Il potere delle paure nascoste è molto più forte di quanto possiamo immaginare, condiziona la nostra vita fino a generare dei veri e propri blocchi psicologici. La paura di soffrire è quella che ci accomuna tutti e può essere alla base di molti blocchi emotivi.
Da un punto di vista evolutivo, la paura della sofferenza può essere molto utile perché ci tiene al sicuro da potenziali pericoli, tuttavia quando questo timore si estrinseca a livello emotivo i risvolti psicologici possono essere limitanti.
La paura di soffrire può precluderci una bellissima storia d’amore così come può limitare le nostre ambizioni in ambito lavorativo. Ognuno di noi è più o meno sensibile alle varie sfaccettatura della sofferenza: il dolore della perdita, dell’abbandono, il dolore del fallimento, del giudizio, il dolore della sconfitta, dell’inferiorità, quindi la paura di non valere e di deludere le aspettative altrui., (…).
C’è poi chi vede nella sofferenza una forma di debolezza da evitare a ogni costo. Chi pensa che “solo i deboli soffrono” porta dentro di sé una lunga serie di blocchi mentali scaturiti da un’unica credenza. Tale credenza è a sua volta radicata in ancestrali paure inconsapevoli (ecco perché in premessa le ho chiamate “paure nascoste”).
Alla base dei blocchi psicologici ci sono principalmente tre cause:
- Paura
- Invalidazione (si manifesta anche mediante sensi di colpa)
- Mancanza di fiducia nelle proprie risorse
Vedremo che queste tre cause non si presentano mai da sole ma sono anelli della medesima catena evolutiva; prima, però, chiariamo cosa sono i blocchi psicologici.
Blocchi mentali: cosa sono?
Non vi è una definizione univoca di “blocco psicologico”, questo infatti può essere spiegato come quell’insieme di meccanismi disfunzionali che non consentono l’evoluzione e la crescita dell’individuo in uno o più ambiti della propria vita. Molto diffusi sono quei blocchi psicologici che si verificano in ambito sentimentale o sessuale.
Qualcuno potrebbe descrivere i blocchi psicologici come meccanismi di difesa. Quando una situazione inaccettabile a livello emotivo, la nostra mente mette in moto un meccanismo di difesa che ci permette di sopravvivere al problema. Tale meccanismo può dar vita a dei blocchi emotivi, il blocco ha la funzione di proteggersi dal dolore e dal pensiero inaccettabile legato alla situazione vissuta.
La funzione difensiva del blocco emotivo è quella di proteggerci da uno stress particolarmente intenso, da una sofferenza che può generare un trauma. Tale funzione difensiva è utile solo se successivamente la persona si concede la possibilità di rielaborare il proprio vissuto, validarlo e contestualizzarlo in modo funzionale. In caso contrario, questi blocchi psicologici possono impedire la crescita personale e la guarigione psicologica; le persone, infatti, rimangono bloccate con i loro sintomi e le loro relazioni nelle esperienze dolorose che hanno incontrato nella loro vita. Spesso si tratta di esperienze emotive precoci.
È facile intuire che blocchi mentali sono spesso vincoli emotivi che ci portiamo dentro fin dall’infanzia. Possono risalire alle parole di sfiducia pronunciate dai nostri genitori o a quelle esperienze che ci hanno turbato e segnato profondamente.
Una volta adottati ci troviamo con pensieri che ci limitano e ci fanno sentire a disagio talvolta senza saperne il motivo. Per comprendere meglio i blocchi mentali riporterò un esempio pratico, il caso clinico di Paolo.
Un caso clinico per riflettere
Paolo è un ragazzo di trent’anni cresciuto con una mamma appiccicosa e ansiosa e un padre completamente assente che ha preso le distanze dalla famiglia quando egli aveva appena sei anni.
Nonostante i suoi successi lavorativi e ancor prima scolastici, Paolo ha sempre percepito delle forti mancanze di sottofondo. Non è mai riuscito a definire con esattezza questa sua percezione, tuttavia la sua inadeguatezza si rifletteva anche in amore e in ambito sessuale dove attraversava periodi passeggeri di impotenza.
Paolo non riesce a stringere legami profondi, il suo blocco emotivo lo limita sia in amore, sia in ambito professionale dove non si sente mai pienamente all’altezza della situazione.
Il blocco psicologico di Paolo può essere spiegato come un arresto evolutivo. Il suo sviluppo è stato danneggiato dall’assenza di certi riferimenti genitoriali cruciali che sono necessari alla crescita psicologica: qualcuno da ammirare, qualcuno che apprezzasse il suo modo di essere, qualcuno che validasse i suoi stati d’animo, qualcuno in grado di incoraggiare e valorizzare le sue esperienze, (…).
Ciò che è mancato nell’infanzia di Paolo (validazione, fiducia, identificazione…) continua a mancare nella sua età adulta.
Paura, invalidazione e sfiducia
La crescita di Paolo è stata accompagnata da una forte e costante paura di deludere le aspettative di una madre appiccicosa che non gli lasciava spazi. Per non ferire sua madre, Paolo aveva imparato a mostrarsi sempre forte e sorridente, aveva imparato che non era possibile mettere a nudo le sue emozioni perché questo significava far allarmare la mamma.
Quando un bambino manifesta disagio, se non trova un ambiente supportivo, apprenderà che manifestare disagio è inutile o controproducente, oppure, in base ai feedback ottenuti dall’ambiente di crescita, imparerà modi alternativi per manifestare le sue sofferenze (aggressività, scoppi d’ira, mutismo…).
Il problema è che gli apprendimenti precoci funzionano come condizionamenti e originano blocchi psicologici.
La metafora dell’elefante e l’origine dei blocchi psicologici
In India gli elefanti fin da piccolissimi, vengono legati con una corda ad un paletto di legno. I piccoli inizialmente tentano di liberarsi da questo vincolo ma la corda è troppo resistente. Il piccolo presto impara che non è possibile liberarsi e smette di tentare la fuga.
Passano gli anni e l’elefantino diventa adulto. Nonostante la sua forza, l’elefante rimane sempre legato alla stessa corda di quando era piccolo. Perché l’elefante non rompe la corda? Semplicemente perché da piccolo aveva imparato che non era possibile, da grande, questo apprendimento si rifletterà in un blocco mentale.
Un po’ come gli elefanti anche noi impariamo un modello e lo seguiamo senza darci la possibilità di esplorare nuovi modi di essere perché semplicemente non li conosciamo, nessuno ce li ha mostrati e non abbiamo mai avuto modo di farne esperienza.
Non avendo mai imparato ad avere fiducia nelle nostre risorse, facciamo della paura di deludere il prossimo la nostra bussola. Non avendo mai imparato che l’altro può essere una risorsa e un supporto alle nostre sofferenze, decidiamo di mascherare qualsiasi debolezza.
Come superare i blocchi psicologici
Come abbiamo visto, i blocchi psicologici sono fortemente radicati fin dalla nostra infanzia e liberarcene non è affatto semplice. Per superare qualsiasi blocco emotivo dovremmo accumulare quelle esperienze atte a sfatare gli apprendimenti e le paure soggiacenti allo stesso blocco.
Esperienze emotive correttive possono essere di grande aiuto per superare qualsiasi blocco mentale.
L’esperienza con lo psicoterapeuta, per esempio, potrebbe fornire una “nuova genitorialità”. In alcuni modelli psicoanalitici si ritiene che la relazione psicanalitica offre esperienze che sono analoghe a quelle fornite dai genitori, abbastanza vicini da rivitalizzare il cammino evolutivo rimasto bloccato ed a rendere possibile la consapevolezza e l’elaborazione della perdita per ciò che non si è avuto in precedenza.
Cosa succede se non si supera e non si elabora un blocco psicologico? Il risultato è la povertà di esperienze importanti, la coazione a ripetere e la stagnazione.
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Bibliografia
L’Esperienza della Psicoanalisi. Storia del Pensiero Psicanalitico moderno.
Programma di Psicologia Psichiatria Psicoterapia – A. Mitchelle e J. Black