Questo articolo sfrutta i principi della terapia gestuale e della bioenergetica, pertanto, come lettura propedeutica, proponiamo l’approfondimento intitolato: La terapia gestuale, alleggerire i pesi emotivi mediante i movimenti del corpo. Tra le varie azioni proposte nella terapia gestuale c’è l’atto di “prendere per sé”. Prendersi i propri spazi, prendere la propria identità, i propri desideri…
Il tema del prendere è molto importante all’interno della cornice di riferimento della terapia gestuale.
Prendere è una modalità tipica dell’essere umano, ovvero il modo più autentico per esprimere concretamente il proprio volere. Afferrare, stringere, portare a sé sono tutte azioni che esprimono la personale volontà di manifestare che esistiamo, ponendo un confine, una linea di demarcazione tra sé e l’altro.
Che sia un prendere un proprio spazio, una rivincita, o un semplice oggetto che vogliamo come nostro, non ha importanza: tutto rimanda ad una volontà di manifestare ciò che vogliamo per noi in maniera esclusiva e quindi escludendo la possibilità, per l’altro, di interferire con la nostra scelta.
L’Autorealizzazione e “reale adultità”
L’autorealizzazione ha in qualche modo a che fare con il prendere. Senza questa modalità è difficile riuscire ad emergere nello sport, nel lavoro o ad imporsi all’interno di una relazione, sia essa amicale o sentimentale.
Non riuscire a prendersi il proprio spazio significa vivere sempre e comunque in uno stato di fusionalità con l’altro o gli altri; vuol dire in parole povere non essere in grado di individuarsi e differenziarsi vivendo in una sorta di “si” collettivo ed impersonale, quasi massificante. Si va, si fa, si dice, diventano allora i termini linguistici che prendono il posto di: “Io vado” , “Io voglio”, “Io dico”.
La fusionalità all’interno di un contesto di gruppo o relazionale regala certamente sicurezza, mette nella condizione di non affrontare possibili conflitti ed evitare la paura delle conseguenze nel caso si verifichino delle rotture, tuttavia, il prezzo da pagare rischia di essere veramente alto, rinunciando all’autonomia personale, a stare in maniera autonoma sulle proprie gambe e ad autodeterminarsi in maniera efficace.
Si tratta di rinunciare a sé per favorire un “qualcosa-con”, ovvero dire addio al proprio sentire intimo e personale a favore di un “dover-essere-per”.
Tutto questo nel tempo non può che generare frustrazione per aver rinunciato alla realizzazione di sé, unito ad un forte senso di tristezza, ovvero alla consapevolezza della mancanza di una parte importante della propria auto-definizione che rischia di non far approdare ad una condizione di reale “adultità”.
Da un punto di vista corporeo, ciò che definisce la nostra capacità di prendere sono le braccia e le mani.
La capacità di “prendere” e di capire ciò che si desidera
Spesso le persone che non riescono ad imporsi sentono di avere le braccia scariche, non riescono ad afferrare in modo efficace. Nel caso in cui debbano tirare verso di sé un qualcosa, sentono di non avere sufficiente forza. Il corpo poi, non riesce a partecipare a questo atto, è come se non riuscisse a coordinarsi con le braccia e a rendere efficace questa azione di “tirare a sé”.
Talvolta accade che questa incapacità di prendere sia collegata ad una difficoltà a capire ciò che si desidera, ovvero a sentire emotivamente ciò che davvero vogliamo per noi. La mancanza di desiderio inibisce il gesto che difficilmente si fa espressivo.
Gambe, braccia e busto è come se fossero disgiunti, incapaci di lavorare insieme secondo un progetto comune, ovvero in sintonia con un sentire reale ed autentico proiettato verso un obiettivo chiaro e definito.
Aiutare le persone a chiarire dentro di sé quale sia il sentire più profondo e manifestare attraverso il gesto del prendere la volontà di portare a sé ciò che ritengono sia il loro personale diritto, diventa l’occasione per creare un cambiamento reale.
Esercizi di psicoterapia gestuale
Il lavoro corporeo può iniziare così: aprire le gambe alla larghezza delle spalle, le ginocchia leggermente piegate e la bocca semiaperta, con gli occhi chiusi. Le mani poggiano sulla pancia ed inizia il lavoro alchemico della respirazione.
Inspiro aria fredda, faccio arrivare il flusso due dita sotto l’ombelico ed immagino di espirare aria calda.
Ascolto le tensioni corporee, le sensazioni somatiche, le rigidità e le parti del corpo che sento come scariche. Inizio successivamente ad ogni inspirazione ad aprire le braccia come se, all’altezza dell’ombelico, un palloncino che tengo fra le mani iniziasse a gonfiarsi. In questa fase il torace si apre ed anche le spalle. Dopo questa fase di espansione schiaccio il palloncino e comprimo.
- Quali sensazioni sopraggiungono?
- Come percepisco il passaggio dall’apertura alla chiusura?
- La mia naturale condizione, quella abituale, è più vicina all’apertura o alla chiusura?
- Ho mai provato a cambiare la mia condizione?
Successivamente rilasso braccia ed accolgo tutte le sensazioni che sopraggiungono. Dopo due minuti faccio un passo avanti, il peso è sulla gamba avanzata leggermente piegata. Sempre ad occhi chiusi apro le braccia e le porto davanti a me afferrando all’altezza della mia testa ciò che sento come lontano, importante e pesante.
Una volta afferrato lo porto a me fino ad arrivare all’altezza dell’ombelico. In inspirazione apro ed afferro, in espirazione porto a me, comprimo e porto il peso indietro. Tutto il corpo partecipa al lavoro del mio prendere e del mio desiderio. Il ritmo, la velocità e il numero delle respirazioni sono dettati dal sentire personale. Sta alla persona provare successivamente ritmi diversi e sperimentarsi in velocità che non siano quelle abituali.
Riportando i piedi paralleli è possibile provare a saltare, afferrare ciò che sta sopra la nostra testa e portarlo a sé.
Mettendo il corpo sotto un leggero stress e passando successivamente a rilasciare le tensioni è possibile sentire quanto sia difficile prendere per se stessi, quanto costi fatica afferrare e fare nostro qualcosa che sentiamo come importante per noi.
Prendere! Non solo dare senza mai avere nulla in cambio
Spesso succede che le persone prendano consapevolezza di quanto risuoni lontano da loro stesse il prendere qualcosa per sé e si rendano conto di quanto la loro esistenza si basi essenzialmente sul dare senza mai avere la forza o il coraggio di prendersi lo spazio per sé.
Talvolta il prendere si associa al sentirsi in colpa, a sentirsi non degni di avere qualcosa per sé in maniera esclusiva, come se, così facendo, si potesse privare l’altro di eventuali vantaggi.
Significa in poche parole sentire di non essere in diritto di desiderare per sé.
Il corpo può aiutare a scardinare questo meccanismo, aiutando a far prendere consapevolezza attraverso il gesto intenzionale di ciò che manca per se stessi e, allo stesso tempo, di quanto le situazioni e le abitudini di vita costringano a mettere le persone fra parentesi per soddisfare i bisogni e i desideri altrui.
Risvegliare i propri bisogni, i desideri sopiti, i sogni riposti in angoli remoti della memoria è possibile, partendo dal respiro, dall’ascolto del corpo e dalla sua espressione autentica.
Una volta attivato questo processo di auto-ascolto e di intenzione a prendere per sé, è possibile successivamente delimitare il proprio spazio, partendo proprio dalla sensazione di quanto la vita lavorativa e familiare spesso privi della dimensione più intima e personale.
Il prossimo articolo verterà allora sulla costruzione dello spazio di vita dimenticato.
A cura di Andrea Guerrini, psicologo e pedagogista
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