dà modo di muoverti al meglio nella vita e nella relazione. Già, perché la sola capacità di riflettere non basta, l’intelligenza, da sola, è fondamentale ma non risolutiva: ci vogliono anche le nozioni! Abbiamo bisogno di apprendere come funziona la nostra psiche, altrimenti non potremo cogliere quelle dinamiche che ci portiamo appresso dal passato e che ancora oggi ci condizionano… una tra queste, la nostra innata rigidità mentale.

La rigidità nasce con uno scopo conservativo. Il nostro organismo ha risorse limitate e così, il nostro sistema nervoso, funziona con un meccanismo noto come “economia fisiologica”. Cioè, per risparmiare, tende sempre a usare gli stessi circuiti cerebrali, ciò significa che rinforza sempre gli stessi schemi di pensiero (e di comportamento) a discapito di nuove opportunità da cogliere. In pratica, se nella realtà ci sono nuovi e vecchi elementi, il tuo sistema nervoso, ti farà selezionare sempre gli elementi vecchi, già conosciuti, escludendo dalla tua coscienza quelli nuovi. Ora si spiega perché tendiamo a commettere sempre gli stessi errori, per non caderci, abbiamo bisogno di allenarci al nuovo, imparare prima a vederlo e poi a coglierlo. Ecco perché è importante saper riflettere.

Tempo e azione, due cose indispensabili

Nella pratica quotidiana, per affrontare un cambiamento, prova a considerare solo due fattori: tempo e azione. L’azione è spesso supportata da schemi di comportamento abituali, reazioni che ormai sono divenute automatiche. Cambiare diviene difficile proprio perché siamo guidati da un meccanismo quasi automatico. Non è la paura del cambiamento che ci paralizza e ci fa ristagnare ma sono le nostre risposte automatiche apprese.

Ecco a cosa serve il fattore tempo. Quando sentiamo che un’emozione o un impulso ci assale, abbiamo bisogno di tempo per riflettere. È qui che diviene fondamentale rallentare il ritmo, procrastinare la re-azione, riflettere e trasformare quella reazione automatica in nell’azione ponderata e desiderata. Molte persone irascibili, hanno appreso uno schema rabbioso.

Il copione è sempre lo stesso: vi è uno stimolo esterno, aumenta il volume della rabbia e con essa la tensione emotiva, ecco che arriva la scarica verso l’esterno! Zac! Si feriscono le persone che amiamo. Ciò che dobbiamo fare per cambiare è darci tempo. Dilatare il tempo che trascorre tra lo stimolo esterno e la nostra reazione. In quel frangente, dobbiamo avere la pazienza di accogliere le nostre emozioni, accettarle senza resistenza, magari provare a comprenderci e da qui riflettere sulla nostra eventuale re-azione desiderata (e non automatica!).

Quando ci concediamo del tempo, disinneschiamo uno dei nostri modelli più rigidi, quello della scarica immediata. L’immediatezza favorisce pensieri a breve termine. Quando facciamo pensieri a breve termine, indovina un po’? Non pensiamo mai alle conseguenze, ci dimentichiamo dei nostri progetti a lungo termine e… addio cambiamento. Ogni volta che facciamo vincere il modello stimolo->reazione, rinforziamo sempre di più i nostri circuiti cerebrali primitivi.

Quando invece rallentiamo la nostra risposta e proviamo a fare valutazioni più attente sulla nostra realtà (interiore ed esterna), alleniamo la nostra corteccia prefrontale, cioè la parte più evoluta del nostro cervello, quella deputata alle funzioni quali: memoria di lavoro, progettualità, problem solving, pensiero critico (…). Rallentamento dopo rallentamento, sarai abbastanza allenato da agire per perseguire i tuoi obiettivi, lasciandoti alle spalle i vecchi modelli. Potrai quindi dire di essere cambiato!

Il ruolo della mancata accettazione

Quando ci sono parti di noi che rinneghiamo, finiamo per essere troppo concentrati nella nostra lotta interiore da non avere altre risorse da destinare al cambiamento. La verità è che abbiamo capacità attentive limitate, quindi: o ci impegniamo a criticarci e condannarci (o criticare e condannare gli altri e vivere con la testa sotto la sabbia), oppure ci impegniamo a conoscerci meglio, accogliendoci per ciò che siamo.

In fondo, per accettarci ci basterebbe capire che oggi siamo il risultato di tantissime azioni e non c’è nessuna colpa in questo. Tutto ciò che facciamo e che siamo ha una ragione che può essere individuata nella nostra storia personale. Se impariamo a conoscerci davvero, allora diventerà facile accettarci, perché capiremo che tutto ciò che siamo è una “sintesi inevitabile”, una “forma di adattamento” all’ambiente in cui siamo cresciuti.

Anche i nostri schemi automatici sono una forma di adattamento. Prima ho riportato l’esempio della rabbia. Anche gli scatti d’ira possono essere una forma di adattamento e raccontarci una storia personale ricca di ingiustizie, riconoscimenti mancati e scarsa attenzione all’emotività. Ogni schema rigido che oggi ci impedisce il cambiamento, ieri ha avuto la sua utilità.

Questa comprensione ci renderà liberi, liberi da ogni giudizio e forma di autocritica, liberi anche di cambiare. Non più prigionieri di ciò che è stato ma liberi di essere ciò che desideriamo.

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Anna De Simone, psicologo esperto in neuropsicobiologia
Autore del bestseller «Riscrivi le pagine della tua vita» edito Rizzoli
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