Secondo numerosi studi e statistiche, ben 9 donne su 10 conservano, nel proprio armadio, abiti ed accessori che non hanno mai indossato, spesso ancora corredati da cartellini e prezzi, proprio come se si trattasse di nuovi acquisti appena approdati nel guardaroba. Gli uomini, seppure in minor percentuale, non sono esenti dall’abitudine di custodire con cura capi di abbigliamento mai indossati: ciò accade, infatti, ad 1 uomo su 3.
Acquistare un capo di abbigliamento per non indossarlo. Perchè?
Abiti scelti impulsivamente dei quali, in seguito, pentirsi amaramente; capi della taglia sbagliata acquistati nella vana speranza di riuscire a trasformare il proprio corpo in breve tempo, così da poterli sfoggiare con orgoglio (sembra, in proposito, che 2 donne su 3 conservino, nel proprio guardaroba, abiti di 4 o più taglie differenti); accessori stravaganti che, dopo l’irresistibile colpo di fulmine in vetrina, sembra così difficile abbinare ai propri vestiti.
Le ragioni per le quali adottare un capo di abbigliamento per non indossarlo mai possono essere numerose e differenti, eppure possono tutte condurre ad un esito comune, l’accumulo compulsivo o quello che alcuni psichiatri americani chiamano “hoarding” (letteralmente: “ammassamento”), una vera e propria Sindrome dell’Accumulo.
Che si tratti di un aspetto patologico della personalità oppure di una tendenza compensatoria, conseguenza di un’insicurezza di fondo o di alcune mancanze emotive, l’accumulo di abiti ed accessori da sempre inutilizzati che abitano gli armadi per anni senza mai vedere la luce può trasformarsi in una condizione complessa dal valore simbolico e metaforico molto significativo.
Perché conserviamo tanti abiti ed oggetti che dal punto di vista pratico sembrano non avere alcun valore ma che, da una prospettiva mentale ed emozionale, riescono a sopraffarci, impedendoci di gettarli via, riciclarli, donarli o semplicemente rivenderli?
Dentro di noi siamo più che consapevoli del fatto che, con ogni probabilità, non indosseremo mai quel coloratissimo vestito, ancora dotato di cartellino ed etichetta, custodito per anni ed anni nel guardaroba; che non entreremo più nei vecchi jeans della nostra adolescenza, ormai decisamente troppo piccoli e fuori moda.
Che non avremmo dovuto cedere alla tentazione di acquistare quelle scarpe bellissime ma troppo larghe e scomode, né quella borsa scelta in un momento di tristezza o solitudine e che, in fondo, non è mai veramente stata di nostro gusto.
Eppure, svuotare l’armadio e dare via tutti i capi che non hanno più (o che non hanno mai avuto) una reale, concreta funzione nella nostra quotidianità equivale, nel nostro cuore, ad una separazione dolorosa alla quale sentiamo di non essere pronti, uno strappo feroce come quello di un cordone ombelicale dal quale non riusciamo a distaccarci.
Quand’è che accumulare abiti ed accessori smette di essere un collezionismo modaiolo e diventa, al contrario, una tendenza dolorosa ad accumulare feticci, oggetti che nel nostro immaginario agiscono come vere e proprie reliquie storiche da venerare religiosamente nel tempo, come per non tradire un’invisibile divinità? Perché liberarsi degli eccessi materiali non è più, talvolta, un sollievo bensì un peso imponente?
Il legame che vincola il rapporto tra le persone e gli oggetti, in particolar modo per quanto riguarda gli abiti e gli accessori, si configura spesso come un legame affettivo.
Una sorta di relazione d’amore, fiducia e devozione assoluta che riempie i vuoti dell’esistenza, come uno spazio di protezione e rassicurazione grazie al quale mantenere intatta una personalità ancora in costruzione o ricca di mancanze psicologiche e vuoti emotivi.
Un vecchio abito può rappresentare, specialmente nella vita di una giovane donna o di un giovane uomo, un feticcio il cui scopo è quello di definire un’identità non del tutto solida o completa, così come una parte di sé ancora poco integrata che si lascia simboleggiare da un oggetto. Il capo di abbigliamento, in particolare, assume un significato ancora più intimo e profondo, rispetto ad un soprammobile, per via del suo legame diretto con il corpo e la rappresentazione di questo nella mente.
Talvolta, invece, un vecchio abito che non viene più indossato da anni può aver accompagnato un periodo felice della propria vita che è passato e non potrà tornare: quel vestito, dunque, rappresenta il fantasma di ciò che è stato e del quale si avverte un’inguaribile mancanza.
L’abito diviene memoria storica delle tappe della propria vita
E separarsi da esso significherebbe elaborare la perdita di un passato dal quale non ci si sente pronti a separarsi con serenità e consapevolezza.
Molte donne, poi, ammettono di aver acquistato più di una volta, impulsivamente o compulsivamente, capi d’abbigliamento decisamente lontani dal proprio stile personale e dalle proprie abitudini di vita (scarpe dal tacco altissimo e dal colore sgargiante nonostante una vita sempre tranquilla ed all’insegna della sobrietà e della comodità, abiti griffati e stravaganti che nessuna occasione di svago permetterebbe mai, in ogni caso, di sfoggiare).
Ciò accade perché il vestito o l’accessorio incriminato, oggetto di uno sconto irresistibile o di una vendita di campionario da non lasciarsi sfuggire, incarna una speciale fantasia (la fantasia di una personalità e di uno stile di vita) molto diversa dalla realtà ma alla quale la mente aspira ed ambisce inconsolabilmente.
Lo shopping, in questo caso, diventa un modo per compensare una realtà insoddisfacente con una fantasia appagante. Acquistiamo desideri, non semplici prodotti, per superare la realtà quotidiana, proiettandoci in un ipotetico futuro che stimola la nostra immaginazione ma che, al tempo stesso, denigra e scredita il nostro attuale e reale modo di essere.
Attraverso quella tuta sportiva alla moda, sentiamo di poter diventare una persona migliore, quella che vince la pigrizia e si iscrive in palestra, bruciando tutti i chili in eccesso; grazie ad un abito firmato, quella che riesce finalmente ad uccidere il maschiaccio che vive dentro di sé per diventare più elegante e femminile; grazie alle costose scarpe da trekking, quella che trova il coraggio di affrontare una vacanza più avventurosa o che si concede accessori sempre alla moda per apparire più rispettabile, più curata, più adulta… semplicemente diversa.
Cosa dire, infine, degli abiti immacolati, custoditi con estrema cura e dedizione perché “sono bellissimi, eleganti, puliti ed impeccabili e sarebbe un sacrilegio rovinarli, indossandoli per occasioni non all’altezza”?
Questa tendenza ad amare eccessivamente un capo del proprio guardaroba, tanto da bypassare la sua stessa funzione per adorarlo come un resto sacro ed intoccabile, può simboleggiare e rappresentare un doloroso sentimento di deprivazione vissuto nel passato, rievocato attraverso l’ossessiva tutela di un oggetto che, se danneggiato o rovinato, porterebbe nuovamente agli antichi stati emotivi di perdita e distruzione.
Gli stessi sentimenti possono, in alcuni casi, condurre le persone ad acquistare più oggetti uguali (lo stesso vestito in più colori diversi, le stesse scarpe in più paia) allo scopo di mantenere il controllo su di essi e di assicurarsi che niente e nessuno potrà mai portarglieli via.
A cura di Maria Lupoli, psicologa esperta psicologia della moda
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