Secondo Bowlby, i Modelli Operativi Interni (MOI) sono rappresentazioni mentali che si costruiscono nel corso dell’interazione col proprio ambiente e permettono di valutare e analizzare le diverse alternative possibili di comportamento, scegliendo quella ritenuta migliore per affrontare le difficoltà che si verificano.
I MOI consentono, al bambino prima e all’adulto poi, di fare previsioni sul comportamento dell’altro soprattutto in situazioni relazionali di ansia o di bisogno, guidando quindi i comportamenti di risposta alla situazione.
Modelli operativi interni di Bowlby
I MOI rappresentano degli schemi acquisiti durante l’infanzia, che tendono a riproporsi nella vita relazionale dell’adulto, improntando e guidando il modo in cui vive e gestisce le relazioni interpersonali.
Essi contengono rappresentazioni mentali basate su un grande numero di informazioni, su di sé e sull’altro, che riguardano la previsione e l’aspettativa del comportamento di risposta più probabile che ciascuno proporrà nella relazione con il cambiare delle condizioni ambientali.
Queste rappresentazioni mentali previsionali, basate su quanto vissuto durante l’infanzia, sono il punto di riferimento utilizzato per guidare il comportamento in tutte quelle situazioni in ci il soggetto si trova all’interno di una relazione di cura e accudimento e vengono attivate da specifiche situazioni.
I MOI si attivano soprattutto nella funzione genitoriale, ma anche nelle relazioni interpersonali e sentimentali, portando con sé le rappresentazioni delle esperienze passate e delle modalità in cui ci si è relazionati alle figure significative nella propria infanzia.
Abbandono e rifiuto
Il concetto di ABBANDONO merita una menzione particolare nell’ambito della dipendenza affettiva e dell’attaccamento: è importante poiché nella maggioranza dei casi le persone che soffrono di Dipendenza Affettiva hanno difficoltà nella gestione del legame di attaccamento e vivono letteralmente nel terrore costante di essere rifiutate ed abbandonate. Tale profondo e radicato timore è spesso all’origine di convinzioni e comportamenti disfunzionali.
Il concetto di RIFIUTO è un altro elemento decisamente importante nell’influire sulla qualità delle relazioni sentimentali ed interpersonali in generale.
Si differenzia dall’abbandono, in cui l’altro se ne va lasciando un vuoto e una assenza intollerabili, poiché non necessariamente prevede l’assenza dell’altro quanto piuttosto la sua non disponibilità ad accogliere, riconoscere, apprezzare ed amare.
Il rifiuto può avere luogo in modo sottile ma costante o in maniera improvvisa e netta. In ogni caso non prevede necessariamente l’assenza dell’altro ma anzi, spesso, lo vede attore principale di dinamiche disfunzionali in cui, pur restando nella relazione, assume atteggiamenti dolorosamente distanzianti, svalutanti o freddi.
Elaborazione del lutto alla fine di una relazione
Le persone dipendenti hanno estrema difficoltà ad affrontare il dolore ed i cambiamenti legati alla fine di una relazione importante, soffrendone particolarmente gli esiti sia psicologici che anche fisici, mancando delle abilità e degli strumenti fondamentali per poter affrontare la perdita:
- Fiducia in sé e nelle proprie capacità
- Autostima
- Senso di radicamento e completezza di sé
- Rete sociale sufficientemente ricca da fornire supporto e distrazione, attività esterne dalle quali trarre gratificazione ecc.
Collocato ai primi posti nella scala degli eventi stressanti elaborata nel 1967 da Holmes e Rahe, l’abbandono è a tutti gli effetti un trauma che necessita di essere elaborato.
In ambito affettivo, la perdita del partner viene considerata, parimenti alla morte di una persona cara, come un’esperienza di “lutto” (dal latino luctus = pianto) ed è caratterizzata da una forte reazione emozionale di tristezza, dolore, sgomento, paura e angoscia.
Nel momento in cui si perde il partner, perché porta altrove il suo amore e la sua passione (tradimento), rifiuta in qualche modo l’altro o la relazione o abbandona, chi “rimane” deve iniziare a fare i conti con una nuova realtà in cui l’altro continua a vivere una vita indipendente e distaccata dalla coppia.
Vengono meno le familiari e strutturate abitudini di vita comune, gli impegni e le attività condivise. Possono venire meno gli amici, o il ruolo sociale. Viene meno il senso di intimità, continuità, appartenenza, esclusività, supporto e vicinanza con il partner. Viene meno spesso anche il riferimento dell’abitazione che si aveva in comune, nel caso ci si separi dopo convivenza o matrimonio.
Le perdite sono molte e vissute in modo destrutturante, poiché il dipendente affettivo tende a costruire interamente la propria vita in maniera “satellite” e subordinata rispetto a quella del partner, primaria fonte di sicurezza e gratificazione, e riguardano diversi aspetti della vita: da quello emotivo, a quello familiare, a quello economico e domestico.
La reazione all’abbandono comprende una serie di manifestazioni sia fisiche che psicologiche.
Manifestazioni organiche:
disturbi della sfera vegetativa come stanchezza cronica, disturbi del sonno e dell’alimentazione, disturbi digestivi, aumento della pressione, interruzione del ciclo mestruale, problemi sessuali, caduta dei capelli, cefalee, abbassamento delle difese immunitarie.
Manifestazioni psicologiche:
tristezza, senso di vuoto e di angoscia, paura, perdita di interesse per sé, per gli altri e per il proprio futuro, incapacità di concentrarsi, irritabilità ed episodi di rabbia, pianto, disturbi del sonno, dell’appetito e della sfera sessuale. A queste possono sommarsi in misura diversa ansia, fobie, pensieri ossessivi e comportamenti compulsivi, attacchi di panico, disturbo post- traumatico da stress, abuso di sostanze stupefacenti, alcol, farmaci o altre dipendenze comportamentali.
Abbandono e stili di attaccamento
È importante notare come le reazioni all’abbandono dipendano anche dallo stile di attaccamento, nella loro manifestazione e soprattutto nella loro evoluzione; non è infrequente riscontrare infatti, tra gli autori di stalking in seguito a rottura di una relazione, soggetti con stile di attaccamento ansioso-bivalente.
Gli individui che hanno sviluppato un modello di attaccamento sicuro hanno maggiori strumenti per affrontare in maniera sana e forte la sofferenza derivante dall’abbandono, contrariamente a quanto accade invece per le altre categorie di attaccamento, in cui prevalgono elementi ossessivi e di controllo, e sentimenti ambivalenti, distruttivi, ansiosi e depressivi.
Uomo e donna: differenze nel vivere l’esperienza dell’abbandono nelle relazioni sentimentali
Esistono anche delle differenze importanti nel modo in cui donne e uomini vivono il dolore dell’abbandono.
Le donne tendono a manifestare reazioni emotive più intense rispetto agli uomini e ad esprimerle di più. Le donne infatti parlano di più e più approfonditamente dei loro sentimenti e delle loro relazioni interpersonali, condividendo punti di vista, esperienze e cercando sostegno e conforto nelle amicizie quando si sentono tristi o confuse, o aiuto psicologico per superare le difficoltà.
Gli uomini invece tendono a nascondere le loro emozioni profonde ed evitano di confidarsi con familiari o amici, probabilmente a causa di un vecchio retaggio socio culturale che vuole l’uomo forte che “non deve chiedere mai”. Gli uomini cercano distrazione dai sentimenti spiacevoli che emergono, nel superlavoro, nello sport o a volte (più facilmente delle donne ma non in maniera esclusiva) in comportamenti di abuso e dipendenza (alcol, droghe o gioco d’azzardo). Spesso inoltre gli uomini reagiscono con rabbia e disprezzo verso la ex compagna, attuando comportamenti offensivi e ostili, come ad esempio stalking, aggressioni e minacce fino ad arrivare ai casi estremi di omicidio. In questi casi è possibile vedere come la donna venga palesemente considerata un oggetto di proprietà: se non posso averla io, allora nessuno la potrà più avere.
A cura di Annalisa Barbier, psicoterapeuta
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