Titolo: The undoing – Le verità non dette
Miniserie: 6 puntate
Anno: 2020
Regia: Susanne Bier
Temi trattati: disturbo antisociale della personalità, sociopatia, disturbo narcisistico della personalità, nutrimento narcisistico, bias cognitivi, meccanismi di difesa, tratti istrionici, ossessioni, protodissociazione, sintomi dissociativi, plurivittimizzazione.
Voto: 3.5/5
Colonna sonora: 6/10
Tratto dal libro: una famiglia felice di Jean Hanff Korelitz
La trama
La miniserie racconta di una famiglia perfetta, composta da due coniugi innamorati e un figlio che frequenta una prestigiosa scuola di Manhattan. Lei, Grace Fraster (interpretata da Nicole Kidman) è una psicoterapeuta, lui, Jonathan Fraser (interpretato da Hugh Grant) è un oncologo pediatra. I coniugi prendono parte a tutti gli eventi mondani della città, sono ben inseriti nella New York benestante ma questa apparente serenità, durerà poco.
La maschera della famiglia perfetta inizia a sgretolarsi il ritrovamento del cadaveri di Elena Alves (interpretata dall’italiana Matilda De Angelis) e in ogni episodio lo spettatore si chiederà: chi è stato? Tutte le tracce conducono a Jonathan, ma solo nell’episodio finale sarà svelata la verità.
Dove vederla?
La miniserie HBO, in Italia è andata in onda su Sky Atlantic.
Rassegna psicologica «The Undoing – Le verità non dette»
Attenzione!
Quanto riportato di seguito andrebbe letto solo dopo la visione della serie. La spiegazione delle dinamiche psicologiche e i profili dei personaggi sono ricchi di spoiler.
La sceneggiatura di un thriller psicologico non può lasciare nulla al caso, tuttavia in questa miniserie ci sono molte “verità non dette” anche negli atteggiamenti dei personaggi, scelta quasi d’obbligo se si vuole tenere lo spettatore sulle corde quando il finale sembra scontato. Fin dal secondo episodio, infatti, tutti gli indizi sul “chi ha commesso l’omicidio?” puntano nella direzione di Jonathan Fraser e sì, non ci sarà nessun colpo di scena; è lui l’assassino.
Nonostante i sospetti iniziali conducano al vero colpevole, lo spettatore non avrà le idee chiare fino all’ultimo episodio. La regia gioca molto con “il non detto” e svela, poco a poco, aspetti della personalità di ogni personaggio. In questa descrizione inizierò dalla vittima, Elena Alves.
Nella psicologia forense, la vittima non è mai vista come soggetto che subisce passivamente un reato, ma come parte attiva o addirittura, come in questo caso, come parte preponderante dell’intera storia delittuosa. Elena Alves attira subito l’attenzione dello spettatore, il motivo? E’ fuori posto! Lo è sia per i modi di fare (provocatori, netti, taglienti) che per il suo ceto sociale.
La sua storia si intreccia con quella di Grace Fraser perché condividono un luogo, la scuola privata in cui entrambe hanno iscritto i rispettivi figli. Grace non solo paga l’intera retta ma la sua famiglia sostiene l’istituto privato con generose donazioni. Elena, che vive in uno dei quartieri poveri di New York, riesce a permettersi la prestigiosa scuola grazie a una borsa di studio, ottenuta, poi si scoprirà, per opera di Jonathan.
Come una nota stonata, Elena partecipa con Grace ai preparativi di un’asta di raccolta fondi destinati alla scuola. Fin dalle prime scene traspare l’atteggiamento provocatorio di Elena. Le scene di nudo sono dirompenti e mostrano un corpo che ispira voluttà, i temi della sessualizzazione e dell’ossessione, vengono fuori più volte intorno al personaggio di Elena che si fa sempre più presente nella vita di Grace.
Elena voleva imporsi nella vita dei Fraser ed è per questo che è stata uccisa. Jonathan, l’assassino sociopatico, non poteva accettare un cane sciolto nella sua vita e così, in preda a un inaspettato raptus, ha finito per ucciderla con ben 11 martellate al viso.
Elena sarebbe potuta rimanere nella vita di Jonathan fintanto avesse mantenuto un ruolo sfocato sullo sfondo, come una donna mansueta pronta a concedere il suo corpo, pronta a idolatrare e a nutrire il patologico narcisismo di Jonathan. L’emotività instabile di Elena è stata la rovina per la famiglia Fraser. Avendo già descritto la vittimologia della miniserie che tesse la tela dell’intera trama, passerò al profilo psicologico dei coniugi Fraser.
Il profilo psicologico di Grace Fraser
Alcuni critici hanno descritto l’interpretazione di Nicole Kidman come troppo “rigida” o addirittura “tirata”… In realtà, è proprio così che doveva essere il personaggio di Grace: rigido e contenuto. Grace fa trasparire i suoi vissuti irrisolti nelle conversazioni con il padre e nelle osservazioni che compie nelle relazioni terapeutiche. Analizziamo due scambi rivelatori.
Grace, in un colloquio con una paziente:
«C’è un tipo particolare di persona con cui lei vuole stare e forse ha un po’ troppa fretta di vedere quella persona negli uomini che incontra da non vedere davvero la persona che hai davanti».
Grace voleva una vita perfetta, così ha idealizzato Jonathan proiettando su di lui le virtù atte a soddisfare i suoi desideri e bisogni. Grace non si è resa conto le parole riportate in alto, parlavano anche di lei oltre che della sua paziente. Presa dalla fretta di voler costruire una famiglia perfetta, ha finito per escludere dalla coscienza qualsiasi sospetto circa le condotte del marito. Questo meccanismo è stato descritto, successivamente durante il processo contro Jonathan, come un bias cognitivo, ma in realtà i bias non capitano per caso. Ogni distorsione cognitiva nasce per un vissuto emotivo.
In psicologia, un bias cognitivo indica una distorsione che si manifesta con la tendenza a creare una propria realtà soggettiva che non necessariamente corrispondente all’evidenza. Questa tendenza porta a inevitabili errori di valutazione, mancanza di oggettività e giudizio. Perché Grace è inciampata in questo bias? La risposta è riconducibile alla sua infanzia. Dai racconti Franklin Reinhardt (padre di Grace) emergono dettagli sull’infanzia di Grace e sui modelli genitoriali che l’hanno accudita.
In una conversazione Franklin svela che in realtà non è stato affatto un buon padre o un buon marito, che tradiva spesso la mamma, la quale, restando nella relazione, accettava tutto. I ricordi d’infanzia di Grace era completamente diversi: Grace ricordava due genitori affiatati e una famiglia piena d’amore. C’è un incongruenza tra la memoria esplicita di Grace e la sua memoria implicita. Se per Grace sua padre era così amorevole e presente, allora perché non è mai stata in grado di chiedergli aiuto?
Durante l’infanzia, quando un bambino è posto dinanzi a una realtà inaccettabile, la dissocia dalla coscienza vivendo esperienze che P. Fonagy descrive come proto-dissociative. La figura del padre non poteva essere, allo stesso modo, quella di un uomo amorevole e quella dell’uomo capace di ferire la mamma e la figlia. Poiché i bambini non sanno fare elaborazioni complesse, finiscono per dissociare (eliminare) dalla coscienza (consapevolezza) la realtà che arreca più sofferenza. Tuttavia, tale realtà non viene completamente eliminata, rimane e forma in qualche modo la personalità, quella di Grace, infatti, era contenuta, rigida e tendente alla piena autonomia (lavorativa, emotiva…).
Innamorandosi di Jonathan, Grace aveva replicato (seppur in misura diverse) il modello genitoriale. L’esperienze proto-dissociative vissute nell’infanzia, vengono fuori in età adulta anche in un ulteriore modo, più adattivo: le passeggiata notturne delle quali Grace sembra di ricordare poco.
Il profilo psicologico di Jonathan Fraser
La regista (Susanne Bier, della quale ho apprezzato molto Bird Box, con Sandra Bullock) ci rivela un dettaglio molto forte sulla storia di Jonathan Fraser, non parlo della morte della sorellina quando Jonathan aveva 14 anni. Per uno psicologo dello sviluppo, a 14 anni, le basi della personalità sono già state gettate. Mi riferisco a una caratteristica materna. Per non complicarsi la vita, Susanne Bier ha ben pensato di non far apparire le madri dei due protagonisti, e di far trapelare solo qualche dettaglio, il tanto che basta. La madre di Jonathan si palesa solo in una conversazione telematica con Grace.
In un contesto drammatico come l’indagine per omicidio, un genitore dovrebbe apparire emotivamente coinvolto o quantomeno colpito, anche se ormai sono anni ormai che non ha rapporti con il figlio. La madre di Jonathan, invece, è più concentrata a correggere la composizione grammaticale della frase di Grace piuttosto che sui fatti esposti che, di per sé, avevano un elevato carico emotivo. Il dolore e l’angoscia di Grace non le arrivano, tanto che in quel momento la sua reazione spontanea è quella di sopraffarla.
Nella conversazione, la madre racconta di un figlio incapace di provare qualsiasi emozione, che non aveva mai sofferto per la morte della sorellina, ma, con le sue parole, svela anche se stessa. La madre di Jonathan è una di quelle che oggi si definiscono “grammar nazi” (persone che provano piacere o un impulso irrefrenabile nel correggere gli altri), le spiegazioni di tale tendenza sono molteplici, in questo contesto rivelano una donna prevaricatrice, estremamente centrata sul controllo e priva di ogni empatia. Le stesse caratteristiche le ritroviamo anche in Jonathan.
Nell’episodio finale, Grace attribuisce a Jonathan un disturbo narcisistico di personalità. Tale diagnosi è indubbia ma si combina con marcati tratti antisociali, una diagnosi che può sovrapporsi a quella di disturbo anti-sociale della personalità.
Jonathan è in grado di simulare qualsiasi stato emotivo ma non di provare vere emozioni. Proprio come un sociopatico non sa cos’è il rimorso, non conosce i sensi di colpa o la paura. Usa gli altri per nutrire il proprio ego e per questo non poteva scegliere lavoro migliore dell’oncologo pediatra. Chi non ammira un uomo che tenta di lenire la sofferenza in creature innocenti?
Commenti d’Autore
Mentre sui forum e sui social network si dibattono le scene di nudo di Elena Alves, con i miei colleghi psicologi ci confrontavamo su un altro tema: un uomo calcolatore, freddo, che simula ogni stato emotivo, che tipo di coinvolgimento può nutrire per arrivare a infliggere 11 martellate al volto di una donna? Certo, un colpo al viso può essere simbolico (traspare il messaggio: io ho il potere di cancellarti) ma le 11 martellate rientrerebbero più nel profilo di uno psicopatico (per esempio, il Jocker di Batman) che di un sociopatico come Jonathan Fraser. Quindi questa scelta, è vero che enfatizzava un atto simbolico ma a mio parere crea anche una forte incongruenza con ciò che la stessa regia aveva costruito circa la personalità di Jonathan. Potrebbe interessarti la lettura del mio articolo: differenze tra sociopatico, psicopatico e narcisista.
In un’intervista andata in onda su RDS, Matilda De Angelis (Elena Alves) ha affermato di aver interpretato una donna erotomane. L’erotomania è un disturbo delirante caratterizzato dalla convinzione infondata e ossessiva che un’altra persona (ritenuta inaccessibile per ceto o posizione sociale) provi sentimenti amorosi nei suoi confronti. Anche qui, la regia ha creato una buona base ma ha commesso diverse sbavatura. Elena Alves è indubbiamente un personaggio complesso, pervaso da un disagio emotivo, con tratti ossessivi e istrionici, ma il suo atteggiamento non fa trasparire alcun tipo di delirio, le sue condotte sono ben lontane da quelle di un erotomane. Per intenderci, Lorna Morello della serie Netflix “Orange is the New Black” è una erotomane ma non Elena Alves.
Dalla prospettiva di questo personaggio, la trama della miniserie racconta di una donna voluttuosa, provocatoria, che strumentalizza il suo corpo come catalizzatore di attenzioni. Le attenzioni dell’erotomane sono solo immaginarie, Elena aveva ricevuto concrete avance dal buon padre di famiglia Jonathan così come aveva catalizzato l’attenzione di un buon numero di maschi durante la raccolta fondi. L’inquadramento generale del disturbo c’è, ma poi la personalità del personaggio è strutturata in modo diverso, quindi l’erotomania non ci sta.
Curiosità:
Matilda De Angelis, ai microfoni di RDS, ha messo di aver sofferto della sindrome dell’impostore.
Il titolo originale del presente articolo era “The undoing – uno psicopatico in famiglia” ma poi spoileravo la fine fin dal principio, quindi mi sono limitata a riportare il titolo originale della serie.
Frasi su cui meditare
«Non è mai una buona idea dare una valutazione di se stessi con gli occhi di chi è infelice» – Jonathan Fraser
«I pazienti fanno sempre così, vengono da te in cerca della verità, ma quando tu gliela dai, loro non la accettano e scappano» – Grace Fraser
Questo articolo è parte della rubrica cinematografica e delle serie tv di Psicoadvisor, curata dalla dott.ssa Anna De Simone. Se ti è piaciuto questo articolo, puoi seguirci su Facebook: sulla Pagina Ufficiale di Psicoadvisor e sul profilo FB della psicologa Anna De Simone