Anche se accade raramente, i narcisisti perversi entrano in terapia avvinti da sintomi clinici come insonnia cronica, abuso di sostanze, ansia e depressione, o spinti dalla necessità di perfezionarsi per conquistare quelle vette grandiose cui si sentono destinati per diritto naturale e a cui la loro condizione di essere umani, inaccettata ed inaccettabile, costituisce un impedimento gravoso.
Purtroppo, la propensione al cambiamento del narcisista patologico si limita al perdurare dei sintomi, perciò tende ad abbandonare il trattamento non appena si sente meglio o bene, senza avvertire la necessità di mettere in discussione e di modificare le proprie modalità di relazione e la propria visione di se stesso, degli altri e del mondo.
Il compito del terapeuta è quello di stabilire una relazionale sufficientemente buona da consentire la remissione del disturbo che ha motivato la richiesta d’aiuto e, consapevole della tendenza all’abbandono precoce della psicoterapia di questi pazienti, fare in modo che essi possano proseguire il lavoro in futuro, quando nuove difficoltà potrebbero riaccendere il bisogno di cambiare.
Anche se tendono a evitare l’aiuto, per i narcisisti patologici la psicoterapia è il contesto elettivo della scoperta di sé, l’unica situazione in cui, piegati dalla sofferenza, aprono spiragli, seppur minimi, sugli enigmi e sui labirinti della loro affettività.
Tuttavia, oppongono resistenze imponenti, ripropongono al terapeuta una modalità seduttiva, sarcastica o aggressiva e rivendicano una sorta di impenetrabilità psicologica, come se il non poter essere compresi fosse un merito, un segno di superiorità.
Tipicamente, dicono: “Forse potrei essere io il suo analista”, oppure: “La manderò fuori di testa”, “Sono sicuro che non abbia mai avuto un paziente come me”.
Poi gli tendono ogni possibile trabocchetto relazionale: la lusinga, la manipolazione ed il ricatto affettivo, la svalutazione e la squalifica. Usano il silenzio, e poi il sintomo. Disperatamente, ricercano col terapeuta quel non-legame frustrante e bellicoso che riconoscono inconsciamente come unica possibilità relazionale.
Lo fanno al di là della propria consapevolezza, anche quando sentono di avere estremamente bisogno d’aiuto per via delle catastrofi che patiscono da sempre a causa delle proprie modalità.
Ma se il terapeuta non cade in trappola, non collude, tollera e stabilisce comunque un contatto emotivo, e previene strategicamente il drop-out il narcisista cede.
Lo specchio spezzato.
A volte, l’apertura al cambiamento appare improvvisa: da una seduta all’altra, magari dopo cinque o sei incontri di totale impermeabilità, il narcisista crolla fragorosamente, travolto da una slavina emozionale. L’impressione è quella di una diga che collassa, e l’inondazione può essere tale da spaventare anche il più solido degli psicoterapeuti.
Al posto della narrazione precedente, grandiosa, articolata e spavalda, si palesa una storia frammentata, interrotta da pianti alluvionali e da singhiozzi dalla sonorità infantile così intesi che possono soltanto appartenere a violenze lontane, ad antiche ferite e a traumi affettivi secretati da una vita per il troppo dolore.
Una volta smosse le acque dello specchio narcisistico della mente affiorano i volti e le voci di padri assenti, di padri intransigenti; di padri violenti e narcisi; le mancanze e le omissioni di madri deboli, di madri seduttive, di madri depresse, o a propria volta narcisiste. Così la storia di ogni narcisista patologico prende forma nel ricordo delle istruzioni ricevute in tenera età, e interiorizzate con disciplina marziale: standard inflessibili, aspettative enormi, ricatti e segreti familiari piombati su un bambino infelice e incompreso che ha poi inventato un mondo di bellezza e di potenza immaginarie per sopravvivere all’angoscia e alla solitudine.
In molti casi, i narcisisti patologici scoprono in terapia di aver vissuto precocemente in un clima familiare incestuale, dove la malizia e l’ambiguità erano mascherate da una moralità ferrea, dove si respirava un’aria di cospirazione, permeata dal pulviscolo soffocante del “non detto”.
Oltre alla narrazione dell’estrema infelicità dei genitori, spesso segnati da vicende extra-coniugali e della grave conflittualità tra i nuclei parentali intorno alla famiglia d’origine, può emergere il racconto di episodi di violenza o di abuso sessuale infantile che, spesso, il paziente rievoca per a prima volta in terapia con immenso dolore.
Questo è il pianeta siderale del narcisista perverso, questo è il mondo solforoso, drammatico e inospitale intorno al quale gravita la patologia attuale, che si configura nel pregresso come la migliore risposta possibile a ripetuti traumi affettivi.
In qualche modo, apprendere e sviluppare la manipolazione, silenziare l’empatia, costruire un Sé grandioso, sfuggente ed enigmatico è servito al bambino a sopravvivere in condizioni emotivamente insopportabili.
Purtroppo, questa soluzione a suo tempo “sana”, diventa nella vita adulta un problema gigantesco, una gabbia dove, al di là di ogni consapevolezza, il bambino narciso governa la psiche dell’ adulto che è diventato e lo trasforma in despota assoluto. Per questo il narcisista perverso non può fare a meno di ritorcere sugli altri le punizioni ingiuste, la tortura dell’amore condizionato e lo stigma della manipolazione subito.
Nello specchio del narciso le “vittime” sono abbacinate dal riflesso di un uomo potente e fulgido e annientate dalla sua mancanza d’amore e dal rifiuto. Si innamorano di un’immagine riflessa, di un artificio, di un’idea, e questo da una parte gratifica e rassicura il narcisista, ma da un’altra lo fa sentire profondamente incompreso, non amato e, ancora una volta, disperatamente solo. Di qui la rabbia, il disprezzo, l’umiliazione, la fuga e l’abbandono e i reiterati ritorni che caratterizzano il funzionamento invischiante del narcisista.
Come altri disturbi della personalità, la psicoterapia del narcisismo patologico è possibile, ma è ostacolata dal rifiuto della persona di ricevere un aiuto e dal tipico atteggiamento svalutante o sprezzante verso la psicologia, che mentre sembra esprimere superiorità e grandiosità, contiene invece la convinzione drammatica di non poter essere aiutati da nessuno, di essere irrimediabilmente soli al mondo.
Esiste una correlazione tra la gravità del disturbo e l’indisponibilità ad accettare un aiuto professionale, anche quando il danno esistenziale del problema è reso evidente da sintomi marcati (depressione, insonnia, abuso di sostanziante, dipendenza sessuale, ecc.): quanto più è forte la resistenza, tanto più è strutturato il disturbo narcisistico di personalità.
Per questo, si parla di un continuum o spettro narcisistico che include il narcisismo sano, funzionale e non problematico e comprende differenti gradi di narcisismo patologico, sino alla forma estrema del narcisismo maligno, che è la forma socialmente più pericolosa e la più complessa da trattare.
Illustrazione di: Aart-Jan Venema
A cura di Enrico Maria Secci, Blog Therapy, Psicologo psicoterapeuta
Se ti è piaciuto questo articolo puoi seguirci sulla Pagina Ufficiale di Psicoadvisor o nel nostro gruppo Dentro la Psiche. Puoi anche iscriverti alla nostra newsletter. Puoi leggere altri miei articoli cliccando su *questa pagina*.
Questo psicoterapeuta si sta prendendo una enorme responsabilità’ nell’affermare in uno scritto letto da moltissime persone che il DNP e’ esclusivamente riconducibile a uno dei due genitori. La mia esperienza personale prova che non sempre e’ cosi, e molti suoi illustri anche illustrissimi colleghi non si azzardano ad essere cosi esclusivisti nell’affermare perentoriamente le cause di questo disturbo.