“Puoi tendere la mano per dare, ricevere ed esprimere gratitudine.” Lo ammetto, non sono una fan dell’epicureismo, tuttavia devo altresì ammettere che questa frase incarna un po’ la ricerca filosofica all’esigenza di garantire all’uomo la tranquillità dello spirito (o se preferisci, l’appagamento della sfera psichica).
Tu, personalmente, puoi definirti pienamente appagata di ciò che hai? Al tal punto da mitigare nuovi desideri? Per molti di noi, la ricerca della felicità può non avere mai fine, ci imbattiamo in una sorta di adattamento edonico che ci spinge a desiderare sempre qualcos’altro senza mai farci sentire pienamente appagati.
Se credi che questi siano pensieri filosofici lontani da ciò che vivi ogni giorno ti sbagli. La tua stessa storia può raccontarci qualcosa del genere: acquisti un nuovo abito, lo indossi, ti piace e hai la tua spinta di felicità… tuttavia dopo, si attiva lo stesso ciclo e ti proietti rapidamente a un nuovo acquisto senza più gioire profondamente di ciò che già hai nel tuo armadio. Magari un pizzico di piacere resta, ma è ben lontano dal farti sentire appagata/o.
Per qualcuno gli acquisti possono essere più grandi mentre per altri più piccoli ma il meccanismo di base è il medesimo. Ci ritroviamo tutti su un tapis roulant dei bisogni dove ciò che si conquista non è mai sufficiente da garantire un appagamento durevole, non è mai abbastanza da permetterci una lunga e duratura pausa da un nuovo bisogno e dall’acquisizione compulsiva di nuovi beni.
Questo adattamento edonico è forse una risposta a un’insoddisfazione di fondo che ti induce semplicemente a comprare, accaparrare, collezionare, sperimentare…. di più.
Sì, sperimentare, perché questo aspetto non è legato solo al consumismo ma a tutto ciò che ruota intorno alle conquiste e al cambiamento.
Allora l’essere umano è per sua natura inappagabile? Certo che no! Anche se generalizzo parlando soprattutto con la prima persona plurale, posso affermare che questa corsa all’acquisizione non riguarda proprio tutti.
La corsa alla felicità e all’appagamento
Per farti capire che non sto filosofeggiando a vuoto ti riporto i risultati di una ricerca condotta in collaborazione tra il dipartimento di Scienze Psicologiche del College of Art and Sciences e il dipartimento di Psicologia dell’Università della California. La ricerca ha analizzato un campione di 481 persone mediante la somministrazione di test atti a rilevare lo stato di felicità, appagamento e benessere degli intervistati.
La ricerca ha messo in evidenza che la spinta di benessere si verifica solo immediatamente dopo il cambiamento e che questo appagamento iniziale era destinato a non essere duraturo.
In pratica, ci abituiamo al cambiamento, alla nuova conquista e questa ben presto perderà il valore che noi gli avevamo inizialmente attribuito. Così, continuiamo ad alzare i nostri standard, continuiamo ad affannarci e a correre sul nostro tapis roulant dei bisogni senza fermarci a godere realmente delle conquiste ottenute lungo la strada.
Il problema è che più tendiamo ad affidare la nostra soddisfazione ai beni materiali e più velocemente le nostre aspirazioni aumentano, come una vera dipendenza. Diventiamo schiavi di iniezioni momentanee di felicità legate all’acquisizione di un bene.
Materialismo vs gratitudine
Per far sì che ciò che compriamo possa assicurarci un benessere costante, quell’acquisto deve essere vissuto e apprezzato ogni giorno oppure a ogni utilizzo. Ciò però non avviene e questa corsa potrebbe spiegare la relazione inversa tra materialismo e gratitudine.
Un’altra ricerca, questa volta portata a termine dalla Baylor University, ha utilizzato una “scala del materialismo” e ha osservato che chi è più focalizzato sui beni materiali tende a sperimentare livelli di gratitudine e soddisfazione più bassi (Tsang, et al 2014).
Jo-Ann Tsang Ph.D (professoressa associata di psicologia e neuroscienze della Baylor University) ha visto come senso di gratitudine e appagamento siano affini e soprattutto come questi si possano collocare al polo opposto del materialismo.
Con il materialismo tu tenderai a essere concentrato solo su te stesso. Mentre con la gratitudine sarai portato a considerare le tue interazioni sociali e sentimenti di gratitudine possono spingerti verso il prossimo. Se il materialismo ti fa concentrare su ciò che tu non hai, la gratitudine ti fa concentrare su ciò che hai ottenuto e ti fa proiettare al prossimo facendoti sviluppare un’attitudine alla felicità.
Il materialismo, d’altra parte, facendoti concentrare solo su te stesso, ti proietta a fare un inventario di ciò che hai e soprattutto ti porta a focalizzarti su ciò che non hai compromettendo la tua capacità di essere grato per ciò che hai acquisito.
Come essere umani tendiamo ad adattarci a ogni situazione e ci adattiamo anche a ciò che abbiamo. Man mano che accumuliamo e possediamo sempre di più, la nostra felicità non è destinata ad aumentare il proporzione, anzi, al contrario, ci porterà ad elevare ulteriormente i nostri bisogni. Questa tendenza è stata definita dagli americani Tapis roulant of Consumption. Continuiamo ad acquistare sempre più cose senza mai avvicinarci davvero alla felicità, semplicemente corriamo più veloci su quel tapis roulant (Roberts, 2014).
La gratitudine come soluzione
Sembra scontato ma non lo è affatto. Sarebbe banale se riuscissimo ad applicare la gratitudine in ogni momento della nostra vita… ma dato che non tutti ci riusciamo, tanto banale non lo è!
Le ricerche che ho riportato ci fanno capire che i materialisti sono meno soddisfatti delle loro vite nonostante la grande quantità di beni che riescono ad accaparrare. I materialisti hanno più probabilità di essere infelici e la scoperta che i materialisti provano meno gratitudine ci aiuta a spiegare il motivo di questa tendenza: la gratitudine è un’emozione positiva che mantiene alti i livelli di appagamento anche a lungo termine.
Ci sono molte chimere nella felicità: la ricchezza, lo status sociale, l’immagine… in più, abbiamo l’innata tendenza a paragonarci con chi ha di più e meno con quelli che hanno poco… di conseguenza ci sentiamo meno felici e l’acquisizione di un nuovo bene materiale sembra essere la soluzione immediata per coprire un divario.
La verità è che dovremmo smettere di paragonarci agli altri e iniziare ad accettarci in modo incondizionato. Ognuno di noi è unico, ha una sua vita e ha dovuto confrontarsi con esperienze ed eredità (sociali, emotive, economiche…) uniche e irripetibili. La presenza di emozioni positive come la gratitudine, nella nostra vita, può fare davvero la differenza aiutandoci anche a superare i momenti più difficili e regalandoci un appagamento reale e duraturo.
In pratica dobbiamo imparare a fare investimenti emotivi più sani (e anche più economici!) così da scendere finalmente da quel tapis roulant che ci spinge a un’affannosa corsa senza meta. Per completezza e capire cosa si cela -a livello psicologico- dietro a questo grosso bisogno di “conquista” ti consiglio di leggere il mio articolo “Perché desideriamo ciò che non possiamo avere“.
ps.: ti prego di non minimizzare tutto quanto con una frase “chi si contenta gode” perché anche questo è sbagliato! E’ giusto puntare alla crescita e al miglioramento, solo che durante la strada bisogna imparare ad apprezzare quanto ottenuto, coltivare gratitudine senza mai dimenticare da dove siete partiti, altrimenti diventa una corsa sterile, senza senso e contornata da gioie consumistiche usa e getta.
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