Empatia vuol dire sintonizzarsi sul mondo emotivo dell’altro, connettersi a livello profondo, raggiungere il suo cuore. E andare ancora oltre. Permette di dissolvere la barriera tra il nostro sé e gli altri, di “rispecchiare” ciò che ci circonda, creando così reciprocità.
7 cose che non sai sull’empatia
Senza, rimaniamo superficiali, anche con noi stessi. È il collante sociale che ci tiene uniti agli altri, forse la risorsa di cui il mondo ha più bisogno in questo momento. Insieme a comprensione, partecipazione e gentilezza, richiede protezioni speciali.
Ci fa riflettere che non possiamo sopravvivere eliminando l’altro, o tenendo tutto per noi, ma cooperando e condividendo. Ma ecco 7 aspetti che la scienza conosce su questa straordinaria risorsa e che anche noi facciamo bene a sapere
1- L’empatia ha volti diversi
Empatia riguarda la comprensione degli stati affettivi e degli stati mentali altrui. Quindi la capacità di riconoscere le emozioni, di entrare in sintonia con lo stato emotivo dell’altro e anche di saper modulare le sensazioni vissute, senza farsene travolgere.
L’empatia cognitiva invece è la capacità di cogliere la prospettiva dell’altro, di capire il suo modo di pensare. Empatia e simpatia invece sono processi separati: la simpatia non basta per sintonizzarsi con quello che l’altro sente e per costruire legami profondi.
2- A cosa serve l’empatia
È il motivo della vicinanza e del comportamento prosociale. L’accesso all’intimità. La possibilità di capire le esperienze e i sentimenti di qualcun altro. Permette di frenare quando ci comportiamo in modo doloroso verso gli altri, un antidoto ai comportamenti antisociali e alla violenza.
Significa essere con l’altro ma non perdersi, saper tornare su di sé. È un ingrediente necessario di ogni partecipante in qualsiasi rapporto. Può essere usata come capacità per accendere un riflettore su quello che sentiamo profondamente e diventare abili nell’autogestione.
3- Le basi biologiche dell’empatia
Esperimenti nel campo delle neuroscienze, attraverso l’utilizzo della risonanza magnetica, provano che l’empatia impegna circuiti neurali specifici nel cervello. Abbiamo cellule specializzate, i cosiddetti neuroni specchio, che si attivano osservando un’azione, allo stesso modo di chi la compie.
È stato dimostrato che quando vediamo negli altri manifestazione di dolore si attiva anche in noi lo stesso substrato neuronale, provando così disagio. Fisiologicamente i neuroni specchio spiegano la capacità di porci in relazione, sintonizzarci, immedesimarci nello stato d’animo o nella situazione che sta vivendo un’altra persona, “rispecchiando” le sue emozioni.
4- L’empatia è innata o si apprende?
La comprensione empatica è un kit di base in nostra dotazione alla nascita. Con differenze individuali, ma non di genere, almeno nei primi anni di vita. Siamo abituati a pensare che cura e gentilezza non provengano dalla nostra natura biologica mentre lo siano egoismo e violenza.
Però condivisione e cura sono spontanee, così come l’aggressività. L’empatia inoltre si può anche apprendere. Serie di esperimenti hanno dimostrato che non è solo intuitiva. Si può essere bravi ad esempio a cogliere alterazioni emotive o psicologiche negli altri senza riuscire a identificarle bene, o capire cosa stanno esprimendo. L’accuratezza empatica può essere appresa, iniziando dall’essere empatici con se stessi, decodificando il proprio mondo interiore.
5- Deficit di empatia
Il deficit di empatia fa vivere una condizione di deprivazione emotiva. Si riscontra in persone cresciute in situazioni compromesse emotivamente.
Psicopatici, sociopatici e criminali hanno disturbi gravi dal punto di visto empatico, non “sentono” l’altro, non comprendono le conseguenze in termini di sofferenza delle proprie azioni. Anche i narcisisti “si specchiano” costantemente, vogliono gli altri pronti ai loro bisogni ma non sanno essere reciproci in questo processo. Stare vicino a qualcuno “guasto” in empatia è spesso devastante.
6- I risvolti negativi legati all’empatia
L’empatia può intrappolarci quando ci travolge. Non è l’empatia in sé a farci male ma l’incapacità di rimanere su noi stessi, di proteggere la nostra sensibilità, di tracciare confini sani per non essere infettati, oltraggiati.
L’empatia può farci male ad esempio quando in una relazione significativa scorre a senso unico, non è reciproca, realizzando rapporti sbilanciati dove solo uno dei due si interessa profondamente all’altro. Essere empatici non vuol dire accecare le proprie esigenze, diventare ostaggio dei sentimenti altrui, sacrificare attenzione verso noi stessi.
7- L’empatia nell’autismo deve essere rivalutata
La mancanza di empatia è stata considerata per molto tempo una caratteristica centrale dello spettro autistico (sindrome di Asperger). La ricercatrice statunitense Isabel Dziobek, trattando l’empatia nelle sue due componenti, affettiva e cognitiva, ha raccolto dati preliminari che scoprono invece come individui con questo tipo di disturbo sembrano non riconoscere stati mentali, avere cioè deficit di empatia cognitiva, ma essere invece empaticamente preoccupati per gli altri, come i soggetti di controllo.
Più in generale risulta che le persone con sindrome di Asperger abbiano una ridotta capacità di leggere segnali sociali di altri popoli (espressioni facciali e linguaggio del corpo), però una volta a conoscenza dei sentimenti di un altro, esprimono lo stesso grado di compassione come chiunque.
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TRATTO DA LA REPUBBLICA
Sì, in Asperger ci può essere alessitimia, cioè incapacità di descrivere o distinguere certe emozioni anche se vengono provate e sono intense. Un bello articolo perchè distingue bene i vari aspetti, che invece quando si parla di empatia sono spesso mischiati o solo alcuni sono evidenziati.