Relazione tossica con se stessi: perchè siamo noi a farci del male?

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor
“Non cʼè trappola più mortale di quella che prepariamo con le nostre stesse mani.” R. Chandler

La psicologia ci insegna che i nemici non sono solo fuori, anche se magari lo sono stati in passato. Partendo da questa premessa, possiamo indagare cosa accade in quei soggetti i cui i processi autodistruttivi sembrano prendere il sopravvento su quanto la vita può offrire di bello e di positivo.

Molte volte ci capita di vedere persone che vivono la sofferenza quasi facendone un totem, una sorta di innalzamento rituale che sembra farli godere del loro “dolore”. Ovviamente questi soggetti possiamo trovarli all’interno di una coppia ma non necessariamente; in ogni caso il loro bisogno è trovare qualcuno che alimenti il loro soffrire.  Anche se a livello cosciente si lamentano di questa condizione, queste persone non riescono quasi mai ad uscirne.

Stiamo parlando di una forma di masochismo, uno stile di vita particolare in cui quelle che sono considerate le variabili dello sviluppo del carattere hanno schiacciato la volontà del soggetto. Questo significa che la natura e  l’ambiente in cui si è nati non hanno collaborato tra loro e quindi non hanno favorito lo sviluppo naturale delle capacità cognitive, affettive e comportamentali del bambino. In sintesi, non vi è stata la possibilità di esprimere chiaramente sé stesso in opposizione alla volontà altrui.

Mancata affermazione del Sé:
sottomissione e impotenza

Dal momento in cui il bambino impara a parlare e a camminare mostra un bisogno sempre più pressante di indipendenza ed impara pian piano a sostenerla; in questa fase si manifestano con più incisività i conflitti tra i desideri del piccolo e quelli genitoriali. E’ infatti in questo periodo che vi sono spesso quelli che si definiscono “conflitti di volontà e di potere”: non possiamo non pensare al bambino che tenterà con ogni sua forza di affermarsi per difendere l’Io che sta crescendo e che vuole distinguersi con la sua specifica individualità.

Se in questa fase non vi sono le condizioni per affermarsi e il bambino è costretto a vivere continue frustrazioni in quanto la sua volontà viene schiacciata e umiliata non resta all’Io che una squallida identificazione con la “sottomissione e l’impotenza”.

Struttura masochista come meccanismo di difesa

Indubbiamente il bambino non ha possibilità di combattere costantemente e, ad un certo punto deve giungere ad un adattamento che, nel caso, rifletterà senza ombra di dubbio i suoi  bisogni frustrati e le difese che sono state messe a punto per poter sopravvivere alla situazione che si profilava di fronte.

Nel masochista la rabbia è sempre stata impotente e quindi vi è stata la sensazione di essere stati puniti o educati senza alcuna forma di giustizia e senza mai poter in qualche modo argomentare e sostenere ciò che si pensava o provava. In queste condizioni la rabbia non poteva che “introvertirsi” e covare sotto la cenere in attesa di una eventuale possibilità di rivendicazione.

Il problema fondamentale deriva da un uso, anzi da un “abuso” di potere che ha fatto sperimentare enormi sensazioni di impotenza dato che la disparità tra sé stessi e chi deteneva potere e autorità era incolmabile. La situazione non poteva essere affrontata se non  imparando in un certo senso ad “erotizzare” la sofferenza e a convivere con essa.

Dinamiche e comportamento autosabotante

Il modo di agire del masochista è la resistenza; in effetti, quasi sempre dice “si” ma poi si nega e non fa, oppure fa senza tuttavia partecipare a ciò che si sente in obbligo di eseguire e quindi, ecco che la volontà e l’autodeterminazione si scindono all’interno e non collaborano ma anzi, si sfidano lacerando il soggetto.

Questo meccanismo di difesa è molto interessante poiché consente al bambino di mantenere più o meno sano il senso dell’Io che, non potendo fare nulla contro quello che sta vivendo, acquisisce il potere illusorio di “non collaborare” oppure quello di “erotizzare la sofferenza”, il che lo salva temporaneamente da danni maggiori alla formazione dell’identità.

Ovviamente il “controllo” e la “resistenza” saranno le parti più salienti della sua personalità.

Niente potrà essere improvvisato nel masochista, tutto dovrà essere calcolato, controllato e soprattutto vi è una  grande quantità di energia che viene spesa per resistere al tentativo di ribellarsi e di non accondiscendere che dall’interno “qualcosa” possa continuare ad agire.

Lo sviluppo della volontà nel bambino è assolutamente fondamentale: senza volontà non si può crescere e non ci sarà la possibilità di diventare adulti a pieno titolo, in grado di affrontare il mondo senza timori.

Anche il semplice zittire costantemente il bambino o non rispondere alle sue richieste significa farlo sentire inesistente. Si tratta di una violenza incredibile che lascerà tracce indelebili e che porterà inevitabilmente al senso di impotenza e alla negazione di sé… che produrrà l’autosabotaggio interno.

 Il masochista nell’età adulta: il sabotatore interno

Il masochista tratta sé stesso esattamente come è stato trattato nel passato; in effetti egli  metterà in atto comportamenti limitanti, frustranti e spesso anche auto torturanti che sono il frutto del “sabotatore interno” che subisce senza reagire.

In effetti, l’attacco viene fatto a sé stessi in quanto, da bambini, vi è stata l’impossibilità di attaccare il genitore e, da adulti, si punisce la parte di sé che un tempo veniva punita dal genitore.  Ovviamente il potere e la forza sono sempre delegati all’esterno e questo fa si che questi soggetti abbiano la tendenza ad entrare costantemente in contatto con ambienti e persone abusanti e limitanti.

La caratteristica principale della personalità masochista è la vergogna che sperimenta costantemente perché si sente sbagliato e in torto: diverso dunque dal senso di colpa che nasce dal giudizio su ciò che abbiamo o non abbiamo fatto.

Ci si può sentire in colpa senza necessariamente provare vergogna, mentre non si può provare vergogna senza sentirsi anche in colpa. La vergogna nasce da qualcosa che si ritiene profondamente sporco o sbagliato in noi e si accompagna quasi sempre al bisogno di nascondersi, di non mostrarsi.

In effetti, il masochista ha sempre sperimentato molta vergogna attraverso il modo di parlare dei genitori che spesso gli hanno detto “vergognati”, “non farti vedere”, “fai schifo”… In questo modo, la voce esterna viene introiettata e non lascia scampo al masochista che non può far altro che continuare a sperimentare umiliazione anche se ormai non più attraverso il genitore, ma attraverso un compagno che gli permetterà di ripetere lo stesso modello di relazione o attraverso rimproveri che muove a se stesso.

Certo, nel masochista si affianca sempre anche il senso del “non avere diritto” e questo fa si’ che il soggetto finisca per farsi carico di situazioni del tutto disfunzionali perché crede di non avere alcun diritto a ribellarsi.

Dinamiche nel masochismo: impotente o passivo aggressivo

Il masochista può identificarsi nel succube (impotente),  in alternativa può scegliere la strada di dire si e poi di non fare, quella del passivo aggressivo… Quest’ultima strada è un escamotage che consente all’Io di non sentirsi completamente impotente in quanto, nella sua mente è convinto di opporre resistenza a ciò che viene ordinato (aggressività passiva). Entrambe queste forme portano però ad una impossibilità di realizzazione da adulti, almeno fino a quando non si è rintracciata la rabbia che deve essere trasformata in forza. Questo lo si può fare attraverso un buon lavoro terapeutico.

 Il sadismo nel masochista: identificazione con l’aggressore

La struttura masochista non può esistere senza una corrispondente parte di sadismo (introiezione del lato aggressivo esterno) ed in effetti, in alcuni soggetti avviene quella che si chiama “identificazione con l’aggressore” che comporta l’identificazione con la parte abusante in modo da sentirsi forte e potente.

In questo caso il soggetto avrà tendenze sadiche e cercherà soggetti da umiliare e da punire in modo da negare completamente il proprio lato impotente e la paura che, essendo inaccettabili, devono essere proiettate all’esterno.

In effetti, il masochista è l’alter ego del sadico che, ovviamente ha sperimentato un problema analogo ma ha reagito infierendo (acting out)  anziché subendo (acting in). Le due personalità si attraggono inevitabilmente, anche perché sono i due lati di una stessa medaglia per cui, se non si incontrano, nessuno dei due potrà vivere la sua tipologia, in quanto strettamente dipendente dall’altra.

Sofferenza, la compagna di vita del masochista

Insomma, la sofferenza -in un modo o nell’altro- finisce per far sempre parte della sua vita. E’ questo che gli consente di continuare a trovare quel particolare tipo di  situazione. Il masochista tende a mettersi in relazioni in cui gli altri lo umilieranno e approfitteranno di lui e non riesce a vedere che è egli stesso a ricercare questa dinamica.

Il lamento, a quel punto, serve esclusivamente a scaricare un po’ di tensione, per poi poter riprendere esattamente i ruoli di prima.

Il masochista si illude però di essere servizievole e buono; in realtà la sua tipologia caratteriale lo porta a mettersi in condizioni di “inferiorità” solo ed esclusivamente perché si sente di non poter aspirare ad altro ma, in fondo, è sempre molto arrabbiato per il ruolo che occupa.

Ed è in questa sua ambivalenza che può continuare a giocare questo strano rapporto: infatti, il masochista ha bisogno di occuparsi degli altri in modo da sentirsi indispensabile.

Cerca dunque di ottenere quel valore che non sa assolutamente dare a  sé stesso; purtroppo però, siccome tende per compensazione a svilire gli altri anziché far loro del bene autentico, ottiene quasi sempre l’effetto contrario ovvero che gli altri si sentano arrabbiati con lui che, in un certo senso nutre la loro dipendenza per bisogno.

Tra le altre cose i masochisti contrabbandano fortemente i loro valori e la loro indipendenza in cambio di maltrattamenti e di vessazioni a cui non sanno ribellarsi perché hanno delegato completamente la loro rabbia per potersi identificare con un lato “buono” che, in effetti non posseggono (almeno non lo posseggono nei termini concepiti dal masochista).

Non usano il loro potere personale perché temono di non avere poi la forza per affrontare la vita in modo indipendente: così, si candidano a sofferenze continue perché nutrono rancore contrabbandandolo per amore… e danno servizi per non vedere la loro dipendenza: continuano in pratica a fare a sé stessi ciò che tanto hanno rimproverato ai loro genitori.

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