Capita di non volere sentire o provare una emozione che infastidisce o diventa col tempo scomoda…cerchiamo di evitarla, negarla, oppure al tempo stesso diventa come una ossessione. A volte si è tolleranti riguardo alla maggior parte di emozioni in cui ci si sente sicuri …. ma basta una sensazione o un evento che fa arrabbiare o rende ansiosi che si attivano le difese.
Le difese sono parti di sè che ci proteggono
Ci difendono dal sentire un dolore più grande durante tutto il corso della vita, proteggono parti più fragili facendo in modo che le emozioni intense, disregolate non possano avere il sopravvento al punto da minare l’equilibrio psicologico.
Zaccagnino (2018) descrive queste parti attraverso questa metafora: proviamo a pensare a una ferita o alla rottura di una parte del corpo (queste sono le parti ferite, parti del sè che hanno vissuto un trauma o un evento critico/negativo), “Che cosa utilizziamo per sentire un maggior sollievo?” “Il cerotto, la benda o il gesso.”
Queste sono le parti che proteggono da un dolore molto più grande che potrebbe essere sentito nella zona del corpo ferita se non venisse “salvaguardata”. Il cerotto, o la benda o il gesso il più delle volte sono scomodi, rendono difficili alcuni movimenti come allo stesso modo i meccanismi di difesa o le parti protettrici utilizzano modalità che possono dare malessere come ad esempio il sentirsi anestetizzati, non riconosciuti, negati, giudicati, svalutanti……
Secondo Forgash e Copely (2014), la personalità è composta anche da parti del sè o stati dell’Io e nelle persone che non hanno dovuto affrontare un trauma o più traumi irrisolti, si rappresentano come coese e integrate.
Le “parti del sé” si intendono tutte le parti che costituiscono la persona e possono essere davvero molteplici e diverse
Come ad esempio, la parte bambina, la parte adulta, la parte che prova un certo sintomo, la parte determinata, la parte ironica, la parte che difende o protegge….Tali parti quando sono ben integrate, la persona seppure in situazioni diverse e in ruoli diversi prova un senso di continuità, si sente centrata e sceglie come “giocare” le proprie parti a seconda dell’ambiente in cui si trova.
Al contrario quando la persona cresce in un ambiente relazionale disorganizzato o insicuro e sperimenta eventi di vita traumatici non risolti, la percezione di sé può essere molto diversa. La personalità potrebbe andare incontro ad una frammentazione delle proprie parti e sperimentare la spiacevole sensazione di non sentirsi costantemente se stessi.
Provate ad immaginare……. di essere al lavoro e il vostro capo vi chiede di svolgere un determinato compito entro fine giornata.
A causa di mille interruzioni non riuscite a completarlo……la giornata è così intensa che saltate perfino il pranzo. Pronti per il rientro a casa, il capo vi chiede quel lavoro. Subito cercate di spiegare la motivazione per cui non siete riusciti a terminarlo. Lui non vi lascia finire, urla, si arrabbia dicendovi che non gli importa nulla delle vostre scuse. Cercate di replicare ma lui ribatte.
Uscite dal lavoro, arrabbiati o delusi per quello che è successo e incontrate un vostro amico, e vi ritrovate a raccontargli l’accaduto. L’amico cerca di aiutarvi in modi diversi. Leggendo le risposte provate a sintonizzarvi su come potrebbe essere la vostra reazione “di pancia”:
- “non c’è ragione di essere arrabbiato/a” è stupido stare così male” (negazione dei sentimenti);
- “la vita è cosi…sono cose che succedono….in questo mondo non esiste la perfezione” (reazione filosofica);
- “sai cosa ti consiglio: domani vai dal tuo capo e gli dici che avevi torto e poi vai a finire il tuo lavoro” (reazione di consiglio);
- “che cosa è accaduto per cui non sei riuscito/a a termire il compito richiesto? ti era già accaduto? perché non hai rincorso il capo cercando di spiegare quello che è successo?” (reazione investigatoria);
- “comprendo la reazione del tuo capo forse è in un momento di forte stress” (reazione di difesa dell’altra persona);
- “mi dispiace un sacco per quello che ti è successo, non lo meritavi, piango per te.…” (reazione emotiva verso di te);
- “forse il capo ti ricorda la figura paterna, da bambina/o avevi il timore di essere sgridata/o” (reazione psicoanalisi da salotto);
- “caspita deve essere stata dura subire un attacco del genere, soprattutto dopo una giornata di pressione” (reazione empatica).
Non c’è una risposta giusta o sbagliata, è importante comprendere come e in che modo tali risposte abbiano un effetto o una reazione. Allo stesso modo ascoltare l’emozione, comprendere quella parte che ci ferisce o le parti che ci difendono, riconoscerle dandole la possibilità di parlare e di entrare in relazione con loro.
Lavorare con le parti del sé significa riconoscerle, accoglierle, validarle e leggitimarle (Zaccagnino, 2018), con lo scopo di integrarle. Infatti come spiega Gilbert (Verardo & Lauretti, 2019): le persone a volte tendono a muoversi su dimensioni di auto-biasimo e colpevolizzazione particolarmente auto-critici e auto-colpevolizzanti di fronte a comportamenti o pensieri ricorrenti negativi. Tale reazioni difficilmente permettono una modificazione alla rappresentazione del sé.
Può essere compresa l’illogicità dei pensieri negativi disfunzionali su di sé, sul mondo o sul futuro, ma si continua a percepire disagio, a colpevolizzarsi, ad autoaccusarsi e ad arrabbiarsi con sé stessi.
Questo avviene perché c’è uno squilibrio, acquisito nell’infanzia, nei sistemi di regolazione delle emozioni.
Secondo l’Autore, le persone che hanno pochi ricordi legati ad esperienze in cui si sono sentiti consolati, protetti, compresi potrebbero avere difficoltà a sentirsi al sicuro e rassicurati.
l’EMDR e la comprensione anche corporea delle emozioni oltre che quella cognitiva, potrebbe rappresentare un valido strumento per regolare le emozioni e rafforzare il senso di sé.
Internalizzare un attaccamento sicuro permette di tollerare il dolore, la solitudine, l’ansia, la delusione, la frustrazione e il rifiuto- tutti i rischi che qualsiasi relazione intima porta con sè.
Tuttavia, per comprendersi in maniera incondizionata e aumentare la propria resilienza emotiva è necessario, secondo Fisher (2017), sviluppare una relazione con tutte le parti di noi, quelle che amiamo, che odiamo o che ci fanno paura. Motivo per cui quando tutte le nostre parti si sentono connesse l’una all’altra e apprezzate, ciascuna di esse può sentirsi sicura, accolta e meritevole.
Il primo passo è provare curiosità (dal latino “cura”) per quest’altro dentro di noi che non si conosce nel profondo. Questo è possibile attraverso il lavoro con le parti del sè e l’approccio EMDR.
A cura di Annalisa Tonarelli, psicologa psicoterapeuta. Riceve nel suo studio a Reggio Emilia e Casina (RE).
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