5 sentimenti ambivalenti (e dolorosi) che la tua famiglia ti ha trasmesso

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Da un punto di vista sociologico, la famiglia è considerata l’unità più piccola della società. Metaforicamente possiamo pensare alla società come a un villaggio, alla famiglia come una casa e i membri a essa appartenenti come le mura di quella dimora. Ognuno di noi, dunque, dà forma a quel grosso agglomerato astratto che spesso incolpiamo e che definiamo “società”.

Viviamo in una “società distratta”, perché anche noi lo siamo. Viviamo in una società frenetica perché prima, quei ritmi così pressanti li abbiamo vissuti nelle nostre case. Quando incolpiamo la società di essere troppo superficiale o dare eccessiva importanza all’apparenza è perché, in primis, questo stesso modello lo abbiamo assorbito nelle nostre famiglie.  Allora, prima di colpevolizzare la società e trovare così una facile “via di fuga” per deresponsabilizzarci, soffermiamoci su noi stessi e sui contesti in cui siamo cresciuti. Guardiamo da vicino la famiglia che ci ha educati, ci ha nutrito e avviato al mondo.

5 contraddizioni che hai di certo vissuto in famiglia

I valori, gli atteggiamenti, le attitudini, le credenze… sono tutti concetti che si possono trasmette in due modi. Una modalità esplicità che prevede l’uso del linguaggio verbale e un’altra via implicita che prevede l’uso del comportamento e di tutto ciò che è il linguaggio paraverbale. Questo sembra molto complesso ma ti basterà pensare a quell’antico proverbio che recita: «fa tutto ciò che dico io ma non fare ciò che faccio io». Ecco, nella famiglia ci vengono trasmessi valori meravigliosi con le parole ma che nei fatti, troppo spesso, non trovano alcun riscontro.

Il problema non è certo dei genitori che, dal canto loro, purtroppo, portano dentro di sé vissuti ambivalenti e contraddittori ereditati dai nonni, i nonni dai bisnossi e così via. Fino alla notte dei tempi. Fino a quando si sono costituiti i primi agglomerati sociali. L’idea che abbiamo delle prime comunità è sempre romanzata. In realtà, i primi villaggi puzzavano. Le risorse scarseggiavano e per questo c’era caos ed era necessario “sedare” i conflitti e la «filosofia della forza di volontà» e i precetti della Chiesa, hanno svolto un ruolo cruciale… Ma non è così indietro che voglio andare! Non è la sede per analizzare la nostra evoluzione culturale. Torniamo allora a parlare delle famiglie di oggi e dei vissuti dolorosamente contraddittori che ci vengono involontariamente trasmessi.

L’aspetto non conta (però è decisivo)

Una frase che spesso ci sentiamo dire nel corso della vita è che «l’aspetto esteriore non conta, è importante come sei dentro», «bisogna sempre andare oltre l’apparenza perché inganna». Ecco il valore trasmesso con il “dire”. Nel concreto, però, vediamo che la mamma (e sì, scusatemi, sto usando consapevolmente uno stereotipo) si affanna per essere bella: per il partner, per la festa del paese, per la messa di Natale… Vediamo poi che il papà (ecco un altro stereotipo) si sofferma a guardare le belle donne in tv. Non solo, vediamo che i nostri genitori fanno continui commenti sull’aspetto esteriore degli altri: «come sta invecchiando male Valeria Marini, ma che ha combinato?! La chirurgia sì ma non troppo». È un continuo massacrare o lodare l’aspetto altrui.

Cosa dire poi delle rimpatriate «ti trova ingrassata!» o «ti trovo dimagrita» sono i commenti che vanno per la maggiore, più di un sincero «come ti senti? Riesci a ritagliarti un po’ di relax nella tua vita?» (Dato che il mondo interiore dovrebbe essere quello saliente…). Anche se ci dicono che “l’aspetto non è importante” anche se le “apparenze non contano“, ben presto su di noi piomberà il peso dell’apparire e ancora di più, della desiderabilità sociale. Quindi, concedetemelo, se la società è così ossessionata dalla bellezza, è perché in misura ridotta, questa assume un valore nella nostra famiglia. Ciò che vediamo là fuori è solo un sintomo più grande di ciò che, nel nostro piccolo, abbiamo vissuto entro quelle mura domestiche.

Il social reffering: la gradevolezza espressa sul volto dei genitori diviene un punto di riferimento per il figlio

In primis, lasciatemi chiarire che lo scopo della tv è fare profitto e non educare. Il profitto si fa con lo share e i programmi che vanno avanti sono quelli che le famiglie seguono. Quindi anche qui, prima di dare tutta la colpa alla televisione, riflettiamo sulle scelte che si fanno entro le mura domestiche e torniamo a parlare di desiderabilità sociale. Un concetto che ci ossessionerà per il resto della nostra vita.

Sapete che un neonato che ancora non parla va incontro a modellamento mediato dal cosiddetto “social reffering”: leggendo le espressioni facciali dei genitori già inizia ad apprendere «ciò che è approvato» da «ciò che non lo è», ciò che può essere da ciò che non può essere. Avviene tutto in modo precoce. Se un bambino è davanti alla tv con i genitori e nota sul loro volto uno sguardo compiaciuto mentre in tv una bellissima donna scuote i glutei… ecco che “assorbe” cosa è socialmente desiderabile. Stesso discorso per brand di lusso, scene di violenza (…).

La violenza non è tollerabile (ma quando ci vuole, ci vuole)

Già, la violenza non è tollerabile ma a volte… «quello proprio se lo meritava» oppure «se l’è cercata», ancore «me le hai tirate dalle mani». Per non parlare dei genitori che si avvalgono del cosiddetto “schiaffo educativo” per “disciplinare” i figli. Come si i figli fossero entità inanimate da plasmare e non esseri senzienti a cui spiegare le cose con garbo e di cui prendersi cura. Adesso i genitori penseranno «sì, ma quello non mi sta a sentire! Che devo fare?». Sappi che tutto ciò che fa tuo figlio l’ha imparato da te. Nel bene e nel male, sei stato un suo modello. Attenzione, non te ne sto facendo una colpa, ricorda che anche tu non hai avuto modelli genitoriali sani da cui attingere.

Anche tu paghi lo scotto delle mille contraddizioni che ti sono state trasmesse. La cosa più triste è il genitore che non vuole mettersi in discussione e pensa “se per me ha funzionato, allora deve funzionare anche per l’altro!”. Senza considerare che forse, tutto sommato, non ha poi così funzionato bene. Senza considerare che contesti, persone e circostanze cambiano.

«Prima erano altri tempi» (ma intanto non replico quello che osanno e vado anche io alla deriva)

Un altro cliché pazzesco è quello che afferma «si stava meglio quando si stava peggio», tuttavia, però, nelle famiglie non si fa nulla per creare quella fantomatica unione e quella condivisione che si presume ci fosse quando “erano altri tempi”. Probabilmente non si riesce a replicare perché quell’unione non è mai esistita. Quella condivisione esiste sono nella nostalgia perché è qualcosa che non si è mai assaporato per davvero. Altrimenti, non sarebbe difficile da replicare. Non sarebbe così ostico trasmettere un senso di appartenenza se quel senso è stato veramente vissuto e interiorizzato.

«Siamo tutti uguali» (ma esistono gerarchie e tu non conti nulla)

In famiglia si afferma che siamo tutti uguali, siamo tutti sulla stessa barca. Sì, ma alcuni navigano a poppa e altri sono costretti ad aggrapparsi a prua e affannarsi per non annegare. Nelle famiglie, infatti, si va a replicare un sistema gerarchico dove i bisogni di alcuni sono più importanti di quelli degli altri. Dove l’ascolto non esiste e soprattutto, dove il tuo spazio devi guadagnartelo assimilano le caratteristiche che possono renderti socialmente desiderabile. Nella tua famiglia d’origine, infatti, l’amore, le attenzioni, le cure, sono subordinate a quanto tu riesca ad aderire al modello che i tuoi genitori hanno pensato per te.

Se riesci a rispettare le aspettative genitoriali, allora hai valore. Se riesci ad aderire ai ritmi di apprendimento scolastico, allora hai valore. Ecco che la pressione del tempo inizi a percepirla in casa. Con le lodi ai voti alti, con i rimproveri. Con i ricatti morali se non accondiscendi a quelle che sono le idee genitoriali… E tutto questo, non ti sembra lo specchio di ciò che avviene lì fuori? Nella società che tanto disprezziamo? Lì dove l’ascolto, l’attenzione e soprattutto l’accettazione non esiste se non in modo CONDIZIONATO?

È un ritratto duro (ma sincero) della famiglia

Lo so, quello appena esposto sembra essere un ritratto troppo severo delle famiglie. È più comodo pensare che esistano “buoni” e “cattivi”. I buoni siamo sempre noi (e i nostri genitori che hanno fatto un lavoro eccellente) e i cattivi gli altri (la società, quelli che macinano ore e ore di tv spazzatura, che sono superficiali e non capiscono!). La verità è che siamo tutti un po’ buoni e un po’ cattivi (la differenza sta nel nostro grado di metterci in discussione e nella propensione a voler fare meglio, stare meglio!) Pretendiamo ascolto ma non sappiamo ascoltare noi stessi. È da noi stessi che dobbiamo ripartire per cambiare le cose. È dai mattoni che compongono le famiglie che abbiamo bisogno di ripartire. E quelle mura siamo noi! Non possiamo cambiare l’altro ma possiamo iniziare a offrirci la coerenza, il risconoscimento e la stima che nel nostro passato non ci sono mai stati offerti.

Pure chi ti vuole bene, ha paura che tu possa cambiare anche se il tuo cambiamento coincide con il tuo benessere

Qualche giorno fa è uscito il mio nuovo libro «il Mondo con i Tuoi Occhi». Parlo di come si sviluppa l’identità individuale dall’infanzia all’età adulta. Dedico un capitolo al tema dei valori che vengono trasmessi in famiglia in modo implicito (non quelli che ho elencato qui, ma altri valore ben più profondi). Sapete cosa è successo? Il libro è al primo posto in classifica ma… ho ricevuto molti messaggi di disprezzo da chi non accetta l’idea che per cambiare la società si debba iniziare a dialogare con le famiglie; da chi non riesce a mettersi in discussione.

Le pressioni sociali esistono, eccome, sono quelle che mediano i “messaggi” contraddittori che nella vita adulta ci disorientano, non ci fanno affermare per ciò che siamo ma… quei “messaggi” non ci arrivano dal cielo… ci arrivano dalle persone a noi più vicine. Sono quelle persone che, quando proviamo a fare qualcosa di diverso, invece di incoraggiarsi e supportarci auspicandoci il meglio, (più o meno involontariamente) ci scoraggiano perché anche loro ingabbiate in schemi di pensiero contraddittori che non gli permettono di evolvere e… «Se non evolvo io, non puoi neanche tu» perché c’è una triste coerenza di fonda da rispettare. Brutto vero? Pure chi dice di volerti bene, ha paura che tu possa cambiare anche se cambiare equivale a stare meglio con te stesso. Se sei pronto a fare un lavoro su di te e accettare verità scomode, ti consiglio di cuore di leggere «il mondo con i tuoi occhi», disponibile a questa pagina amazon e in tutte le librerie. Se pensi invece che la tua vita sia perfetta così o che la tua infelicità sia interamente colpa della società, allora non comprarlo. Sta a te decidere. Buona vita.

Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in psicobiologia e genetica del comportamento
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