In un’indagine pubblicata nel 2012 da Save the Children emergono dati molto interessanti sul tema delle punizioni fisiche in Italia: quasi la metà degli intervistati ricorre alle punizioni fisiche come metodo educativo, mentre circa il 5% lo fa quotidianamente. In una famiglia su venti la violenza fisica è all’ordine del giorno.
Non finisce qui: meno di un terzo degli intervistati si ritiene totalmente contrario all’uso della violenza come sistema educativo, mentre circa un genitore su quattro considera efficace la punizione corporale. La situazione è allarmante, non solo perché la punizione fisica è degradante per il bambino e per il genitore, ma soprattutto perché è completamente inutile.
Qual è l’effetto di un sistema educativo basato su premi e punizioni per i bambini?
Col passare del tempo, il rischio è che figli e genitori si allontanino, perché il piccolo, oltre a non avere libertà di scelta, non terrà conto delle conseguenze di ciò che fa, ma deciderà solo in base alla reazione dell’adulto. Facciamo un esempio per comprendere meglio.
Giulio ha 11 anni e oggi non andrà a calcio perché ha preso 5 in geografia, i genitori ritengono opportuno metterlo in castigo: non andrà agli allenamenti, così avrà più tempo per studiare. Ma Giulio, alla domanda «Studierai veramente di più?», risponde: «Perché dovrei? Non mi piace la geografia. E poi tanto mamma e papà hanno sempre da ridire e urlano, anche se prendo 6». Dunque, serve davvero mettere il bambino in castigo? Perché l’amore genitoriale si trasforma in un sistema di premi e punizioni? Proviamo a riflettere osservando alcune situazioni che si presentano tipicamente durante la crescita.
Rispondere alla crescita
Nei primi mesi di vita il bambino è totalmente dipendente dai suoi genitori che, con grande amore e dedizione, gli dedicano tutte le loro attenzioni e assecondano tutte le sue richieste. Crescendo, però, il piccolo scopre il proprio corpo e cerca di imporre la sua volontà: inizia per esempio ad afferrare i primi oggetti e a lanciarli, o a rifiutare il cibo.
A questo punto non si tratta più di dedicargli delle cure, ma di saper rispondere alla sua crescita in modo educativo chiedendosi il perché di ciò che fa. I bambini lanciano le cose per diversi motivi: per sentire il rumore che fanno, per vedere quanto ci mettono a cadere, per misurare le distanze. In questi casi spesso il genitore reagisce con un secco “no”, poi toglie l’oggetto di mano al bambino e lo allontana dalla sua portata.
A questo punto inizia il pianto, magari prolungato, con il genitore che spesso si rassegna e rimette lo stesso oggetto o un altro davanti al bambino per farlo stare buono. In questo modo, però, il piccolo impara che piangendo può ottenere ciò che gli era stato tolto. Talvolta, invece, il genitore raccoglie pazientemente l’oggetto e il bambino interpreta questa successione di lanci-raccolte come un gioco divertente da ripetere.
Toccare tutto
Il bambino ha da poco iniziato a camminare e ora sta esplorando tutto ciò che per mesi ha solo potuto vedere. In casa ci sono tanti oggetti che lo attraggono e che finalmente può raggiungere, toccare, spostare… ma quegli oggetti a volte sono fragili o comunque inadeguati per lui. Il genitore allora interviene con un forte «No, quello non si tocca!» e magari, dopo avergli tolto l’oggetto, gli dà uno schiaffetto sulla mano per insegnargli che «questo non si fa». Ed ecco che parte subito il pianto disperato. Il bimbo piange perché gli è stato tolto il prezioso oggetto? Perché ha visto il genitore arrabbiato? Perché tutti gli oggetti interessanti gli vengono sottratti?
Dopo il pianto le reazioni del bambino possono essere diverse: può ostinarsi a cercare di prendere quanto gli è stato tolto (un tipo di insistenza che spesso si conclude con uno sculaccione); cercare una nuova occupazione, tenendo però sempre d’occhio la reazione del genitore; rimanere fermo. Comunque, in nessuno di questi la punizione servirà al bambino al fine di capire perché può o non può fare una cosa.
Punizioni e bambini: le risposte impertinenti
Il bambino inizia a parlare abbastanza bene, tanto che a volte risponde in modo impertinente, e spesso, di fronte a questo fenomeno, i genitori e gli adulti che si occupano di lui ridono divertiti, stupiti dalla sua intelligenza nel rispondere “a tono”. Tra i 2 e i 5 anni il bambino imita il modo di parlare degli adulti, e se questo processo non segue la giusta trasformazione, le sue risposte potrebbero diventare maleducate e sconvenienti. L’adulto all’improvviso inizia a sgridare il piccolo pesantemente, fino a ricorrere alla punizione: uno schiaffo o una momentanea privazione della libertà, il famoso «ora vai nell’angolo a riflettere» oppure «vai immediatamente in camera tua» diventano la panacea per ogni tipo di situazione.
In tutto ciò, di fronte a qualsiasi di queste punizioni il bambino non capisce cosa sia cambiato: perché fino a ieri poteva rispondere in un modo che da oggi è vietato? Il modo di rispondere di un bambino e il suo linguaggio crescono insieme a lui e vanno curati fin da subito, ponendo grande attenzione al nostro atteggiamento che, ricordiamolo, verrà preso come esempio.
Punizioni e “no” dei bambini
Ecco alcune tra le più classiche richieste a cui generalmente i bambini rispondono con quei “no” che quotidianamente fanno esasperare i genitori: «Mangia la minestra»; «Lavati le mani»; «Rimetti in ordine i giochi»; «Lavati i denti»; «Mettiti le scarpe»; «Andiamo a letto». E la lista può continuare per tante altre attività, con un epilogo che spesso porta alla perdita di pazienza da parte dei genitori e, in alcuni casi, a castighi e/o punizioni per il bambino (una sonora sgridata o a una sculacciata).
Le ripercussioni sul futuro
Castighi e punizioni si ripercuotono su tutto il pensiero del bambino, nei suoi atteggiamenti e nel suo modo di affrontare gli altri e le cose che accadono. Fritjof Capra, fisico e teorico dei sistemi, scrive: «Le nostre risposte all’ambiente sono determinate non tanto dall’effetto diretto degli stimoli esterni sul nostro sistema biologico, quanto dalla nostra esperienza passata, dalle nostre attese, dalle nostre intenzioni e dall’interpretazione simbolica individuale della nostra esperienza».
Dunque, proviamo a proiettare nel futuro quello che sarà l’effetto di punizioni e castighi inferti ai bambini durante la crescita. La situazione presentata all’inizio, ad esempio, sottolinea come Giulio sia rassegnato all’atteggiamento di rimprovero dei genitori e non veda alcuna possibilità di cambiamento.
Strade alternative a punizioni e castighi ai bambini
È vero, molti genitori hanno a loro volta ricevuto castighi e punizioni da bambini e, nonostante ciò, sono cresciuti bene e hanno una vita normale. Ma è vero anche quanto sostenuto da Bertrand Russell: «Il fatto che un’opinione sia fortemente mantenuta, non significa che non sia assurda». Ovvero: se alcuni adulti non avessero ricevuto punizioni e castighi da piccoli, oggi sarebbero diversi?
Continuerebbero a infliggere punizioni e castighi anche ai loro figli? Anche se abbiamo subìto punizioni e castighi da bambini, possiamo comunque scegliere altre strade per educare i nostri figli; basta documentarsi, con l’obiettivo di conoscere al meglio le tappe della loro crescita e del loro sviluppo per evitare i momenti di litigiosità. Nel suo libro La mente assorbente, Maria Montessori spiega che lo sviluppo dell’indipendenza e la capacità di scegliere di fronte alle situazioni attraversano tre fasi:
Da 0 a 2 anni e mezzo il bambino obbedisce solo occasionalmente alle richieste, perché è guidato da un forte impulso interiore che lo spinge verso il suo cammino di autocostruzione. Da 2 anni e mezzo a 5 anni il piccolo ha un forte e profondo desiderio di obbedire, ma non sempre può o è capace di farlo.
Dopo i 5 anni avviene la piena conquista dell’autocontrollo e dell’autodisciplina: il bambino è capace di fare ciò che gli viene chiesto, sia dal punto di vista fisico sia emotivo; il che, però, non significa che lo farà.
Risulta perciò evidente che punire un bambino al di sotto dei 2 anni e mezzo è inutile e soprattutto dannoso, perché rappresenterebbe un ostacolo alla sua scoperta di sé e del mondo. Il che non significa essere permissivi su qualsiasi cosa, ma solo che è necessario predisporre l’ambiente: in questo modo il piccolo potrà scegliere liberamente e in completa sicurezza le attività che preferisce, mentre il genitore sarà più pronto ad affrontare ogni eventuale sviluppo e situazione.
Ricordiamoci che un bambino che non viene sgridato e al quale non vengono dati schiaffi e sculaccioni è sicuramente più sereno e sviluppa maggiore conoscenza di sé e del mondo: è un bambino più calmo perché ha potuto rispondere alle sue curiosità senza timore; ha imparato a concentrarsi perché non viene bruscamente interrotto e non ha bisogno di agitarsi continuamente per spostare i limiti delle regole degli adulti.
Predisporre l’ambiente
L’alternativa al sistema fatto di premi, punizioni e castighi quindi esiste ed è basata, per i più piccoli, sulla predisposizione dell’ambiente e sull’osservazione delle loro richieste. Se il bambino lancia gli oggetti, possiamo assecondarlo per un po’ (in modo da consumare la sua curiosità) e poi proporre un cambiamento attirando la sua attenzione su altre cose in un punto diverso della stanza. In questo modo – fornendo cioè un’alternativa a quello che sta facendo – eviteremo il momento dei pianti estenuanti.
Ma torniamo per un attimo al bambino che impara a camminare e agguanta tutto ciò che è alla sua portata. Predisporre l’ambiente, in questo caso, significa sostituire gli oggetti non adatti con altri che gli consentano di agire in libertà e sicurezza. Sostituire ad esempio le statuine di ceramica con dei contenitori pieni di mollette o di palline o di cucchiaini dà al bambino la possibilità di agire in autonomia, di toccare, di provare a spostare e a muovere le cose. Il genitore, così facendo, non è costretto a intervenire continuamente e favorisce un clima di crescita sereno, senza necessità di un controllo costante sul piccolo.
Conseguenze logiche e naturali
Quando il bambino si avvicina a un’attività è necessario non solo mostrargli “come si fa” ma anche ciò che va evitato per non incorrere in situazioni sbagliate. Se poi il bambino fa proprio ciò che non va fatto, l’adulto dovrà spiegargli quali sono le conseguenze della sua azione mantenendo un atteggiamento neutro, che non faccia trasparire rimprovero o giudizio, ponendosi con dolcezza e facendolo sentire amato, accettato.
In questo modo il bambino si sentirà ascoltato e accolto, tenderà a non urlare e ad ascoltare, imparerà a prendere decisioni responsabili non per evitare una punizione o per assecondare gli adulti, ma perché conoscerà l’impatto delle proprie azioni; insomma, avrà l’opportunità di imparare dall’ordine naturale delle cose. Si tratta di un buon sistema per mostrare che tutte le scelte hanno un impatto, su sé stessi e sugli altri, ma affinché sia davvero efficace, il bambino deve essere in grado di vedere il collegamento tra l’azione che compie e le sue conseguenze logiche e naturali.
A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
Autore del libro Bestseller “Riscrivi le pagine della tua vita” Edito Rizzoli
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