Iniziamo con le parole di troppo, quelle che si dicono durante i litigi. “Non capisci mai niente”, “Vattene”, “Che cosa ci faccio io con te?”,”Non ti sopporto più”,”Mi hai rovinato la vita”. E chi più ne ha, più ne metta. Perché la lista delle parole di troppo potrebbe andare avanti con facilità. Sembra un paradosso, ma più amiamo qualcuno, più tendiamo a ferirlo. E rischiamo di essere ferite.
Sarà che con lui ci siamo finalmente aperte, sarà che gli abbiamo dato la nostra fiducia. Sarà che torna a bruciare una vecchia ferita. In amore siamo vulnerabili e scattiamo per difesa. Basta davvero poco per superare il confine del dialogo sano ed esplodere nella rabbia. Quella cieca, che non si sa controllare e che, fuori dalla nostra volontà, danneggia l’altro, la relazione, noi stesse.
La psicoterapeuta Margherita Spagnuolo Lobb, direttore dell’Istituto di Gestalt HCC, ci mostra l’importanza dell’esprimere le emozioni con delicatezza. Per imparare, col tempo, ad avere sempre più dimestichezza con le parole che fanno bene alla coppia. E a scartare quelle che feriscono.
Primo suggerimento
Quando siamo coinvolte in una discussione accesa con il partner e ci “infuochiamo” rischiamo di usare parole che feriscono. A volte lo facciamo volontariamente, a volte è più forte di noi. Come mai c’è sempre un punto in cui si arriva a “esplodere” in parole di troppo, nolenti o volenti?
Cosa fare. Si dice che l’amore è cieco, ma in realtà è cieca la rabbia: non l’amore. Quando amiamo concediamo all’altro di entrare nella nostra anima. Gli mostriamo i nostri desideri, mettiamo a nudo le nostre ferite, gli “confessiamo” come abbiamo imparato a chiuderci in noi stesse per non farci fare del male.
L’amore ha sempre un intuito primordiale: ci innamoriamo di qualcuno che è abbastanza familiare ma anche abbastanza diverso. In modo da poter riaprire con lui una nostra ferita, e superarla al tempo stesso. A una condizione: che non riviviamo quella vecchia ferita. Perché può capitare che, d’un tratto, quell’amore stesso, con cui ci siamo concesse all’altro, ci ferisca. Magari proprio nel momento in cui pensavamo di star curando le nostre ferite insieme a lui. E allora il partner diventa un nemico: come – o peggio! – del padre, della madre, del fratello, della sorella che ci avevano ferito…
Secondo suggerimento
Parlare troppo, parlare troppo poco: in amore “il troppo stroppia”. Ci sono situazioni, per esempio, in cui non diciamo subito al partner quel che vorremmo dirgli. Ingoiamo il rospo, ci tratteniamo, ci zittiamo. In altri casi poi diventiamo “vulcani di parole” ed “eruttiamo”. Pensa che sia meglio sfogarsi subito, oppure “sbollire” da sole prima di parlare col partner?
Cosa fare. Meglio affrontarsi subito, senza troppi silenzi e cercando di autoregolarsi. Quando decidiamo di “sbollire” da sole ci chiudiamo momentaneamente al dialogo: lo facciamo per paura oppure per proteggere l’altro. Ambedue gli atteggiamenti indicano comunque un distacco: nel primo caso consideriamo il partner incapace di comprenderci, nel secondo incapace di sopportare.
Va da sé che, quando l’altro è visto come un bambino o come un egoista, le cose non vanno più tanto bene! L’obiettivo in coppia è quello di dirsi tutto, o almeno tutto ciò che è rilevante. O che si vorrebbe condividere. È proprio questa l’intimità: parlare dei propri vissuti importanti, anche di quelli più vergognosi. Se non sentiamo questa fiducia meglio riflettere sulla relazione di coppia. Difendersi va bene, per evitare di farsi male e anche per regolare la situazione. Ma a un certo punto bisogna cercare di stare completamente a proprio agio nella coppia. E abbassare le difese.
Terzo suggerimento
Contare fino a 10. Andarsene per cambiare aria. Sfogarsi nel pianto. Ascoltare di più, mettersi nei panni dell’altro. Quali strategie consiglierebbe di adottare a una donna per evitare di dire cose di cui potrebbe pentirsi e per non cedere alle provocazioni del partner?
Cosa fare. Esistono due tipologie di rabbia: quella buona e quella cieca. La prima ci consente di rimanere in contatto con l’altro e anche con noi stesse, permettendoci di esprimerci e magari cambiare le cose. La seconda, invece, è un tipo di rabbia che non ci fa vedere l’altro (né la situazione) per quel che è. Lo sfogo dettato dalla rabbia cieca non è mai buono né utile. Se una donna sente di non poter gestire la sua rabbia, meglio che conti fino a 10 o che cambi aria prima di parlare. Solo a quel punto, quando si sarà un po’ calmata, potrà relazionarsi nuovamente all’altro: guardarlo negli occhi, stabilire un contatto di sintonia sensoriale ed emotiva. Per esprimere il calore che c’è, dietro all’amore ferito.
Quarto suggerimento
“Scusa, non lo pensavo veramente”. Dopo aver parlato “troppo”, inciampiamo nel senso di colpa. Ci siamo mostrate a lui per come non siamo, lo abbiamo ferito: “in fondo, neanche se lo meritava”. Se poi non veniamo perdonate subito, ci sentiamo ancora peggio. Ecco: dopo che “la frittata” è fatta, che cosa che cosa possiamo fare e dire per sistemare le cose?
Cosa fare. Meglio essere dirette, non girarci intorno e non accampare scuse. Se ci incartiamo le cose si complicano. Certo è difficile dire “scusa”, “non volevo ferirti”. Eppure sono proprio queste le parole magiche che ci consentono di riavere la sua attenzione. Non dimentichiamo la cosa fondamentale: la nostra rabbia lo ha ferito, ma noi non lo volevamo! Sono questi i due passaggi fondamentali per recuperare l’armonia: riconoscere il suo dolore (sappiamo dove abbiamo infilato il coltello!) e dirgli a parole semplici la verità. Ovvero che ci dispiace, che non era nostra intenzione.
Quinto suggerimento
C’è anche un lato positivo, però, del “parlare troppo”. La nostra reattività nei confronti dell’altro può essere interpretata come un termometro del coinvolgimento affettivo, per esempio. Come una sorta di “energia positiva” che emaniamo per stimolare (anche con le cattive) un cambiamento. Che cosa ne pensa a riguardo?
Cosa fare. Si certo: dietro ogni rabbia c’è il desiderio di raggiungere l’altro. Gli stiamo dando occasione di aggiustare il tiro con noi, di raggiungerci in un modo che non ci faccia chiudere del tutto. Sicuramente la rabbia implica un coinvolgimento affettivo. Bisogna però usare i modi e le parole giuste: ci sono parole che fanno aprire e parole che fanno chiudere. Da anni conduco corsi di comunicazione che insegnano proprio questo.
Per esempio, è molto meglio dirgli “ci resto male quando non mi apri la portiera della macchina”. Piuttosto che: “sei un cafone!”. O, ancora, meglio dire: “quando mi porti i fiori per il mio compleanno mi fai commuovere”. Anziché: “sei il migliore fidanzato del mondo”. Forse non si può avere subito e sempre la lucidità di esprimersi. Ma è una questione di piccoli allenamenti: poi, credetemi, funzionerà benissimo.
FONTE|REPUBBLICA
Se ti è piaciuto questo articolo puoi seguirci sulla Pagina Ufficiale di Psicoadvisor, sul mio account personale o nel nostro gruppo Dentro la Psiche. Puoi anche iscriverti alla nostra newsletter. Puoi leggere altri miei articoli cliccando su *questa pagina*.