Crescere non è facile… implica ad ogni passo la rinuncia ad uno status acquisito e conseguentemente la costruzione e il consolidamento di una nuova competenza, e così via… ad ogni nuova tappa, ogni volta. È così per tutti.
Ma, come genitori ce lo chiediamo, ce lo immaginiamo quanto sia difficile per i bambini, sia quelli più piccoli che quelli già più grandicelli, affrontare ogni giorno questo processo di assimilazione, adattamento, riadattamento e modifica continui?
Il passaggio dalla culla al lettino, imparare a camminare, imparare a masticare, imparare a parlare traducendo in suoni codificati il proprio pensiero e le proprie esigenze, la scuola con tutti i suoi processi di apprendimento e socializzazione: sono tutti apprendimenti graduali legati alla crescita che implicano impegno, preparazione e fatica.
Fare il genitore è difficile ma anche essere bambini non è facile come s’immagina!
Sicuramente ogni genitore ha ben chiaro il proprio disagio, la propria fatica, l’impegno che mette nel far quadrare tutto: figli, lavoro, compagno/a, vita sociale; ogni genitore ha ben chiaro il timore di non dare al proprio figlio/a il meglio, il senso di inadeguatezza di fronte al compito educativo, il desiderio di essere un genitore bravo e buono.
Ritengo, sia altrettanto importante avere ben chiaro il bisogno del figlio/a, il suo bisogno evolutivo e la fatica che richiede il riconoscere e l’esprimere tale bisogno. Sono certa che a questo punto della lettura molti genitori sorrideranno tra il sorpreso e il bonario, pensando che certamente loro conoscono i bisogni del loro figlio/a e fanno di tutto per soddisfarli… ma siamo proprio sicuri che siano proprio i loro bisogni ai quali rispondiamo e non ad una proiezione dei nostri? O ai nostri desideri irrisolti?
Per rispondere a questa domanda preciso che sto parlando di bisogni evolutivi intesi non tanto e non solo come espressione di uno stato di necessità psico-fisico, ma di richieste e istanze psicologiche che permettono una crescita sana da un punto di vista dell’autonomia, dell’autostima e del senso del valore proprio ed altrui. Tre pilastri, che a mio avviso sostengono l’ individuo nello sviluppo della propria personalità nel rispetto di Sè dell’altro.
Pertanto rendersi conto e rispondere “sufficientemente bene” a tali bisogni significa fondamentalmente avere chiaro che cosa di volta in volta fornire al bambino come risorsa, come supporto, senza sostituirsi a lui/lei, affinché possa procedere nella crescita (quel processo illustrato all’inizio), soddisfare i bisogni evolutivi di attaccamento prima e autonomia poi, sviluppare un appropriato senso di stima di sé e fiducia nell’altro.
Tali bisogni evolutivi si esplicitano in ogni momento della vita di un bambino/a: dal momento del cambio, alla prima pappa, dai primi passi alle prime parole, dai proverbiali “terrible Two” l’età dei due anni in cui compaiono di solito i capricci (sanissima espressione dell’io nascente), alle paure annichilenti per noi incomprensibili del buio, dei mostri e così via.
I “no” e i “sì” che aiutano a crescere
Ma come dare realmente e adeguatamente risposta a questi bisogni? Come fare a far sentire il bambino/a accolto, contenuto e sostenuto senza castrare i suoi spunti di iniziativa autonoma, come sostenere una buona stima di sé senza alimentare l’ipertrofia dell’io e l’onnipotenza infantile che va necessariamente limitata per fare fronte alle inevitabili frustrazioni della vita, di cui alla base il principio di realtà che regola il nostro vivere civile?
Ho intitolato questo articolo i no e i si che aiutano a crescere perché fondamentalmente servono entrambi: serve l’accoglienza e la comprensione, così come la fermezza e l’autorevolezza di regole e confini precisi che delimitino e circoscrivano il senso di identità e la percezione di ciò che il bambino può fare o non fare.
Nell’ambito della letteratura pedagogica divulgativa sono presenti due testi importanti in tal senso: “I no che aiutano a crescere” di Asha Phillips, una nota psicoterapeuta infantile che tratta dell’importanza di porre dei limiti e giustificare i no argomentandoli; e i “Si che aiutano a crescere” di Lenore Skenazy che promuove un’educazione libera da vincoli ma soprattutto sostiene l’effetto dannoso dell’apprensione dei genitori.
Ovviamente tra le due teorie esiste anche una possibile via di mezzo come propone anche Sarah Cervi, nel suo “Tutti i si che aiutano a crescere” , la quale offre anche alcune indicazioni utili su come permettere al bambino di esprimere le proprie potenzialità e la propria creatività entro limiti condivisi e comunicati in maniera efficace senza prevaricazione, inutili autoritarismi e “ricatti emotivi”.
Il genitore, una guida per il bambino
A mio avviso, l’adulto deve guidare il bambino indicando cosa può e non può fare quando prova una determinata emozione o vuole ottenere qualcosa fornendo altresì una alternativa accettabile:
“quando sei arrabbiato non puoi tirare i capelli…puoi dirlo con le parole.”
“prima mangia la pappa poi avrai il gelato, non è possibile fare altrimenti”
E’ necessario inoltre accogliere lo stato emotivo del bambino, rassicurandolo che non durerà per sempre.
Per esempio:”Ti senti triste perché dobbiamo andare a casa?
Ti capisco… È difficile interrompere una cosa bella come giocare al parco… Tra un po’,quando saremo a casa potrai a giocare con le costruzioni che ti piacciono tanto, ti sentirai di nuovo contento…”.
Infine, dobbiamo considerare che il bambino deve imparare a sostenere le piccole frustrazioni che lo aiuteranno poi, come una palestra, a sostenere quelle che arriveranno nella vita adulta: quindi non abbiate paura di dire qualche no perché serve al bambino a comprendere che non tutto è possibile.
Posso suggerirvi di definire, allineandosi con il proprio compagno/a, alcune regole chiare, trasparenti, ben definite e non negoziabili e al contempo lasciare alcuni spazi di libera espressione del bambino/a (ad esempio: “oggi è più freddo mettiamo i calzini, mettiamo quelli rossi o quelli blu?”; “si resta seduto mentre si mangia, quando hai finito puoi andare a giocare”; “puoi scegliere di giocare con i giochi che sono sul tappeto, il vaso di fiori non è un gioco”).
Il tono della voce deve essere sempre fermo e accogliente e se vi capita di essere arrabbiati potete semplicemente esplicitarlo al bambino rendendo condiviso/condivisibile lo stato d’animo di modo che possa comprendere che può capitare a tutti di essere arrabbiati o tristi o provare altre emozioni negative ma è del tutto gestibile e affrontabile… e poi passa.
A cura di: Morena Romano, Psicologa-Psicoterapeuta
Specializzata in Psicoterapia Analitica Junghiana
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