Non posso avere figli: dinamiche legate alla maternità mancata. In Italia una donna su quattro non riesce a rimanere incinta.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, nel biennio 2014-15 si è osservato un incremento del 4,9% nella richiesta di trattamenti di fecondazione assistita e nel 2016 le coppie che hanno richiesto tali procedure sono state in tutto 77.522.
Cosa si prova quando si scopre di non potere avere figli?
Cosa provano le donne a cui viene data la notizia di essere sterili?
Il punto di vista di questo articolo prenderà in considerazione proprio il vissuto emotivo e psicologico delle donne infeconde, che non riescono a procreare e si vedono negata la maternità per cause non dipendenti dalla propria volontà.
Non poter avere figli: cause, tra sterilità e infertilità
Innanzitutto per fare chiarezza è necessario distinguere fra sterilità e infertilità, dove la prima riguarda l’impossibilità di concepire, la seconda l’impossibilità di portare a termine la gravidanza.
Le cause possono essere molteplici: endometriosi, impervietà tubarica dovuta ad infezioni come clamidia o gonorrea o precedenti interventi medici, anaovulazione e così via; i rimedi oltre alle cure ormonali, ovviano quasi sempre al percorso di fecondazione assistita, intrauterina o in vitro, la prima un poco più naturale, la seconda più invasiva e artificiosa, che tuttavia non sempre portano a risultati positivi, anche se le percentuali di riuscita fanno attualmente ben sperare.
L’impossibilità di avere figli, quando lo si desidera, sia che si tratti di infertilità che di sterilità, si accompagna sempre a sentimenti di colpa e di impotenza, angoscia e ingiustizia, dolore e perdita per un sogno che non si realizza, per cui un supporto psicologico e psicoterapico può essere utile ad alleviare tali vissuti, favorendo una loro sublimazione positiva e propositiva.
In taluni casi, la spinta procreativa trova altri canali sublimandosi, infatti, in attività altruistiche e pro sociali che danno soddisfazione e senso alla vita, il proprio lasciare una traccia al mondo.
Non riesco ad avere figli senza una causa medica apparente
Nondimeno, in molte situazioni non si riscontra una vera e propria condizione medica alla base della sterilità o infertilità femminile e in questo caso entrano in gioco le cosiddette motivazioni psicologiche che vanno indagate soprattutto nei vissuti emotivi della donna stessa, che possono altresì acuire le condizioni mediche generali ostacolanti la maternità.
Una delle cause potrebbe essere da ricercare in un vero e proprio inconscio e non consapevole timore di procreare, paura di non essere all’altezza del compito, di passare dal ruolo di figlia giovane e senza responsabilità ad un ruolo di madre adulta da cui dipende la vita di un altro piccolo essere umano. Il conflitto in questo senso genera un compromesso inconscio e non intenzionale: l’incapacità di procreare. Supportare le donne in questa particolare condizione di vita può pertanto estrinsecarsi nella comprensione dei moventi inconsci e delle dinamiche relazionali con l’immagine interiorizzata di madre e di donna.
Donne che non possono avere figli: risvolti psicologici
Cosa implica il desiderio di diventare madre?
Cosa si cela dietro alla sua negazione?
Come si caratterizzano le relazioni con i propri genitori reali ed interiorizzati?
Molto spesso una relazione invischiante con un padre vissuto come emotivamente seduttivo e un complesso paterno non elaborato, possono impedire alla donna di intrecciare una relazione autentica con un altro uomo, vivendo la procreazione come una sorta di “tradimento” del padre.
Ciò avviene a quelle donne che sono state, nell’infanzia le cosiddette “principessine di papà” solitamente primogenite desiderate di sesso maschile. Tale condizione favorisce la strutturazione di una relazione profondamente vincolante in cui la figlia non riesce ad autonomizzarsi dal padre, rimane sempre la sua compagna nella vita e nelle passioni e se trova un proprio compagno questo è, o nettamente inferiore al padre per posizione socio economica e mascolinità, o in competizione accesa e attiva con esso, probabilmente il suo opposto.
Allo stesso modo una relazione invischiante, morbosa con la madre e un complesso materno negativo possono castrare la possibilità di individuazione e autonomizzazione, tale per cui la donna vive la gravidanza come taglio vero e proprio del cordone ombelicale con la propria madre, una separazione vissuta ancora come tradimento e abbandono: questo sono quelle che io definisco “donne ostaggio” della madre: rapite dal senso di dover proteggere e curare la madre come priorità della loro vita, ma anche come alibi di fronte alle possibilità di crescita, svincolo e assunzione della responsabilità di Sé.
In entrambi i casi è utile favorire lo svincolo da tali relazioni, favorire la presa di coscienza della propria individualità, dei propri desideri e bisogni e l’elaborazione dei complessi materni e paterni, intesi come nuclei conflittuali inconsci e determinanti delle proprie emozioni, atteggiamenti e comportamenti.
Le pressioni socio-culturali
Infine, a pesare ulteriormente sulla sofferenza della mancata maternità si aggiunge l’inevitabile pressione socio-culturale che da un lato spinge le donne ad essere sempre più attive e produttive nel mondo del lavoro, della politica e del sociale, ma che dall’altro non ha rinunciato ad alcuni dogmi obsoleti e tradizionalisti che si traducono altresì nel percepire alcuni compiti e ruoli a maggior appannaggio del sesso femminile.
Tali pressioni sono difficili da superare e rappresentano in qualche modo l’eterno scontro fra matriarcato e patriarcato, fra femminile e maschile che non trova tregua ed equilibrio.
Concludo questa breve e sicuramente non esaustiva lettura psicologica delle dinamiche legate alla maternità mancata, che vuole essere più uno spunto di riflessione che altro, con un ultima considerazione: dietro ad ogni nostro comportamento, dietro ad ogni nostro sintomo c’è un movente, c’è un bisogno, c’è una difesa che va compresa, accolta, ascoltata, è pertanto necessario favorire la presa di coscienza dei nostri sentimenti più profondi per addivenire ad una maggiore conoscenza di sé e per raggiungere quello che C.G. Jung definisce il fine ultimo del percorso evolutivo e psicoterapico: l’individuazione, divenire ciò che si è.
A cura di: Romano Morena, Psicologa-Psicoterapeuta
Specializzata in Psicoterapia Analitica Junghiana
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Salve, aggiungerei alla lista delle cause di una mancata maternità le condizioni lavorative precarie in cui si trovano molte donne, vivendo la bestialità del ricatto “se fai un figlio non lavori, se non lavori non mangi”. Lo trovo quantomeno umiliante oltre che devastante per una donna.