Alessitimia, significato. Il termine “a-lessi-timia”, è di origine greca, e si compone da “alfa” che significa assenza, “lexis” che significa linguaggio e “thymos” ossia emozione, pertanto il significato del termine si può tradurre letteralmente come “assenza di parole per le emozioni”, o “emozione senza parole”.
In psicologia il concetto di alessitimia è stato elaborato da Nemiah e Sifneos due psicoanalisti che lavoravano a Boston nei primi anni ‘70, i quali analizzando i pazienti affetti da malattie psicosomatiche osservarono difficoltà a descrivere i propri sentimenti ed emozioni, tanto da non averne consapevolezza, associata ad una attività fantastica povera.
Alessitimia: sintomi
Ricerche e studi successivi hanno permesso di individuare ulteriori caratteristiche di questa, che potremmo definire una vera e propria sindrome:
- Difficoltà a descrivere ed identificare le proprie emozioni, con vocabolario emotivo limitato;
- Difficoltà nel distinguere tra sentimenti e sensazioni corporee legate all’attivazione emotiva;
- Processi immaginativi e attività onirica limitati;
- Stile cognitivo concreto, orientato verso l’esterno;
- Stile lessicale privo di intensità emotiva e mancanza di riferimenti a vissuti emotivi;
- Rigidità psicomotoria e povertà nel repertorio mimico-gestuale;
- Iperadattamento e tendenza al conformismo;
- Tendenza a sviluppare relazioni superficiali o per contro di dipendenza;
- Scarsa capacità di contatto con le proprie emozioni e tendenza a rispondere a eventi stressanti con comportamenti impulsivi o inadeguati (ad esempio uso eccessivo di cibo, alcool o altre sostanze);
- Tendenza ad accusare disturbi fisici di fronte a situazioni di disagio psicologico;
- Commorbilità con tratti isterici ed ossessivi;
Correlazione tra alessitimia e psicosomatica
L’alessitimia può rappresentare lo sfondo pre-morboso di molte patologie di tipo organico come i disturbi cardiovascolari, respiratori, gastrointestinali e dermatologici, nonché neoplasie di vario genere, in quanto l’incapacità di riconoscere ed esprimere adeguatamente le proprie emozioni potrebbe favorire una involuzione di tali stati emotivi ed una loro “scarica” diretta sul corpo.
Gli organi e le funzioni fisiologiche divengono ricettacolo e veicolo di emozioni e sentimenti che non sono debitamente riconosciuti, di comunicazioni mai formulate, di desideri e pulsioni inespresse perché considerate inaccettabili, di rabbia e dolore che non ci si consente di provare.
Inoltre l’alessitimia può favorire lo sviluppo di psicopatologie quali l’alcoolismo, la tossicodipendenza, i disturbi alimentari, la depressione, l’iponcondria e i disturbi d’ansia, che hanno tutti come unico comune denominatore quello di essere “valvole di sfogo” per emozioni ingombranti che non si riescono ad accettare, elaborare, esprimere.
Alessitimia: cause
I diversi autori che si sono occupati di questa sindrome non sono giunti ad una spiegazione eziologica comune, tuttavia essa potrebbe essere causata da un trauma emotivo precoce che ha indotto l’individuo ad erigere forti barriere nei confronti del dolore escludendo allo stesso modo tutte le altre emozioni.
I soggetti si anestizzano, creano una spessa corazza protettiva temendo in particolar modo il dolore, la perdita di controllo, la paura e la rabbia proprie ed altrui.
McDougall a fine degli anni ’80 arriva ad ipotizzare che l’alessitimia sia causata da difese psicologiche primitive che proteggono da angosce di perdita di identità che hanno origine nel rapporto con la madre.
A tali difese, egli ha dato il nome di FORCLUSIONE, poiché si manifestano attraverso una cancellazione delle emozioni dalla coscienza, lasciando alla persona un senso di vuoto e di mancanza di contatto significativo con se stesso e con gli altri.
Pertanto l’individuo trova, come unico modo di esprimere il proprio mondo interiore, la materializzazione nel corpo, mediante quella che viene definita la RISOMATIZZAZIONE DELL’AFFETTO.
Come possiamo intuire, l’alessitimia è un “male grave” in quanto lascia la persona amputata della sua parte migliore e più vera: le emozioni.
Cura e terapia: alfabetizzazione delle emozioni
Ma riprendersi quella parte non è impossibile! Poiché non è andata perduta… è lì da qualche parte, nascosta, seppellita, sotto il dolore, sotto la paura atavica dell’annichilimento, della morte.
E’ possibile ritrovarla solo attraverso un attento lavoro su di sé, un’accurata scoperta di ciò che siamo e di che cosa sentiamo, arricchendo la nostra vita o magari iniziando a viverla veramente.
In tal senso si ritiene imprescindibile iniziare da una vera e propria alfabetizzazione delle emozioni, imparare cioè a dar forma attraverso il linguaggio ai propri stati interiori.
Esempi pratici
Dare parole ai movimenti informi che “la pancia” trasmette significa fondamentalmente creare una nuova associazione fra stimolo e risposta, ne porto un esempio banale: se prima ad un rimprovero del mio capo sul luogo di lavoro seguiva un forte mal di testa posso dedurre che quell’evento produca come risposta emotiva rabbia, dolore, frustrazione, senso di ingiustizia, senso di inadeguatezza e così via, tutti sentimenti che posso ri-catalogare e sperimentare nella loro forma più profonda, sempre nel rispetto di me e della difesa inconsciamente creata per tutelarmi dal dolore e dall’angoscia.
Se, ad esempio, dopo una litigata con il mio/a fidanzato/a mi abbuffo di dolci e cibo spazzatura, oppure mi viene un attacco di gastrite posso dedurre che sto materializzando sentimenti di rabbia e dolore che necessitano di essere vissuti e affrontati.
Ovviamente gli esempi portati sono estreme banalizzazioni, ma servono per dare il senso di quanto espresso in questo articolo e fornire uno spunto di riflessione per una possibile risoluzione e trattamento di questo stato patologico, che come abbiamo più sopra definito mutila la vita di chi ne è affetto a discapito del benessere, della buona riuscita nei rapporti sociali, affettivi e professionali, ma soprattutto fa da sfondo e acuisce altri importanti stati morbosi.
A cura di: Morena Romano, Psicologa-Psicoterapeuta
Specializzata in Psicoterapia Analitica Junghiana
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come posso aiutare una persona cui tengo molto?
credo anke di conoscere l’evento traumatico subito nl primissima infanzia
ke produce sempre lo stesso sintomo fisico, vissuto con paura ogno volta.
grazie!
Ciao Giulia,
Oggi esiste un nuovo strumento che ti può aiutare a gestire i tuoi pensieri ossessivi e ciò che hai descritto. Cerca su internet Neurofeedback Dinamico non lineare e vedrai che può fare al caso tuo. Non so dove abiti. Io sono una neurotrainer e sto a Catanzaro. Ma se cerchi sono sicura che troverai un trainer anche vicino a te.
Buona fortuna per tutto.
Elena
Gentile dott.ssa, il suo articolo è arrivato al momento giusto: mi descrive alla perfezione. Come ha scritto, non è “semplice” come nei suoi esempi perché, nel mio caso, la gran parte di volte non vi è alcun sintomo, ne’ sensazione anche dopo eventi eclatanti (litigi, separazioni, lutti…) figuriamoci dopo eventi lievi!
Non riesco a pescare nulla in me stessa, talvolta sperimento un appiattimento totale. Devo dire che mi piacerebbe soffrire come tutti gli altri, senza brancolare nel buio o andare a caccia di indizi quando sperimento pensieri ossessivi o malesseri “vaghi”.
ps.: fa anche consulenze online?
Grazie mille.