Perché mi sento sempre stanco? Psicosomatica della stanchezza

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor


Sentirsi stanchi non significa necessariamente avere una qualche patologia. I cambi stagionali, ad esempio, con i loro mutamenti di temperatura e di quantità di ore di luce quotidiani, possono portare nell’individuo una elevata stanchezza, prolungata per alcuni giorni.

Anche altri cambiamenti e fattori esterni ed interni come il lavoro, i cambiamenti ormonali, un trasloco, un lungo viaggio, un semplice, ma abbondante pasto o addirittura una vacanza possono portare forte affaticamento scompensando gli equilibri psico-fisici caratteristici di ogni persona.

La stanchezza fa parte integrante della vita

E’ una sensazione fondamentale che segnala il limite momentaneo all’azione e il bisogno di fermarsi o di cambiare ritmo. Essa è dunque, in una condizione di salute, uno strumento atto a mantenere l’equilibrio e la salute stessa in quanto elemento regolatore dell’attività e del riposo.

In breve però deve scomparire e quando ciò non accade – in particolare quando ci si sveglia più stanchi di quando ci si è addormentati – vuol dire che qualcosa non va nelle strategie energetiche e c’è uno squilibrio tra consumo e ricarica.

La Sindrome da affaticamento cronico

E’ bene precisare che l’affaticamento psico-fisico continuo è un qualcosa di nettamente differente dall’essere afflitti da una, seppur intensa, momentanea stanchezza; solitamente risolvibile con del riposo. L’affaticamento costante e prolungato può assumere la forma di una vera e propria patologia definita “Sindrome da affaticamento cronico” e può essere imputabile ad una menomazione fisica, ad esempio anemia, malattie virali o della tiroide, e/o ad un disagio psicologico.

La stanchezza generale non deve mai essere sottovalutata, anche in assenza di una precisa causa organica

Oltre a essere un fenomeno debilitante può avere ripercussioni serie sulla vita quotidiana (lavoro, rapporti interpersonali, di coppia). Ci si sveglia già stanchi e a volte ci si ammala molto spesso (condizione molto comune nelle pesone che soffrono di depressione). Alzarsi più affaticati di quando ci si è addormentati significa che a livello energetico si è verificato uno squilibrio tra consumo e ricarica: le risorse energetiche sono state profondamente intaccate.

La stanchezza cronica

Altra cosa, decisamente più seria, è la stanchezza cronica (CFS: Chronic Fatigue Sindrome) che comprende una condizione costante di stanchezza con presenza di alcuni sintomi particolarmente significativi: stanchezza fisica, dolori muscolari e articolari, cefalea, , irritabilità, disturbi cognitivi.

Questa sindrome, molto spesso, è il primo segnale di una depressione, non riconosciuta, caratterizzata da apatia, delusione, crollo di importanti aspettative, mancanza di entusiasmo e di desideri, in breve, il soggetto ha perso la voglia di vivere.

La persona particolarmente affaticata è sempre troppo coinvolta dai suoi pensieri, dalle sue preoccupazioni, timori e paure, a tal punto che la bloccano, consumando completamente la sua energia. Lo stato emotivo, infatti, è fondamentale per determinare il livello di energia. Quando si vive un’esperienza di depressione, di dolore o di tristezza, il livello di energia tende ad abbassarsi. Al contrario quando si è felici, allegri il livello energetico sale.

Stanchezza cronica in psicosomatica

La sindrome di stanchezza cronica è il primo (o inizialmente l’unico) segno di una depressione non riconosciuta o molto mascherata che trova nello stato di debolezza l’unica forma, da un lato di espressione, dall’altro di auto-terapia. È il corrispettivo fisico di apatia, disincanto, delusione, mancanza di entusiasmo, ma anche del crollo improvviso di importanti aspettative.

Ci sono però molte situazioni nelle quali non si riconosce nulla di particolare; piuttosto si può osservare che nel modo di vivere abituale di una persona c’è un certo “attrito”: si vive in perdita lieve ma continua di energia (i risultati concreti sono sempre inferiori rispetto alle energie impiegate).

Quando siamo particolarmente scontenti, visto che non possiamo scappare, la stanchezza psicosomatica può essere l’espressione di un inconscio desiderio di fuggire da una vita stressante e insoddisfacente.

La scarsa autostima è un tratto caratteristico di chi viene colpito da sindrome da stanchezza: chi soffre di stanchezza cronica ha spesso di sé un immagine negativa: si percepisce come una persona debole, inferiore agli altri, incapace di cavarsela da solo nella vita.

Convinti di non riuscire ad interessare gli altri per le loro qualità, scelgono inconsciamente di diventare ” speciali” nelle loro debolezze. E il ruolo di “stanco cronico”,  può diventare un modo per essere finalmente visti dagli altri, per avere una propria identità, per trovare il proprio posto in famiglia o nella società.

Le situazioni che più frequentemente provocano la patologia sono le seguenti:

  • agire controvoglia e/o contro la propria indole;
  • agire vivendo resistenze interiori e/o trovando continui ostacoli esterni (economici, sociali, lavorativi, familiari);
  • agire sempre in balia di dubbi, paure e ripensamenti;
  • agire contro la morale quando essa è molto sentita;
  • agire seguendo schemi di comportamento tortuosi e nevrotici: per esempio, il dover essere in un certo modo per mantenere un’immagine di sé valida ai propri occhi.

Tutto questo porta molte volte ad un aspro conflitto tra la nostra parte razionale e quella emotiva. Quando ci viene proibito (da parti di noi o da altri) o reso difficoltoso e addirittura inaccettabile il poter gratificare le nostre voglie, i nostri piaceri, ecco che spunta l’insoddisfazione.

Ed essa si trasforma in passività, che a sua volta alimenterà il circolo vizioso di non potere, non riuscire, a far nulla che soddisfi veramente, ingigantendo la sensazione cronica di stanchezza e di fallibilità.

Sindrome della stanchezza, chi è più a rischio

Le persone che possono facilmente incorrere in questo tipo di disagio, sono spesso perfezioniste, uomini e donne abituati ad alti standard, che non si permettono di abbassare la guardia dai loro obiettivi e dalle aspettative, fin troppo alte, nei confronti di sé stessi.

Non si lasciano andare all’emotività, ma anzi spesso somatizzano ciò che le emozioni stanno cercando di comunicare loro. Negano le proprie esigenze, a fronte di ciò che “devono”. E quando, per stanchezza appunto, non sono più al top come “dovrebbero”, si ingenera in loro un fastidioso senso di fallimento. In particolare:

  • Persone che svolgono un’attività in modo intenso e continuativo per molti mesi o anni, concedendosi un riposo insufficiente.
  • Persone che hanno sofferto negli ultimi mesi di patologie debilitanti, gravi o meno, e hanno dedicato poco tempo alla convalescenza.
  • Persone che tentano di ignorare le classiche malattie da raffreddamento dell’autunno/inverno (influenza, bronchite, faringite ecc.) mantenendo la stessa attività di sempre.
  • Persone che soffrono di disturbi del sonno da almeno tre mesi e che non riescono a risolvere il problema oppure lo trascurano.
  • Persone che soffrono di depressione, la quale è tuttavia mascherata dall’iperattivismo o dal senso del dovere.
  • Persone che soffrono di stati depressivi manifesti.
  • Persone che sono animate da molti dubbi e resistenze rispetto all’attività che hanno intrapreso.
  • Persone che si mettono a disposizione degli altri senza mai risparmiarsi davanti a niente.

Ripetere ogni giorno le stesse azioni, senza sentirsi per questo valorizzati o con la sensazione che non sia mai abbastanza, comporta una frustrazione che piano piano ci fa sentire inutili, stanchi, senza energie. L’ansia contribuisce all’infelicità.

Il comune denominatore quindi in questo tipo di stanchezza mentale, psicologica sembra essere l’insoddisfazione. E’ l’insoddisfazione che sta sotto, molto spesso, alla stanchezza, come forma mentale.

Cosa fare in caso di stanchezza cronica?

Quando la stanchezza cronica  si manifesta significa che le risorse energetiche del corpo sono effettivamente state intaccate. Perciò “tirare avanti” a tutti i costi, oppure resistere, stringere i denti, banalizzando il problema, è quanto di più controproducente si possa fare.

Allo stesso modo però, un breve riposo di uno o due giorni non solo può rivelarsi insufficiente ma addirittura dannoso perché il corpo non fa nemmeno in tempo a fermarsi e subito deve riprendere le sue attività.

E’ necessario pertanto considerare seriamente la possibilità di un periodo non di distacco totale dall’attività, ma di parziale riduzione degli impegni e della velocità con cui vengono affrontati: lentezza che non vuol dire assolutamente immobilità. Naturalmente le energie riconquistate non devono essere messe al servizio del vecchio stile di vita.

Conoscere le nostre reali aspirazioni e porsi pochi e piccoli obiettivi raggiungibili, ci può aiutare a sperimentare quel senso di efficacia, motore per nuove azioni, e nuovi obiettivi da raggiungere. Purché misurati sulla nostra autenticità.

A cura di Ana Maria Sepe, psicoloogo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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