Uno studio svizzero inquadra l’altruismo come comportamento di genere, dimostrando che il livello di dopamina (neurotrasmettitore rilasciato dopo un’azione altruista che fa sentire appagati per il gesto), è leggermente più alto nei cervelli femminili. Ma attenzione a generalizzare!
Si vede che è sempre più interessante individuare differenze tra i sessi che non trovarne. Sottolineare la scoperta di una diversità, piuttosto che i ripetuti fallimenti nel non trovarla. Convalidando, alla fine, vecchi stereotipi. Come in questo caso: una nuova ricerca suggerisce che le donne sono più generose degli uomini inquadrando in un certo senso l’altruismo come comportamento di genere.
Si tratta di un recente studio condotto dal professor Philippe Tobler dell’Università di Zurigo (Svizzera) secondo il quale alla base dei comportamenti altruistici ci sarebbero differenze neurobiologiche tra maschi e femmine. È stato visto infatti che i due generi, impegnati in comportamenti generosi, reagiscono in modo leggermente diverso in termini di dopamina, il neutrasmettitore legato alle sensazioni di benessere coinvolto nel circuito della ricompensa. In particolare, le donne hanno una risposta neurochimica più gratificante rispetto ai maschi.
Il lavoro, pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Human Behavior, si compone di due momenti sperimentali distinti. In una prima prova i volontari – suddivisi in due gruppi, uno trattato con una sostanza che blocca l’azione della dopamina e l’altro con placebo, successivamente invertiti – hanno dovuto decidere se condividere con altri (persone vicine e sconosciuti) o tenere per sé una data somma in denaro. In effetti le donne nella prova “libera” (senza farmaco inibente) si sono rivelate più generose degli uomini (51 per cento vs 40 per cento).
Ma la verifica con il blocco della dopamina ha scombinato questi risultati: le donne sono diventate meno disponibili alla condivisione e i maschi meno egoisti. Nella seconda prova, attraverso tecniche di neuroimaging, è stato invece possibile osservare in diretta l’attività cerebrale dei soggetti impegnati nella decisione di donare.
Si è così scoperto che l’area responsabile della ricompensa si attiva di più nei cervelli delle femmine durante le decisioni prosociali e in quelli dei maschi invece con le scelte egoistiche. La quantità di dopamina, il neurotrasmettitore rilasciato dopo un’azione altruista che fa sentire appagati per il gesto e quindi più propensi a ripeterlo, è leggermente più presente nei cervelli femminili.
I limiti dello studio secondo la psicologa
Trarre conclusioni da questi risultati però è abbastanza rischioso perché le differenze riscontrate tra i generi in queste prove non sono così rilevanti. I ricercatori stessi, Philippe Tobler e Alexander Soutschek, avvertono inoltre che non è possibile capire se questi gap sono innati oppure il risultato di influenze sociali, di diverse aspettative sui generi.
Il cervello maschile e quello femminile lavorano in piccola parte in modo diverso ma ci sono decenni di modellamento culturale da considerare. Fin da piccole le femmine sono maggiormente premiate per i comportamenti prosociali rispetto ai coetanei, incoraggiate a essere gentili, generose, disponibili e questo “insegna” ai loro sistemi di ricompensa ad aspettarsi una gratificazione per i comportamenti altruistici.
“È possibile che la radice di queste differenze sia culturale: le bambine vengono educate a essere gentili e generose e gratificate per questo“
Per questo, ha detto il professor Tobler, è possibile che la radice di queste differenze siano culturali. Diciamo che lo studio solleva domande su alcuni aspetti del comportamento pro e antisociale sui quali la ricerca futura dovrà concentrarsi più attentamente.
Del resto, nella maggior parte delle prove scientifiche le donne riescono meglio nei comportamenti prosociali. Le femmine risultano più gentili, attente, disponibili, empatiche così come più probabili a donare e condividere rispetto ai maschi. Si muovono meglio nel mondo delle emozioni, esprimendole e riconoscendole in modo più accurato. Ma non sono i cromosomi a spiegarci queste differenze quanto i condizionamenti sociali e culturali.
Il commento della psicologa: attenti a non generalizzare parlando di differenze di genere
Eppure le differenze tra i generi vengono esageratamente utilizzate per spiegare modi di pensare e di essere, contrapporre gruppi, enfatizzare divari. E questo è pericoloso, oltre che riduttivo. Perché facilmente poi queste diversità sono utilizzate per sostenere credenze, pregiudizi e discriminazioni.
La narrazione dei due generi distinta sulla base di presunte evidenze scientifiche contribuisce a contrapporre due mondi, rosa e celeste, Marte e Venere. Modella e condiziona. Ci fa pensare in termini di aspettative e stereotipi alterando interessi e inclinazioni, debilitando capacità e possibilità. Influenza chi siamo, cosa pensiamo di noi stessi, anche. Spesso limitandoci, comprimendoci in stampini, come quelli per i dolci, tutti uguali.
Perché invece queste differenze sono solo un mito. La scienza ci dice che i due sessi sono fondamentalmente simili in termini di personalità, capacità cognitive, comunicazione verbale e non verbale, aggressività, capacità di leadership, autostima e ragionamento morale.
Maschi e femmine, dall’infanzia all’età adulta, sono più simili che diversi per la maggior parte delle variabili psicologiche. Eventuali differenze tra i generi – che non sono mai carenze – fluttuano con l’età e in momenti diversi e non sono più ampie di quelle che ci sono tra due donne o due uomini. Non esiste sostanzialmente un cervello maschile e uno femminile.
Tratto da Repubblica| A cura di Brunella Gasperini, psicologa
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