Dieta e psiche: il ruolo delle emozioni quando non riusciamo a metterci a dieta

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

“Fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo.” [Ippocrate]

Quante volte abbiamo detto a noi stessi “Da domani mi metto a dieta” oppure: “voglio iscrivermi in palestra per essere in forma per l’estate”. Ma cosa succede in realtà? I giorni, le settimane passano e quei bei propositi si fanno sempre più lontani.

Perché non riusciamo a metterci a dieta? Eppure la volontà sembra non mancarci, sembriamo convinti quando ci fissiamo questi buoni propositi. Dov’è il gap?

Il cibo come componente organica

A chi non è mai capitato, dopo una giornata storta, una delusione, un litigio, di entrare in cucina aprire dispensa e frigo e mangiare in modo sconsiderato? Ciò che abbiamo appena descritto rappresenta uno dei modi più regressivi per consolarci dalle avversità che la vita ci presenta.

L’errore che commettiamo è che in quel momento consideriamo il cibo solo come fonte di calorie, insomma, come un nostro nemico da sconfiggere. L’errore è proprio questo: vedere nel cibo solo la componente organica, chimica e non quella psicologica ed affettiva.

Non dobbiamo pensare al cibo come semplice fonte di nutrimento: il mangiare ed il cucinare hanno una componente affettiva ed emotiva molto importante che coinvolge la nostra psiche. L’amigdala, l’ipotalamo ed il sistemo limbico regolano le emozioni come rabbia, paura, sessualità e sazietà. Molti studi hanno dimostrato la stretta relazione tra emozioni ed alimentazione.

Ma spesso di questo legame fra stato emotivo e stato fisico non si tiene conto quando si è in sovrappeso, e ci si ritrova ad essere in balia di un numero esorbitante di diete e relativi insuccessi, che peggiorano ancor di più l’autostima del soggetto. Non si pensa che l’insuccesso della dieta può essere legato ad un problema psicologico, il quale emergerebbe con prepotenza se togliessimo al soggetto la compensazione derivante dal cibo gettandolo in uno scompenso che non è pronto ad affrontare, o anche semplicemente ad un problema di motivazione.

Il neonato e il cibo

La prima cosa che il neonato fa quando nasce è mangiare, viene immediatamente affidato alle cure della madre che gli insegna a succhiare e gli permette di instaurare un forte attaccamento. Fin da quando nasciamo instauriamo con il cibo un rapporto affettivo. Pensate all’allattamento o allo svezzamento: per il neonato sono i primi momenti di vita affettiva con l’altro, con la madre. Non è difficile capire che se questo è il nostro imprinting, il cibo non è solo fonte di calorie, ma assume un significato molto più profondo di affettività, attaccamento e benessere.

Il cibo come componente emotiva

Se la fase orale è la prima tappa del piacere che il neonato sperimenta, non è difficile intuire che il cibo è stato il primo “oggetto di piacere” che conosciamo. Pensare al cibo come una sostanza chimica è il più grande errore che una persona può fare quando inizia una dieta. Il cibo viene investito fin da subito da una forte componente emotiva.

Ricordate, il cibo è solo il mezzo per nascondere o per provare delle emozioni. Quando mangiamo non stiamo facendo un semplice esercizio d’assimilazione di calorie. Nel cibo investiamo emozioni, speranze e desideri inconsci, i quali hanno spesso un significato erotico sessuale inappagato o inconfessabile alla mente razionale.

Se facessimo un’indagine non sarebbe così difficile trovare una persona obesa che nasconde un disagio psicologico, personale o relazionale, sotto quella grande quantità di grasso. Spesso dietro una storia di cattivo rapporto col cibo si nasconde un problema di accettazione di sé, la necessità di soffocare il vuoto emotivo, il bisogno di nascondere un segreto pesante come una violenza subita, ecc.

Il meccanismo di piacere a livello cerebrale che attiva l’assunzione di cibo soffoca il malessere: le sostanze nutritive che assumiamo con il cibo vanno ad influire sui processi biochimici cerebrali, modulando il livello di neurotrasmettitori, agendo sul livello di serotonina ( l’ormone del buonumore ) ed endorfine ( con proprietà analgesiche ).

Cosa fare?

Se vogliamo che una dieta funzioni non basta andare dal nutrizionista o seguire la dieta del momento. Bisogna mettersi in stretta relazione con il nostro mondo interiore, con le nostre emozioni e, soprattutto, con il nostro corpo. Spesso il corpo è poco ascoltato.

In primis quando si decide di fare una dieta bisogna capire se si è predisposti psicologicamente. Di conseguenza adattare la dieta al proprio profilo psicologico. Insomma compensare la voglia di mangiare con quello che sappiamo che può farci star bene. Attenzione a non sovracompensare.

Cosa ci piace? Andare al cinema, leggere, uscire con gli amici, fare compere, andare al teatro ecc. Ecco concentriamo su tutti questi interessi e rendiamoli fattibili con frequenza maggiore rispetto al solito. E nel frattempo? Lavorare tantissimo sulla nostra autostima, ecco il punto cruciale della dieta: imparare ad accettarsi, ad amarsi, smettere di odiarsi. Se non ci amiamo abbastanza non saremo mai in grado di prenderci cura di noi stessi.

A tal proposito può esservi di aiuto l’articolo
“Indicazioni psicologiche per migliorare l’autostima”

Ultima cosa

Sul desk top del PC mettiamo un’immagine di un personaggio bellissimo e in forma. Un luogo comune dice che chi vede persone troppo grasse fa passare la voglia di mangiare. È assolutamente falso, semmai il contrario.

Concludo con una citazione del celebre Cyril Connolly “Imprigionato in ogni obeso c’è un magro che fa segnali disperati implorando di essere liberato”.

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1 commento su “Dieta e psiche: il ruolo delle emozioni quando non riusciamo a metterci a dieta”

  1. Buongiorno , leggo spesso i vostri articoli che sono sempre molto interessanti e istruttivi e colgo l’occasione x ringraziarvi , in particolare questo articolo che in questo momento storico della mia vita è stato illuminante grazie!

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