In un certo senso, l’anaffettività potrebbe essere descritta come l’esatto opposto della dipendenza affettiva: si tratta delle due diverse facce della medesima medaglia. L’anaffettivo è incapace di produrre affetti mentre il dipendente affettivo è incapace di vivere senza un oggetto d’amore sul quale basare la sua intera esistenza.
Possiamo descriverle come le facce opposte della stessa medaglia perché sia l’anaffettivo che il dipendente affettivo falliscono entrambi nella regolazione delle emozioni e, in entrambi i casi, manca un profondo e intimo incontro con l’altro.
L’anaffettività è l’incapacità di provare emozioni e/o, l’incapacità di avere accesso alle emozioni che, rimanendo inespresse, restano represse. La distinzione è sottile ma c’è: nel primo caso, l’anaffettivo non riesce a nutrire alcun tipo di emozione/sentimento. Nel secondo caso non riesce a far emergere emozioni più per paura di restare feriti che per effettiva assenza di sentimenti.
Caratteristiche dell’anaffettivo
In psicologia l’anaffettività non è una sindrome ma un sintomo. Può essere presente in alcuni tipi di psicosi, nevrosi ossessive e in alcuni disturbi di personalità. Quindi un narcisista può essere anaffettivo ma questo non significa che un narcisista debba per forza essere anaffettivo, stesso discorso per altri disturbi di personalità come quello evitante e borderline o di disturbi dell’umore come quello bipolare.
Per un breve periodo, ho frequentato un anaffettivo. Nella prima fase del rapporto tendevo ad apprezzarlo tantissimo: metteva un impegno nella sua professione davvero ammirevole! La sua ambizione era quella di insegnare psicologia e, anche lontano dai concorsi, ogni mattina, studiava in modo sistematico; al pomeriggio, invece, si dedicava alla sua seconda passione, il tennis.
Le sue giornate erano sempre piene e credevo che insieme avremmo potuto fare grandi cose. Dopo pochissimo tempo ho capito che mi sbagliavo, perché sebbene mi coinvolgesse e per quanto potesse dirsi innamorato di me, qualcosa non tornava; a conti fatti, si dimostrava emotivamente anestetizzato e inaccessibile. Nella relazione mancava quell’autentica sensazione di unione, quella vicinanza e complicità che solo la condivisione di sentimenti profondi può dare.
Non è un caso, infatti, che gli anaffettivi vengano spesso descritti come persone apprezzabili, pratiche e che s’impegnano nei loro scopi…
L’anaffettività può dare impulso a moltiplicare l’investimento nella professione, una strategia che l’anaffettivo mette in atto per “compensare” alle mancate gratificazioni derivanti da una vita sentimentale fatta di intimità e unione. Una strategia che gli garantisce un piacere illusorio che, di contro, può diminuire la capacità di godere di sé stessi, della vita e delle relazioni, nonché la capacità di sviluppare affetti e passioni salutari, autentiche e realmente gratificanti.
L’anaffettività non si manifesta solo con il partner ma anche nei legami con amici e parenti, con i figli, durante la maternità… La caratteristiche essenziali di questo disturbo sono una sorta di incapacità a provare e manifestare emozioni che ha come conseguenza:
- Una smodata dedizione al lavoro e all’auto-realizzazione personale
- Riduzione della capacità di godere di se stessi, delle relazioni e della vita
- Mancata accettazione di esperienze dolorose del passato e dell’infanzia
- Fuga emotiva e freddezza
- Organizzazione di un distacco emotivo difensivo
- Instabilità affettiva
Talvolta potrebbero essere presenti sentimenti cronici di vuoto interiore. L’aspetto più brutto non sta nella relazione con un partner anaffettivo, ma risiede nel rapporto madre-figlia quando è il genitore ad avere questo deficit emotivo. Per cui, chi ha già subìto il danno delle carenze affettive, a sua volta, lo trasmette innescando una sorta di catena.
Un figlio con genitore anaffettivo, a sua volta potrà essere anaffettivo, sviluppare un attaccamento disorganizzato, sfociare in una vera dipendenza affettiva o sviluppare diversi disturbi di personalità a seconda delle dinamiche vissute durante l’infanzia. Per un approfondimento ti consiglio di leggere l’articolo: Caratteristiche delle madri anaffettive e gli effetti devastanti sulla crescita emotiva dei figli.
Interrompere questa “catena” richiede, su se stessi, un lavoro paziente e doloroso. Un lavoro sul proprio vissuto passato, sui personali apprendimenti emotivi e sentimentali. Per questo è consigliabile intraprendere un percorso di psicoterapia.
Anaffettivo e dipendente affettivo, alla radice del disturbo
Anche se può esserti difficile da credere, l’anaffettivo e il dipendente affettivo possono aver condiviso un vissuto simile ma con una evoluzione emotiva che può contrapporsi in termini di reattività e passività.
Sono particolari situazioni traumatiche, di abbandono, di ambivalenza e di non amore che possono generare dipendenza affettiva o anaffettività. Il dipendente affettivo subisce passivamente l’atteggiamento e la paura dell’abbandono innescata dalla sua figura di accudimento, si convince di essere sbagliato e non meritevole d’amore e vive nella costante paura di essere abbandonato, non riconosciuto… E’ questo timore che lo mette nella situazione di accettare anche le relazioni più tossiche, di legarsi a un narcisista o proprio a un anaffettivo per confermare l’ancestrale credenza di non valere.
Al polo opposto, anche l’anaffettivo ha sperimentato la paura dell’abbandono ma, agli atteggimaneti disfunzionali della sua figura di accudimento, ha mostrato una certa reattività innescando dei meccanismi di difesa. L’anaffettivo mette in gioco quello che viene definito un totale ripiegamento emotivo. L’individuo, affinché non possa più soffrire, si organizza attraverso il distacco emotivo difensivo.
A livello inconscio, è una modalità protratta per l’intera vita da adulto, per difendersi da esperienze dolorose vissute durante l’infanzia. È una difesa al proprio io, che ha stabilito, fin dalla tenera età, che non vuole coinvolgimenti emotivi, perché questi fanno soffrire.
Per un approfondimento ti invito a leggere il mio ultimo articolo “Perché non ti dimostra che ti ama, il partner evitante“.
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