Ogni genitore dovrebbe essere responsabile delle cure da dedicare al proprio figlio, ma come si può diventare genitori responsabili senza sapere, in realtà, quali sono i compiti da assolvere e, di fatto, le responsabilità da assumersi?
Ognuno di noi ha la propria idea in merito a cosa sia giusto e sbagliato per l’educazione del figlio e, senza rifletterci troppo, viene spontaneo assumere che non ci sia niente di meglio della propria idea! Ma è proprio così? E soprattutto, in quanto genitori, siamo davvero disposti a investire tutto nella nostra idea per poi rischiare di scoprire che tutto ciò che reputavamo “giusto” poteva, in realtà, essere migliorato?
“Migliorato” nella più ottimistica delle ipotesi, talvolta, l’operato genitoriale andrebbe completamente riscritto, non certo per cattiveria o intenzionalità malevola del genitore, ma semplicemente per mancanza di strumenti.
Pensiamo a un adolescente. L’adolescente, impegnato a vivere questa tappa dello sviluppo, suppone che tutte le sue scelte siano giuste… tuttavia, all’occhio del genitore, scelte e condotte del figlio potrebbero essere migliorate. In un certo senso, noi genitori siamo un po’ come adolescenti, impegnati a viverci questo ruolo rischiamo di commettere errori inconsapevoli fraintendendo anche le nostre stesse responsabilità genitoriali.
Le persone più scettiche diranno che un tempo, per essere un buon genitore bastava assicurare dei viveri, un tetto sulla testa e una dose di istruzione scolastica al proprio figlio, e BOOM, tutto era già compiuto. In realtà questo potrebbe essere vero, ma solo se già fin dalle prime fasi di sviluppo, il bambino viene accudito con sano amore e riconoscendogli una sua identità distaccata dalla propria. Il problema è che spesso, il bambino viene al mondo come estensione del genitore, come coronamento di un sogno (sempre del genitore) o come colui che porterà felicità e soddisfazione (ovviamente si parla di gratificazione genitoriale). Sono pochi i genitori che mettono al mondo un bambino pensando che crescendo avrà un’identità propria, dei gusti peculiari, un orientamento sessuale che potrebbe essere diverso da quello biologico… sono pochi i genitori che riflettono sul proprio figlio come un organismo a sé, degno di rispetto e stima, prima ancora che di amore.
Dalle responsabilità al potere genitoriale
Quando si parla di responsabilità, si finisce per scivolare nel concetto di mancanze e di colpa. Proviamo a spostare il focus dalla responsabilità al potere. Il potere del genitore è immenso.
Prendere atto di avere un grande potere sulla prole, ci dà la possibilità di riflettere meglio sul nostro operato, ci rende più facile un’ammissione di responsabilità e questo non significa colpevolizzarsi. Tutti commettono errori, riconoscerli ci consente semplicemente di migliorare. In più, non dobbiamo dimenticare che prima di diventare genitori, ognuno di noi è stato figlio e a sua volta è stato (entro diverse misure) plasmato dal potere della generazione genitoriale precedente.
Da un genitore consapevole del proprio potere, è più facile che ne derivi un figlio pronto a farsi carico della propria responsabilità quando arriverà il momento (come nell’adolescenza!). Da un genitore consapevole del proprio potere, molto più probabilmente ne deriverà un figlio autonomo e pronto a curare la qualità della propria vita.
Le responsabilità non vanno negate con la fatidica frase “ai miei tempi….”, purtroppo anche tu, come figlio, hai subito delle mancanze ma comprendendo il potere genitoriale, sarà possibile spezzare questa catena di lacune emotive che vengono tramandate da generazione in generazione.
Le evidenze scientifiche
Se si prova a sfogliare il Manuale diagnostico e Statistico dei Disturbi mentali e si provano a ricercare le pubblicazioni scientifiche che indagano le cause di ognuno di essi (questo vale anche per alcuni disturbi del neurosviluppo come l’ADHD) si potrà notare una fitta mole di evidenze che correlano ogni disturbo a determinate condotte genitoriali.
Certo, qualcuno potrebbe tirare in ballo la componente genetica. Genetisti e neuroscienziati concordano nell’affermare che non tutto è già scritto nel DNA e lo stesso ambiente di sviluppo (l’ambiente fisico, così come l’ambiente psicologico) possono pesare sulla stessa espressione del DNA. Quindi, anche quando gli studi evidenziano delle particolari isoforme geniche o alterazioni neurobiologiche, le attuali ricerche non sono in grado di affermare se queste espressioni sono in realtà indotte da fattori ambientali o sono innate. Il dibattito tra “innatismo” e “ambientalismo” è lunghissimo e una prima infarinatura si può avere con l’articolo «Perché è importante parlare al neonato?» (Anticipazione: il genitore ha il potere di influenzare lo sviluppo del sistema nervoso centrale del bambino).
Quindi se un adulto ha un disturbo è sempre colpa del genitore?
Le colpe e le condanne si assegnano nelle aule dei tribunali e non nello scorrere della propria vita. Il concetto di responsabilità e colpevolezza non dovrebbero essere confusi. Ognuno è portato a fare i conti con i propri errori, incertezze, ansie, paure ma anche con la rabbia, il rancore e il rimorso. Con un approccio propositivo, un genitore può rendersi conto delle proprie responsabilità per poi lavorare per migliorare come persona prima e come genitore poi. Un figlio può rendersi conto delle mancanze subite e farsi carico di se stesso, lavorare sulla propria crescita e migliorare la qualità della vita. Quando si parla di ri-sanare manchevolezze e torti subiti, ognuno di noi diventa genitore di se stesso: si auto-accudisce, auto-consola e cura la sua crescita.
A cura di Ana Maria Sepe, psicoanalista
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