Gli aspetti negativi dell’empatia

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Si sente spesso parlare di empatia. Ma per molti, questo termine è (ancora) poco chiaro. Secondo il dizionario Larousse è “la capacità intuitiva di mettersi nei panni degli altri, di percepire quello che provano“. Chi dice empatia dice anche assenza di giudizio, comprensione e capacità di mettere a proprio agio l’interlocutore.

La capacità empatica è un’arma a doppio taglio se non accompagnata da equilibrio e buona capacità di regolare le proprie emozioni. Possiamo dire, dunque, che esiste un’empatia funzionale e un’empatia meno costruttiva… Dire che troppa empatia fa male è falso, dire che l’empatia deve essere accompagnata da un’ottima capacità di regolare le emozioni è giusto.

Perché l’empatia è importante? Perché ci consente di capire meglio gli altri, essere più uniti e trovare con più facilità soluzioni ai problemi. L’empatia aiuta a stare bene con gli altri e con se stessi… ma entro certi limiti e modalità.

Gli aspetti negativi dell’empatia

Per molto tempo si è creduto che l’empatia avesse un ruolo esclusivamente positivo e che fosse necessaria per instaurare rapporti sociali autentici. Non è un caso, infatti, che l’assenza di empatia sia correlata a un gran numero di disturbi della personalità.

Uno studio condotto dal team di ricerca della University of Pennsylvania e pubblicato sul Journal of Experimental Social Psychology, ha individuato due differenti “comportamenti empatici”, uno dei quali presenta diversi aspetti negativi.

Il primo comportamento empatico si verifica quando ci immaginiamo come si sente un’altra persona in una determinata situazione, quindi cerchiamo di adottare il suo punto di vista, restando però nei nostri panni. Capiamo come si sente, riusciamo a comprenderla a pieno senza alcun giudizio.

Quando siamo sottoposti a un problema, il primo errore che commettiamo è quello di giudicare. Il giudizio è il peggior deterrente per l’empatia. Questo primo comportamento empatico è privo di giudizio, chi prova empatia, riesce a capire perfettamente le emozioni dell’interlocutore ma, rimanendo nei suoi panni riesce a essere più obiettivo, senza avere un coinvolgimento totale nel vissuto di quella persona.

Il secondo comportamento empativo, invece, si verifica quando immaginiamo di essere noi stessi nella situazione dell’altro, non adottiamo il suo punto di vista, ma viviamo come se fossimo in quello stesso contesto psico-emotivo.

Per realizzare lo studio i ricercatori hanno sottoposto a 212 volontari la storia di un uomo con gravi problemi economici. I volontari sono stati divisi in due gruppi: al primo gruppo è stato chiesto di adottare il punto di vista del protagonista della storia, mentre al secondo gruppo è stato chiesto di immedesimarsi più a fondo. I ricercatori hanno misurato la loro pressione e i battiti cardiaci e hanno scopetto che il secondo gruppo, e quindi il secondo tipo di empatia, implica uno sforzo fisico molto più grande del primo… un aspetto negativo dell’empatia è che può causare stanchezza psicofisica.  

L’empatia assoluta –chiamiamola così-, cioè quella mostrata dal secondo gruppo, può avere diversi aspetti negativi non solo per sé ma anche per il prossimo. L’empatia funzionale -quella del primo gruppo- è utile per trasformare la condivisione emotiva in aiuto pratico e concreto: “fare” invece di continuare solo a “sentire” indossando i panni dell’interlocutore. Facciamo degli esempi pratici.

La storia di Giorgio e Sara, felicemente sposati

Giorgio ha avuto un’infanzia difficile, fatta di negazioni e abusi emotivi. Nonostante tutto, Giorgio è rimasto legato ai genitori anche a causa di una dipendenza affettiva nei confronti della madre. Sara conosce bene la situazione di Giorgio. Quando i genitori di Giorgio fanno visita al figlio, Sara sa bene che il marito vive sentimenti contrastanti e che, a seguito della visita, l’autostima di Giorgio ne risente. Sara non solo comprende lo stato emotivo del marito ma ne vive ogni turbamento tanto da sentirsi affranta al pari del marito. Sarà, però, in teoria non avrebbe alcun motivo per sentirsi affranta. Giorgio, preso dallo sconforto, quando i genitori terminano la visita prende a bere fino a ubriacarsi e andare a letto esausto. Sara, poiché sente a pieno il dolore del marito, comprende il suo atteggiamento perché anche lei è presa dallo stesso sconforto e, in quel momento, non vede alternative.

La storia di Rita e Maria, migliori amiche di sempre

Maria e Rita sono migliori amiche. Maria inizia a soffrire di una tremenda psicosi, correlata da un disturbo psicosomatico a carico degli arti inferiori: pruriti e bruciori intensi tanto da non farle tollerare il contatto con i suoi soliti vestiti. Maria, presa dalla sofferenza, decide di non indossare più i pantaloni e uscire con gli short anche in pieno inverno. Rita, immergendosi completamente nello stato emotivo dell’amica decide di appoggiarla perché la comprende a tal punto da sentire -oltre che capire- la sua sofferenza. Rita, presa dal dolore dell’amica, decide di non dare alcun peso al giudizio della società, dei datori di lavoro di Maria o alle basse temperature invernali. Rita, condivide con Maria la stessa sofferenza e la stessa disperazione, pur non soffrendo di alcuna irritazione cutanea. In questo contesto, l’empatia non svolge un ruolo funzionale.

L’empatia assoluta di Rita non le ha consentito di aiutare nel concreto la sua amica. Certo, Rita è molto vicina emotivamente a Maria, la giustifica, prova a consolarla… tuttavia se Rita fosse rimasta nei suoi panni, avrebbe compreso le difficoltà di Maria mantenendo però la lucidità per consigliarle qualche rimedio.

Empatia e ferite emotive

In alcune circostanze l’empatia può essere ancora più dannosa. Chi ha una fragilità di fondo, magari legata proprio a un’infanzia difficile, finisce per “farsi coinvolgere troppo“. Queste persone, definite “molto sensibili” possono essere autentiche vittime dell’empatia e di chi, di empatia si nutre (vampiri energetici, manipolatori, vittimisti patologici, narcisisti…). Per approfondire questo argomento vi invito a leggere l’articolo della Dott.ssa Ana Maria Sepe Chi è la vittima ideale del narcisista, il suo esatto contrario, l’Empatico“.

Questo articolo non vuole assolutamente affermare che l’empatia sia qualcosa da cui astenersi! Piuttosto vuole incoraggiare a praticare un’empatia più sana, legata a una buona capacità di regolare le proprie emozioni e un maggiore spirito autoconservativo.


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