Terribili due o meravigliosi due? “Terrible two o wonderful two?” La dott.ssa Cristina Radif (psicoterapeuta) ci spiega come gestire i capricci dei bambini con linee guida e riflessioni utili.
Qualcuno li chiama “Terrible twos” (terribili due) altri, più benevoli, li definiscono piuttosto “Wonderful twos” (meravigliosi due). Dipende dai punti di vista.
Terribili due
I due anni, terribili o magnifici, arrivano quando vostro figlio si lancia per terra in mezzo alle strisce pedonali e voi dovete convincerlo a darvi la manina per tornare a casa. Arrivano quando si vuole allacciare le scarpe da solo anche se siete terribilmente in ritardo, arrivano quando per qualunque direttiva del genitore grida il suo “no!”, “io!”, “mio!” fino a perdere la voce. E voi, stremati vi chiedete come gestirli.
È giunta la fase in cui iniziano a vivere le prime esperienze di crescita che approdano all’autonomia. Il nome “terribili due” nasce perché in questa fase, i bambini reclamano il diritto di fare da sé e ricercano la propria indipendenza.
Attraverso il “no!” e l’opposizione sviluppano il senso di identità e strutturano gradualmente la personalità. Quel “no!” così faticoso per i genitori, vuole dire “io non sono te”. Con i “terribili due”, il bambino infatti non si percepisce più come prolungamento della madre, del padre o di chi si prende cura di lui, ma come un essere a sé stante, separato.
Questa fase ha quindi un’importanza notevole per il bambino, ma anche le risposte dei genitori sono altrettanto determinanti.
Come gestire i capricci dei bambini
Le “scenate”, i “capricci” o se vogliamo chiamarli più gentilmente tentativi di affermarsi e definirsi, li mettono a dura prova.
Non esistono protocolli di risposte standardizzate che i genitori possano applicare di fronte a queste situazioni.
L’accoglienza, il contenimento e l’empatia in linea generale costituiscono la base per un buon atteggiamento di risposta. Analizziamole insieme.
Accoglienza
Il genitore non si oppone o reprime, ma accoglie e legittima l’emozione del figlio, non la sente come diretta a sé, non la legge come sfida. Questo non vuol dire che il figlio possa rompere oggetti, fare male a se stesso o a terzi. Il genitore in questa fase mette limiti fermi, regole che non si possano travalicare.
Da approfondire: “I figli senza regole e limiti: l’importanza del no e le difficoltà quotidiane dei genitori”.
Contenimento
Agitarsi, arrabbiarsi, spaventarsi, o gridare più forte di lui non farà altro che alimentare la collera del bambino. Il genitore attraverso la funzione di contenimento funziona proprio da “contenitore” di quell’emozione esplosiva, mettendo gli argini e i confini necessari.
Restituisce al figlio, che ancora non è in grado di farlo da solo, quello stato emotivo in una forma più digeribile e tollerabile. È come se il genitore regolasse il volume dell’emozione del figlio, abbassandola.
Il contenimento avviene attraverso il contatto (un abbraccio, una carezza), nel caso in cui venga respinto, attraverso la sola presenza fisica, oppure attraverso la parola.
Empatia
Un genitore è empatico quando sa capire lo stato d’animo del figlio e sintonizzarsi con lui, quando sa mettersi nei suoi panni.
Come gestire i capricci dei bambini nei terribili due e non solo!
Conoscere le linee guida e il ventaglio di risposte adeguate da applicare può orientare un genitore. Ormai se si ha la curiosità di sapere, non è difficile informarsi. Basta digitare su internet, scegliere fonti autorevoli, e per ogni questione si aprono dei mondi.
Ma non basta.
La linea guida: “di fronte alla collera devo rispondere con accoglienza, empatia e contenimento” aiuta, orienta, ma non è tutto.
Posso aver letto che di fronte alla crisi di un figlio non devo rispondere con rabbia, ansia o agitazione, ma se dentro di me si muovessero proprio rabbia, ansia e agitazione? Il bambino li percepisce, anche se tentiamo di non manifestarli! E allora che fare?
Linee guida di comportamento?
Prima di avere figli ero bravissima a dispensare consigli alle mamme. Poi ho capito che da mamma certe emozioni ti attraversano, anche se conosci le linee guida di comportamento.
Quindi prima di tutto, bisogna avere una buona conoscenza e capacità di gestione delle proprie emozioni per saper rispondere adeguatamente a quelle degli altri.
La domanda buona da porsi allora può essere:
- cosa mi accade quando mio figlio si arrabbia?
- Che emozioni si muovono dentro di me?
- Come mi fa sentire la sua “scenata”?
La risposta sta nel prendere coscienza. Se impariamo ad osservarci, impariamo a conoscerci. Se impariamo a conoscerci impariamo a prenderci cura di noi stessi. Questo ci aiuterà ad essere genitori consapevoli di ciò che siamo. E in questo modo facciamo un gran regalo ai nostri figli, più che leggere qualunque altro manuale di educazione-psicopedagogica.
Non serve applicare il protocollo del genitore che accoglie e contiene, perché se dentro siamo agitati, frustrati o arrabbiati non funzionerà e, soprattutto, lui lo percepirà.
Accettiamoci per quello che siamo e per ciò che riusciamo a fare. Osserviamoci e accresciamo la consapevolezza di noi stessi e dei nostri stati d’animo. Prendiamocene più cura piuttosto.
Ogni giorno imparo che sapere non significa essere. Possiamo nutrirci di mille saperi, di sicuro avremo la strada spianata, ma conta anche quanto siamo consapevoli di noi stessi.
È utile sapere che genitore dovrei essere, ma è ancora più importante guardarsi dentro per scoprire che genitore sono. Sapere ed essere devono potersi integrare.
Psicoracconto di Cristina Radif, psicoterapeuta
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