Diventiamo tutti genitori durante la morte dei nostri genitori

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Ci mette a disagio ma è vero: diventiamo tutti genitori dei nostri genitori, accade nell’ultima fase della vita di chi ci ha messo al mondo e questo ci spaventa terribilmente.

Diventare genitori del proprio genitore può essere un enorme montagna da scalare. Per anni, quando eravamo bambini, i nostri genitori avevano pieno potere su di noi e a un certo punto accade il contrario: abbiamo molto potere su di loro e si tratta di un potere scomodo, che non abbiamo mai chiesto. Vorremmo restituire questo potere nelle mani di nostra madre o di nostro padre, ma questo non è possibile e scatta in noi un senso di frustrazione e impotenza.

Si rovesciano i ruoli: fare da mamma alla propria madre

Fare da mamma alla propria madre o al proprio papà sembra quasi contro natura, eppure è il caso della vita che ce lo impone: con la longevità, al giorno d’oggi, i nostri genitori arrivano a raggiungere età molto avanzate e tocca a noi figli accudirli.

Dobbiamo abbracciarli, dagli da mangiare, provvedere al loro sostentamento fisico e morale, dobbiamo accarezzare la loro anima con cure e parole. Ogni nostro affanno potrà essere ripagato da un fragile sorriso o dal solo ricordo del calore che ci hanno dato nel corso di tutta la vita.

La vecchiaia è l’ultima tappa della vita, ed è naturale vederla in modo negativo, tuttavia è una fase indispensabile e ci dà modo di elaborare il dolore e prepararsi alla separazione: purtroppo un figlio non potrà mai essere davvero pronto alla morte di un genitore, anche quando egli stesso veste il ruolo di genitore, non potrà mai averne la stessa forza.

Durante l’ultima fase della loro vita, i genitori ci chiedono molta forza, la stessa forza con la quale ci hanno messi al mondo tanti anni prima.

Il rovesciamento dei ruoli è molto scioccante, soprattutto nei primi tempi. Bisogna circondarsi di tanto affetto e cercare il sostegno di amici, fratelli, parenti… ma soprattutto, bisogna accettare questo nuovo ruolo perché inevitabilmente tutti diventiamo genitori dei nostri genitori. Nessun altro può prendersi cura di un genitore anziano così come può farlo un figlio.

Bisogna essere assertivi, perché sì… in questa fase siamo noi a dire a mamma o papà cosa possono e non possono fare. Dobbiamo imparare a farlo con gentilezza ma con fermezza: perché il nostro ruolo è cambiato, non siamo più da accudire come una volta ma siamo diventati accudenti. 

Questo rovesciamento dei ruoli voluto dalla vita ci impone di stare attenti a fattori come la perdita di peso, somministrare pasti regolari, programmare l’assunzione dei farmaci e dare tanto affetto, perché l’affetto che si ha per un genitore, anche nei panni di tutore, è sempre infinito.

Genitori anziani e figli tutori

Se per noi figli è difficile, non pensare che per tua madre o tuo padre sia semplice. Per loro questo è il dolore più grande: si sentono di peso quando avrebbero voluto vestire ancora i panni di quando la vecchiaia ancora non era sopraggiunta. I genitori, infatti, tendono a porre resistenza all’aiuto, a negare le cure e a sfuggire: non bisogna arrendersi! Ancora con fermezza, bisogna introdursi nella vita del genitore anziano ed essere presente con atti e con parole, “bisogna fare questo mamma, è necessario, sarà il nostro segreto…”. 

Stiamo attenti in questa fase, perché un giorno saremo ancora una volta noi ad aver bisogno di aiuto. Una ruota che gira, ruoli che cambiano e dure realtà da accettare. Realtà dure che possono avere risvolti molto dolci: quelli di un figlio che regala alla propria madre tutto l’affetto di cui dispone.

Quando sarò vecchio, il tocco dell’anima

Quando perderò la memoria o il filo del discorso, dammi il tempo necessario per ricordare. Quando non potrò mangiare da solo, non riuscirò a controllare la vescica o non potrò alzarmi, aiutami con pazienza.

Non disperarti quando sarò vecchio e avrò gli acciacchi. Non vergognarti di me. Aiutami ad uscire da casa a prendere aria fresca, a contemplare la luce del sole. Non ti scocciare perché cammino lento, non ti esasperare se grido, piango o ti assillo con battaglie del passato e del presente.

Ricorda che il tempo che ho passato ad insegnarti queste stesse cose è lo stesso di cui ho bisogno perché tu mi sostenga. Ho una nuova missione in famiglia, per questo ti chiedo di non sprecare l’opportunità che ci è stata data. Amami quando sarò vecchio, perché sarò sempre io, anche se i miei capelli avranno il colore dell’argento.

La morte dei genitori può essere un’opportunità per restituire le attenzioni e l’amore che abbiamo ricevuto, così come testimonia il testo dello scrittore brasiliano Fabricio Carpinejar.

E’ davvero difficile accettare la vecchiaia, sia per chi la sta vivendo, sia per chi affianca con cure e amore l’anziano. La vecchiaia è vissuta come il preludio di un addio e quello che dobbiamo lasciare ai nostri genitori è un tremendo addio. Ci separiamo dalla persona che ci ha insegnato a parlare, a camminare, a crescere e a usare forchetta e coltello.

“C’è una rottura nella storia della famiglia, in cui le età si accumulano e si sovrappongono e l’ordine naturale non ha più senso: è quando il figlio diventa il padre di suo padre.

È quando il padre diventa anziano e inizia a camminare come se tutt’attorno non ci fosse altro che nebbia. Lentissimo e impreciso. È quando la madre che ci teneva forte la mano quando eravamo piccoli non vuole più stare da sola. È quando il padre, un tempo risoluto ed insuperabile, si indebolisce e prende fiato due volte prima di alzarsi dalla sedia.

È quando la madre, che prima dava ordini e indicazioni, ora non fa che sospirare e gemere, cerca la porta e la finestra che le paiono così lontane. È quando i genitori, prima svegli e lavoratori, sbagliano nel mettersi i vestiti e si dimenticano i medicinali da prendere.

E noi, in quanto figli, non possiamo far altro che accettare di essere responsabili della loro vita. Quella vita che ci ha fatto nascere ora dipende da noi per morire in pace.

utti i figli sono i padri della morte dei loro padri. A volte la vecchiaia dei genitori è curiosamente come l’ultima gravidanza. Il nostro ultimo insegnamento. Un’opportunità per restituire le attenzioni e l’amore che abbiamo ricevuto per decenni.

Così come adattiamo la nostra casa per accogliere i nostri figli neonati, tappando le prese di corrente e collocando i paraspigoli, adesso modifichiamo la distribuzione dei mobili per i nostri genitori. La prima trasformazione avviene in bagno, dove sistemiamo una maniglia di sicurezza nella doccia, affinché i nostri si sorreggano.

Quella maniglia è emblematica, simbolica. Perché la doccia, semplice e rinfrescante, è ora una tempesta per i piedi instabili dei nostri genitori. Non possiamo lasciarli mai da soli. La casa di chi si prende cura dei suoi genitori è dotata di corrimano e appigli.

Invecchiare è camminare sorreggendosi agli oggetti, è salire scale senza scalini, è essere estranei in casa propria.

È osservare ogni dettaglio con timore e stupore, con dubbi e preoccupazione. Quando i nostri genitori invecchiano, diventiamo architetti, geometri, ingegneri frustrati: «Come abbiamo potuto non prevedere la malattia dei nostri genitori e i loro conseguenti bisogni?» Ci lamentiamo dei divani, delle statue e delle scale a chiocciola. Ci lamenteremo di ogni ostacolo e del tappeto.

Sarà ben felice il figlio che si fa padre di suo padre prima della sua morte e miserabile quello che appare solo al funerale, senza dire addio poco a poco, giorno per giorno.

Conosco una persona che ha accompagnato suo padre fino ai suoi ultimi istanti. In ospedale, l’infermiera stava spostando l’anziano dal letto alla poltrona per cambiare le lenzuola, quando il mio conoscente ha detto «Lascia che ti aiuti».

Si è fatto forza e, per la prima volta, ha preso in braccio suo padre. Ha fatto poggiare il viso del genitore contro il suo petto e l’ha sollevato; quel padre consumato dal cancro, piccolo, rugoso, fragile e tremante.

Rimase ad abbracciarlo per un bel po’, un tempo equivalente alla sua infanzia, alla sua adolescenza, un tempo interminabile. Coccolandolo. Accarezzandolo e calmandolo. E gli diceva a bassa voce «Sono qui, sono qui, papà» . Alla fine della sua vita, quello che un padre vuole è che suo figlio gli dica che è lì con e per lui.”

Accudire i genitori è qualcosa di sfiancante e devastante: questa stanchezza fa parte del carico da dover elaborare, fa parte dell’estremo saluto, per prepararsi a dire addio a un pezzo della nostra anima e della nostra infanzia. Prepararsi all’Addio richiede un enorme lavoro emotivo e diventare genitori dei nostri genitori ci aiuterà a elaborare il tutto.

Per approfondire il tema della separazione dai genitori, può interessarti l’articolo: come cambia la vita dopo la morte dei genitori.

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