Nell’attaccamento traumatico (o attaccamento disorganizzato), la persona è guidata da diverse parti del sé, mentre la «parte fuga» ricerca distanza e autonomia, la «parte attaccamento» desidera connessione e cura. La «parte attaccamento» desidera fondersi con l’altro mentre per la «parte attacco», l’altro è visto come un nemico da cui difendersi. La «parte sottomissione» prova spesso sentimenti di solitudine e vergogna di sé mentre la «parte congelamento» si rifugia nel vuoto emotivo e si distacca da tutto.
Come si forma l’attaccamento disorganizzato
Il modello dell’attaccamento disorganizzato, meglio noto nell’adulto come attaccamento traumatico, è caratterizzato da difese istintive che vanno a guidare un Sé frammentato. Lo stile di attaccamento di ognuno di noi si forma entro i primi 24 mesi di vita.
Quando la figura di attaccamento è un genitore scostante, rigido, intrusivo, severo e abusante, il bambino instaurerà un legame di attaccamento basato su difese istintive di attacco, fuga, sottomissione, attaccamento e congelamento. Se il marchio distintivo dell’attaccamento disorganizzato è un’inversione dei ruoli in cui l’oggetto di sicurezza (la figura del genitore) diviene l’oggetto di paura (e quindi una minaccia alla sopravvivenza), qualsiasi relazione intima successiva evocherà segnali di pericolo.
Da adulti, la crescente vicinanza relazionale andrà a comunicare un senso di minaccia o una promessa di conforto e connessione, evocando ricordi emotivi relativi al desiderio di una figura di attaccamento che, in realtà, non c’è mai stata! Questa evocazione risveglia memorie implicite (memorie traumatiche) di abbandono e tradimento.
Con uno stile di attaccamento disorganizzato, qualsiasi legame intimo accenderà una lotta interna tra la fame di vicinanza e il bisogno di proteggersi.
L’attaccamento disorganizzato nell’adulto
Nell’attaccamento traumatico le dinamiche affettive possono essere descritte come gestite da diverse parti del Sé, ognuna con bisogni e scopi differenti, spesso in conflitto tra loro (bisogno di autonomia vs bisogno di dipendenza). Alcuni autori, descrivono queste “parti” come difese istintive o difese animali. Le parti sono quelle citate in precedenza: attaccamento, congelamento, fuga, sottomissione e attacco. Lo scopo di ognuna di queste parti è garantire la sopravvivenza in ambienti ostili come lo è stato l’ambiente di sviluppo durante l’infanzia.
«La parte fuga»
Nei legami, la parte fuga ha bisogno di spazio, di testare i confini, ha bisogno di sentirsi libera di andare e venire, ha bisogno di sapere che il partner non userà i suoi “segreti” per ferirlo. La parte fuga metterà alla prova il rapporto testando spesso la pazienza dell’altro… fino a esaurimento scorte!
«La parte sottomissione»
Nelle relazioni interpersonali (nel lavoro così come nelle relazioni romantiche), la parte sottomissione vuole soltanto compiacere il partner e per questo si dimostra accondiscendente verso quest’ultimo innescando reazioni della parte attacco e attivando un circolo vizioso con la parte fuga (ricerca di distanza). All’apparenza, si assiste a un comportamento quasi ambivalente.
«La parte attacco»
La parte attacco è ipervigile, legge segnali di pericolo ovunque e, come la parte fuga, teme la vicinanza emotiva e la dipendenza affettiva; per la parte attacco i legami non sono mai un luogo sicuro in cui stare.
«La parte attaccamento»
La parte attaccamento vuole solo essere riconosciuta e accettata. E’ bisognosa di accudimento e in costante ricerca di connessione emotiva e vicinanza. Così come la parte fuga è al servizio della parte attacco (e viceversa) la parte sottomissione è spesso al servizio della parte attaccamento nel bramare sensazioni di cura e vicinanza.
La parte sottomissione è piena di vergogna di sé, si sente indegna, immeritevole e risveglia nella parte attaccamento sentimenti di solitudine. La cooperazione tra parte attaccamento e parte sottomissione potrebbe essere sintetizzata con questa frase emblematica per quanti vivono tale dinamica: «sé sarò abbastanza, allora sarà degna di amore».
«La parte congelamento»
La parte congelamento vuole solo evitare di essere ferita, non attacca, ne’ difende, semplicemente si paralizza in una sorta di anestesia emotiva, nei casi più estremi anche cognitiva e sensoriale, dando adito a veri e propri fenomeni dissociativi. Quando la parte congelamento predomina, la persona ha la sensazione di non provare niente di niente, nessun dolore, nessuna gioia… nulla.
Il conflitto
Come è chiaro, le parti che guidano l’attaccamento traumatico (o attaccamento disorganizzato) sono molto diverse tra loro. La “persona”, identificandosi con le varie parti, finisce per disorientare il partner e disorientare completamente se stessa ritrovandosi a perseguire -di parte in parte- scopi diversi: da un lato la vicinanza, l’intimità, la connessione… e dall’altro la volontà di chiudersi in se stessa. Da un lato la paura della solitudine e dall’altro, la solitudine come unica via.
Disturbo borderline di personalità e disturbo dissociativo dell’identità
Da un punto di vista clinico, l’attaccamento disorganizzato è tipico dei pazienti con disturbo borderline di personalità e dei pazienti con disturbo dissociativo di identità. Vi è una correlazione anche con disturbi dell’umore come la depressione o il disturbo bipolare. Al fine del trattamento, alcuni professionisti abbandonano l’etichetta diagnostica approcciandosi al paziente come una persona con attaccamento traumatico, in quanto, l’attaccamento disorganizzato condiziona tutti gli aspetti della vita del paziente e non solo la sfera affettiva.
Sempre da un punto di vista clinico, l’intensa identificazione con una parte fuga o congelamento, è correlata a disturbi alimentari, uso di sostanze e altre dipendenze.
Il trattamento dell’attaccamento traumatico
Le esperienze infantili di attaccamento possono essere modificate mediante esperienze di vita che promuovono stili di attaccamento sicuri anche in età adulta. Queste esperienze emotive correttive (crescere un figlio, coltivare sane amicizie, relazioni reciproche, relazioni intime, legame terapeutico…) consentono, inoltre, di integrare le diverse parti di sé ferite che altrimenti funzionerebbero al servizio di difese istintive (fuga, sottomissione, attaccamento, attacco e congelamento). Ciascuna di queste esperienze che conduce verso la «sicurezza guadagnata» sfrutta la capacità del cervello di sviluppare nuove reti neurali e codificare nuovi stati mentali.
«Evocando a livello immaginativo nuove memorie implicite di sicurezza e sintonizzazione, le parti avvertono l’esperienza sensoriale di un attaccamento sicuro, che può essere codificata accanto alle memorie dolorose di fallimenti e paure all’interno dei legami di attaccamento modificando, in un certo senso, il finale della storia» – J. Fisher
Psicoterapia o psicoanalisi
Nel percorso di analisi o terapia, lo psicoanalista/psicoterapeuta, si ritrova dinanzi non un paziente unitario ma un insieme di sotto-parti con desideri e paure in conflitto tra loro. Il rischio d’errore è dietro l’angolo. Per esempio, se il terapeuta/analista legge l’angoscia della parte fuga o l’insofferenza della parte attacco, potrebbe provare a tranquillizzarla affermando «se vuole possiamo conclude prima questa seduta», tuttavia questa affermazione potrebbe ferire profondamente la parte attaccamento che si sentirà rifiutata mentre la parte sottomissione si sentirà piena di vergogna per la seduta successiva. Queste sensazioni non fanno altro che alzare ulteriormente le difese della parte attacco e fuga.
Queste dinamiche sono molto comuni e si verificano in qualsiasi legame: nel tentare di tranquillizzare una parte si finisce per allarmare le altre. E’ inevitabile. Ecco perché il ruolo dello psicoterapeuta/psicoanalista, non è quello di “tranquillizzare” le parti, bensì di integrarle tra loro.
L’unica via per il trattamento dell’attaccamento disorganizzato risiede nell’integrazione delle parti e nella creazione di una più ampia finestra di tolleranza per evitare la costante attivazione della parte congelamento. Le diverse parti devono potersi sedere alla stessa tavola e divenire una risorsa al servizio del Sé, piuttosto che ostacolarlo.
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