I confini scandiscono il “dare-avere” nelle relazioni

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Psicoterapeuta cognitivo comportamentale, dottore di Ricerca in Neuropsicologia ed esperta in Mindfulness.

Le relazioni interpersonali, in particolar modo quelle sentimentali, costituiscono un aspetto molto importante delle nostre vite sin dall’infanzia. Possiamo dire che rappresentano l’ambito di riferimento più importante in cui si sviluppano il nostro senso di sicurezza e la fiducia in noi stessi e negli altri.

È proprio allora infatti che, attraverso l’esperienza precoce della relazione con le nostre figure genitoriali, si costruiscono quegli schemi e quei modelli di relazione che ci accompagneranno nell’età adulta, rappresentando una sorta di “canovaccio” che costituirà il paradigma di riferimento nel futuro mondo delle relazioni interpersonali.

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I confini in psicologia

Un aspetto importante delle relazioni interpersonali è rappresentato dalla capacità di stabilire confini sani ed equilibrati con l’altro, in una danza fluida in cui il contesto esterno, i ruoli, le risorse personali, le aspettative e le richieste dei partner si influenzano reciprocamente al fine di creare un movimento bidirezionale di “dare-avere” nella relazione, che dovrebbe riflettere e rispettare i bisogni e i desideri di entrambi i partner.

La capacità di stabilire confini relazionali sani, è uno degli aspetti che possono risultare compromessi in seguito a “esperienze traumatiche prolungate di natura interpersonale, specie durante lo sviluppo” (Liotti e Farina, 2011), o di contesti di crescita disfunzionali in cui il bambino ha vissuto, per un lungo periodo di tempo e ripetutamente, situazioni di abuso o deprivazione. Si parla in questi casi di veri e propri “sviluppi traumatici” (Liotti e Farina, 2011), legati alle esperienze di attaccamento disfunzionale sperimentate con le primarie figure di accudimento.

Senza entrare nel merito delle questioni relative alla diagnosi di Disturbo Traumatico dello Sviluppo (Vad der Kolk, 2005) o di Disturbo da Stress Post Traumatico complesso (Herman, 1992; Van der Kolk et al., 2005), ci basti qui ricordare come gli aspetti psicologici di queste condizioni di sofferenza, riguardino molto da vicino il modo in cui si vivono le relazioni interpersonali e se stessi all’interno di queste.

Il disturbo da stress post traumatico complesso nell’ICD-11

I traumi interpersonali precoci (ad esempio, abuso sessuale o grave trascuratezza) o quelli prolungati e ripetuti quali condizioni di prigionia, torture o violenze domestiche (Herman, 1992) interferiscono con il normale sviluppo e funzionamento psicologico del soggetto, provocando sintomi e malesseri a carico di diversi ambiti.

Recentemente, finalmente l’importanza di questi disturbi è stata riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ed inserita ufficialmente all’interno dell’undicesima edizione dell’International Classification of Diseases (ICD-11) con la denominazione di Disturbo da stress post-traumatico complesso (C-PTSD, Complex PTSD).

Per porre diagnosi di PTSD complesso è necessario che siano soddisfatti prima di tutto i criteri legati alla presenza delle tre tipologie di sintomi principali:

  • RISPERIMENTAZIONE: ossia sperimentare ripetutamente la condizione traumatica attraverso il presentarsi improvviso di memorie vivide e intrusive, flashback o incubi;
  • EVITAMENTO: cioè la tendenza spontanea del soggetto a sfuggire ed evitare pensieri, ricordi e stimoli esterni associati al trauma;
  • IPERATTIVAZIONE: una condizione di iperattivazione, ipervigilanza ed esagerata risposta di allarme.

Oltre a tali sintomi principali, secondo l’ICD-11 la diagnosi di Disturbo da stress post-traumatico complesso prevede la presenza di altri aspetti disfunzionali a carico di diverse aree, quali

Regolazione delle emozioni e controllo degli impulsi

Difficoltà a gestire emozioni intense e improvvise come la rabbia, con tendenza ad agire condotte auto-distruttive (abuso di sostanze, autolesionismo) al fine di poter gestire anche minimi fattori di stress. Tendenza alla dissociazione (entrare in stati dissociativi);

Percezione di sé

I sopravvissuti ad esperienze traumatiche sviluppano una considerazione di sé negativa, considerandosi deboli, impotenti, danneggiati per sempre, e vivono emozioni croniche di vergogna e colpa, sentendosi responsabili dell’accaduto.

Rapporti interpersonali

Incapacità di fidarsi e di entrare in relazione intima con le persone, con presenza di sospettosità e tendenza ad isolarsi. Tutti questi sintomi sono persistenti e causano difficoltà sul piano personale, lavorativo, scolastico, amicale o familiare.

Si tratta di sintomi persistenti e pervasivi che causano importanti difficoltà nella vita sociale, lavorativa, scolastica o familiare del soggetto.

Stabilire sani confini nelle relazioni con l’altro

Fissare confini relazionali sani, quando si sperimenta una condizione di disagio legata alle relazioni, può essere davvero difficile e spesso occorre imparare a farlo da adulti.

Nel suo libro “Facing Love Addiction”, Pia Mellody considera la dipendenza affettiva come una manifestazione del più ampio costrutto di Codipendenza, all’interno del quale la difficoltà a fissare sani confini relazionali rappresenta una delle manifestazioni disfunzionali caratteristiche.

La scelta di partner “tossici”, inoltre, è spesso associata a stili di attaccamento disfunzionali (attaccamento disorganizzato o attaccamento insicuro-ansioso), che portano a scegliere persone con caratteristiche abusanti, imprevedibili o indisponibili, con le quali può essere particolarmente difficile stabilire confini sani.

I confini che mettiamo nelle relazioni con gli altri rappresentano anche una forma di cura e rispetto verso noi stessi: quando stabiliamo dei confini funzionali nella relazione (di qualunque natura essa sia, amicale, familiare o sentimentale) infatti, ci sentiamo più sicuri e gratificati, meno sfruttati e non coltiviamo risentimento e rabbia verso noi stessi o l’altro, perché sentiamo che i nostri bisogni vengono rispettati e soddisfatti all’interno della relazione. Imparare a farlo è dunque molto importante al fine di potersi sentire più capaci, più solidi e migliorare la qualità della propria vita.

Per far sì che gli altri rispettino i nostri confini, occorre imparare a dichiararli con chiarezza e a mantenerli con determinazione.

Spesso accade che, in una relazione disfunzionale, vi sia un partner particolarmente richiedente e controllante, che utilizza il controllo e la colpevolizzazione come forme “manipolatorie” finalizzate ad ottenere crescenti rassicurazioni, dedizione, disponibilità, rinunce e prove da parte dell’altro.

Questi partner fanno di tutto per sabotare i tentativi di stabilire confini relazionali sani: si arrabbiano, colpevolizzano, ricorrono alla “strategia del silenzio” ignorando l’altro e facendolo sentire inadeguato o indesiderato, minacciano e, a volte, ricorrono anche alla violenza fisica per punire o dissuadere il partner a stabilire e difendere i suoi spazi (fisici e psichici). Poiché non possiamo impedire all’altro di comportarsi in questo modo, dobbiamo imparare a prenderci cura di noi stessi stabilendo da subito confini chiari e definiti.

La capacità di stabilire sani confini permette di sperimentare e coltivare sane relazioni interpersonali.

Imparare a stabilire dei sani confini

Per imparare a definire i limiti ed i confini all’interno delle relazioni, occorre impegnarsi a lavorare su tre diversi livelli di consapevolezza e di azione.

Identificare con chiarezza quali sono i confini al di là dei quali non permetteremo all’altro di avventurarsi: può trattarsi di ciò che siamo o meno disposti a dare in termini di denaro o di tempo condiviso, di disponibilità, richieste relative al menage familiare, richieste di dedizione o accudimento. Oppure questi confini riguardano ciò che siamo o meno disposti a tollerare in termini di comportamenti, mancanze o parole da parte dell’altro.

Comunicare aspettative e limiti con chiarezza, calma e coerenza. È sufficiente spiegarsi con semplicità e poi restare coerenti con quanto detto, senza dare troppe spiegazioni e giustificazioni alle proprie scelte, mettersi sulla difensiva o ingaggiare infinite discussioni con la speranza che l’altro cambi o comprenda il nostro punto di vista. Ad esempio, se il partner comincia ad alzare la voce e ad insultare durante una discussione, è meglio dire: “Non mi piace parlare con te quando ti arrabbi così. Preferisco farlo quando sarai più calmo”, piuttosto che contrattaccare o cercare di far notare all’altro quanto sia spiacevole quando si comporta in questo modo. Se si fa una richiesta, meglio farla in modo semplice e senza fronzoli, così che per entrambi sia ben chiaro su cosa si è d’accordo e su cosa in disaccordo. Se i confini non vengono rispettati, valutare bene cosa fare e come agire.

I confini nelle relazioni problematiche

Questi passaggi possono risultare particolarmente difficili quando si ha a che fare con persone “tossiche”, siano esse amici, familiari, vicini di casa, colleghi o partner. Queste persone infatti tendono a comportarsi in un modo tale da mettere in difficoltà assumendo comportamenti manipolativi e seduttivi, oppure minacciosi, offensivi, colpevolizzanti o aggressivi per ottenere ciò che vogliono:

  • mentono,
  • non rispettano le richieste e i limiti posti,
  • accampano continue pretese,
  • colpevolizzano,
  • non hanno considerazione degli stati d’animo e dei bisogni dell’altro,
  • considerano i loro bisogni più importanti di tutto,
  • fanno i capricci quando non si fa ciò che vogliono,
  • non considerano le conseguenze dei loro comportamenti,
  • criticano e svalutano continuamente in modo più o meno sottile,
  • minimizzano le necessità e le richieste dell’altro,
  • fanno promesse che non mantengono,
  • fanno richieste eccessive o fuori luogo,
  • offendono o prendono in giro,
  • sono sprezzanti e arroganti, sfruttano gli altri per i loro bisogni,
  • possono diventare violenti verbalmente e fisicamente,
  • sono imprevedibili, inaffidabili e indisponibili,
  • sabotano in modo sottile le iniziative dell’altro,
  • parlano ma non ascoltano e… sì, hanno sempre ragione loro.

Cosa si può fare in queste situazioni per poter mettere dei paletti all’ingerenza altrui? Innanzitutto ricordiamo due cose fondamentali:

1) Imparare a stabilire limiti e confini in una relazione con una persona che tende a violarli continuamente è un processo continuo, non una soluzione immediata.

2) Non possiamo obbligare l’altro a rispettare i nostri confini MA possiamo (e dovremmo) gestire il modo in cui noi rispondiamo a certi comportamenti.

Cosa fare in termini pratici?

Cominciamo a portare la nostra consapevolezza su di noi: capire e definire cosa siamo disposti a tollerare e cosa no. Ci sono confini negoziabili e altri assolutamente non negoziabili. Occorre avere ben chiari gli uni e gli altri per decidere cosa accettare, perdonare e a cosa rinunciare nella relazione, e cosa invece considerare come intollerabile e indicativo della necessità di riconsiderare gli equilibri, i ruoli o la continuazione del rapporto.

I compromessi sono una buona cosa, quando non portano a violare la propria dignità, i bisogni fondamentali ed i valori personali per accontentare le richieste dell’altro.

Tollerare l’intollerabile con la speranza che l’altro cambi, capisca o ci resti accanto a tutti i costi non è un compromesso sano, anzi insegna all’altro che si è disposti a tollerare sempre di più mancanze di rispetto, considerazione o peggio.

Se l’altro non è disposto a rispettare i confini che riteniamo sani, valutare l’opportunità di chiudere la relazione o prendere le distanze: alcune persone semplicemente non sono disposte a rispettare i confini altrui.

Quando si verificano episodi spiacevoli in cui ci si è sentiti violati, offesi, mortificati, non considerati, minacciati o persino colpiti fisicamente: scriverlo. Scrivere ogni volta che accadono episodi del genere, aiuta a mantenere una visione razionale e chiara di ciò che accade nella relazione, e permette di restare coerenti con le proprie intenzioni.

Imparare a prendere le distanze dall’impulso di controllare o cambiare l’altro: non possiamo controllare gli altri, non può funzionare, sebbene il controllo ci dia l’illusione di proteggerci dalla sofferenza. Distaccarci, ci permette di prendere le distanze dal bisogno di controllare o cambiare l’altro, portando l’attenzione su di noi: come ci sentiamo, ciò che desideriamo e ciò che davvero rappresenta il nostro bene rappresentano elementi FONDAMENTALI da riconoscere.

Per imparare a prendere le distanze occorre rispettare il proprio sentimento e le proprie emozioni tanto quanto i propri reali desideri e bisogni, dire “no” quando è NO che sentiamo: ad esempio non accondiscendere a incontri o intimità solo “per far andare bene le cose”.

Oppure può significare disinnescare l’escalation nelle discussioni rispondendo con educazione e fermezza, o allontanandosi dalla stanza, lasciare che l’altro prenda le sue decisioni senza voler a tutti i costi interferire o volerle cambiare, imparando a sostenerne le conseguenze ma restando liberi e coerenti con se stessi. Considerare di interrompere/ridurre i contatti con la persona tossica (low contact/no contact) per recuperare serenità e lucidità.

IN CONCLUSIONE

Ricordiamo che stabilire sani confini interpersonali è prima di tutto UN MODO DI PRENDERSI CURA DI SE’; non una prova di forza, una forma di ricatto o una merce di scambio. Se è vero che non possiamo pretendere di controllare o cambiare i comportamenti dell’altro, è anche vero che possiamo SCEGLIERE come comportarci e come agire invece di reagire, considerando l’ipotesi di allontanarci se la relazione diventa nociva.

Articolo a cura della psicotarapeuta Annalisa Barbier.
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