Il dolore sociale è un dolore psicologico, che deriva da esclusione sociale e isolamento. Le ultime ricerche in psicobiologia mostrano come il dolore sociale e quello fisico condividano parzialmente le stesse basi neurali. Il dolore psicologico non è qualcosa di aleatorio, immaginario o intangibile: è nel nostro corpo proprio come il dolore fisico.
Sentirsi esclusi dagli altri
Chi ha dovuto fare i conti con l’emarginazione in ambienti sociali come la scuola o il lavoro, conosce bene il potere demotivante del dolore sociale. L’emarginato catalizza il disprezzo altrui e finisce per disprezzare se stesso. La mancata accettazione da parte del gruppo diventa propria perché è vero: spesso giudichiamo noi stessi con gli occhi di chi ci guarda, soprattutto quando siamo già vulnerabili.
Riporto una mia vecchia intervista sul tema del dolore sociale.
Da che tipo di vissuto deriva l’emarginazione e perché ci si sente esclusi?
Ci si sente esclusi perché si hanno difficoltà di inserimento in un contesto sociale o perché è il contesto sociale a mostrare ostilità nei nostri confronti (a causa di pregiudizi o situazioni conflittuali). A questo proposito è importante sottolineare la differenza tra “sentirsi esclusi” ed esserlo davvero.
Quando parliamo di gruppi vi sono delle dinamiche di aggressività che possono risultare distruttive per i rapporti umani, basterà pensare al bullismo tra i banchi di scuola, il mobbing nei luoghi di lavoro, il cyberbullismo in rete e il fenomeno mediatico degli haters. L’aggressività talvolta può essere anche mascherata con dinamiche escludenti più sottili ma ugualmente debilitanti.
In generale, sia se si tratta della sensazione di isolamento, sia se si tratta di un’esperienza escludente esplicita, la persona isolata spesso si contraddistingue da un elemento del carattere psichico che è l’introversione. Non sempre è semplice allinearsi al mondo emotivo di una collettività, soprattutto quando si è chiusi. Mentre in alcuni contesti sociali “bisogna mostrarsi” sicuri di sé ed estroversi.
Diventa ancora più complicato quando alle spalle si hanno particolari vissuti di non accettazione in ambito familiare. Chi, nella propria famiglia si è sentito escluso e messo da parte, con più facilità si sentirà ugualmente escluso in altri contesti sociali.
Che cos’è il dolore sociale e come si manifesta?
In psicologia, il termine “dolore sociale” è usato per indicare qualsiasi dinamica del dolore attivata a livello interpersonale, la parola “sociale” sta a rimarcare il contesto relazionale e non necessariamente alle dinamiche di gruppo. Non si parla solo di isolamento ed esclusione, per esempio, anche la sofferenza che si esperisce al momento della separazione dall’altro può essere definita “dolore sociale”.
Vergogna, umiliazione e imbarazzo
In caso di esclusione, il dolore sociale riferisce un’esperienza di vergogna, umiliazione, imbarazzo, la conferma di un senso di inadeguatezza che spesso il soggetto escluso sente già come proprio.
Dall’esterno il dolore sociale può essere notato per la postura particolarmente incurvata del soggetto, le spalle chiuse, lo sguardo sfuggente (difficilmente la persona che si sente esclusa riuscirà a mantenere a lungo il contatto visivo con il prossimo) e capacità cognitive ridotte (la persona è fortemente concentrata sul suo dolore e può mancare di spirito di osservazione e attenzione).
Quali sono le cause?
Le cause possono essere molteplici e riconducibili al contesto sociale ma soprattutto al vissuto individuale. Uno studio condotto nel 1986 ha scoperto che quando i bambini passano da un gruppo all’altro, tendono a ricoprire sempre lo stesso ruolo. Così, una persona esclusa in un gruppo ha più possibilità di essere emarginata anche in altri ambiti. Ecco perché se una persona si è sentita messa da parte in ambito familiare, con molte probabilità si sentirà esclusa anche nel gruppo dei pari (a scuola prima e sul lavoro poi).
Questa non è l’unica dinamica osservata. Altre cause sono riconducibili alle esperienze vissute entro i primi due anni di vita, quando tra genitore e figlio si instaura un sistema di attaccamento. Se con la propria madre, il bambino fa esperienza di rifiuto, successivamente lo stesso bambino tenderà ad assumere comportamenti tali da suscitare la stessa reazione anche negli altri (insegnanti, compagni di scuola e poi colleghi).
Il bambino rifiutato svilupperà una forte rabbia e senso di ingiustizia mediante i quali tenderà a innescare una reazione di rifiuto anche nelle persone conosciute all’esterno del proprio sistema familiare.
Il sentirsi esclusi è sintomo di un disturbo psichiatrico?
Il “sentirsi escluso” non è sintomo di un disturbo psichiatrico, tuttavia vi sono dei disturbi caratterizzati proprio da un forte senso di inadeguatezza sociale e isolamento, è il caso del disturbo evitante di personalità e della fobia sociale (un disturbo d’ansia specifico). In ogni caso, preso da solo, quel “sentirsi escluso” può essere interpretato esclusivamente come l’indicatore di un vissuto difficile e nulla di più. Qualcosa da approfondire in ambito clinico ma che da solo non riferisce nulla.
Isolamento, accusa, esclusione, aggressione… raccontano molto sia su chi le subisce sia su chi le pratica. Ma tutto deve essere analizzato nel contesto specifico.
Quali sono le strategie da mettere in atto quando ci si sente prigionieri della sensazione di essere esclusi da un gruppo?
Chi si sente escluso dovrebbe fare un’auto-analisi della sua storia affettiva e ripensare alle dinamiche interpersonali ricorrenti che hanno caratterizzato la sua vita, a partire dalla storia della famiglia di origine.
Come premesso, chi si sente escluso generalmente tende a concentrarsi sul proprio senso di inadeguatezza e sul dolore, abbassando il grado di attenzione verso l’esterno. Eppure è proprio osservando l’altro e cercando di entrare in empatia con la “mente del gruppo” che ci si può inserire meglio. Chi si sente escluso dovrebbe anzitutto iniziare a lavorare sul suo senso d’identità personale, sull’autonomia emotiva e sull’autostima, una sana autostima è la carta vincente per integrarsi in qualsiasi gruppo, le basi vanno gettate costruendosi una sana identità personale.
Studi hanno messo in relazione il dolore che viene provocato dall’emarginazione con il dolore fisico, lei cosa ne pensa?
I risultati dello studio non mi meravigliano. In termini evolutivi si è sviluppata prima la base neurale del dolore fisico. Successivamente, la medesima matrice del dolore fisico è stata chiamata a segnalare anche il dolore sociale in quanto l’inclusione in un gruppo è essenziale per la sopravvivenza. Sempre da un punto di vista evolutivo abbiamo sviluppato molti sistemi specializzati atti ad aumentare le nostre probabilità di sopravvivenza.
Lo stesso sistema di attaccamento madre-bambino sembrerebbe avere delle forti implicazioni evoluzionistiche: siamo geneticamente programmati per stringere legami significativi. Non c’è da meravigliarsi nel vedere sovrapposizioni di questo genere. Il settore disciplinare della psicobiologia è ancora ai suoi albori, senza dubbio con il tempo saremo in grado di spiegare in termini neurobiologici e biochimici molti meccanismi psicologici.
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Lo studio: The neural bases of social pain