“Alla scoperta di un nuovo approccio per il recupero del benessere e la trasformazione del sé”.
Le trasformazioni socioculturali e le tendenze moderne al cambiamento dinamico e repentino delle abitudini, porta con sé il formarsi di modi e di atteggiamenti personali dei quali spesso non ci rendiamo conto.
Il tempo che sembra non essere mai sufficiente, il dare per scontato la necessità di riempire ogni nostro momento con un fare incessante e senza sosta, il rincorrere come modalità di azione primaria, divengono per certi versi i regolatori esistenziali della vita attuale.
Per accogliere queste tendenze in divenire occorre anche che le discipline che studiano il comportamento dell’uomo si adeguino ad affrontare modalità dell’essere che si fanno sempre più sfuggenti, distanziate dall’attenzione e dalla consapevolezza, distratte dalle abitudini e dalle tante, troppe, stimolazioni esterne.
Il tempo vissuto interiore sembra non seguire più il ritmo dell’agire soggettivo e tutto questo porta ad uno schiacciamento dell’essere che si fa sempre più minimo rispetto alla mole occupata dal tempo esterno che detta i tempi ed i ritmi delle persone.
E’ la vista che scandisce il tuo ritmo.
Non sei tu a scandire il ritmo della tua stessa vita.
Tutto si traduce in una corsa dove non è contemplata la riflessione, il rallentamento, l’osservazione. Chi rallenta perde il ritmo e perdere significa non essere in grado di assolvere al compito primario: seguire un preciso passo di danza. Questa danza non nasce spesso e volentieri da una consapevolezza di sé, dalla scelta del proprio ritmo, dalla maturazione del proprio modo personale di muoversi ma diviene un qualcosa al quale si tende ad adeguarsi per non sentirsi “stonati” o dissonanti rispetto agli “altri”.
Paura di stonare, senso di inadeguatezza, il non sentirsi in sintonia con gli “altri”, divengono i concetti chiave verso i quali occorre iniziare a riflettere soprattutto da parte di chi si occupa di discipline del benessere.
Lo scopo è quello di intervenire affinché ognuno possa riscoprire progressivamente la propria de -formazione rispetto al proprio progetto formativo originario.
La psicologia potrebbe avere come scopo attuale quello di consentire di attivare nelle persone la stenìa, ovvero la forza di rilevare le proprie criticità e di promuovere l’emancipazione dal soggettivo stato di sofferenza.
La “metabletica” intesa come scienza del cambiamento attraverso un agire intenzionale, consente di far focalizzare l’attenzione sulle motivazioni intrinseche e sulla tendenza a ricercare negli anfratti esistenziali più profondi le aspirazioni a divenire attingendo alle risorse proprie del personale progetto originario.
Divenire ciò che si è rappresenta allora il motivo fondamentale del vivere e del percorrere il proprio tempo, autenticando se stessi mediante la donazione di senso del proprio agire personale.
La donazione di senso coincide con la comprensione di sé attraverso la relazione terapeutica che va ad agire dando forma alla consapevolezza del proprio divenire, anche attraverso la trasformazione del senso originario del proprio intimo formarsi.
Le rotture auto formative del soggetto dovute ad esperienze traumatizzanti o comunque dirompenti rispetto ai personali mezzi di tenuta e di tolleranza, comportano il sorgere di deformazioni che impediscono in qualche modo il ricreare una armonica ed equilibrata formazione di se stessi.
Smarrire l’autenticità, il fondamento, significa attivare quei meccanismi che allontanano la persona dall’oroginarietà dell’ essere se stesso e di divenirlo in maniera autentica. La conquista formativa di se stesso è l’obiettivo di un sano processo terapeutico che permette di aiutare l’individuo di ritrovare nella propria formazione costitutiva l’originarietà della propria essenza in modo da impedire che il senso di smarrimento possa attivare la condizione di angoscia, ovvero il senso di abbandono dell’uomo da se stesso.
Riappropriarsi della propria identità
Scoprire la propria unicità significa riappropriarsi della propria identità formativa che è unica ed irripetibile e per riuscirci occorre maturare quella stenìa che consente di favorire il passaggio dalla deformazione alla formazione. Attivando un processo di donazione di senso è possibile riequilibrare una formazione compromessa che consente una significazione (illuminazione) dei processi deformativi che hanno portato ad attivare la compromissione del sentimento dell’umano.
Per far fronte ad una cultura del disagio che incita all’allontanamento dal senso di sé per incarnare qualcos’altro, più funzionale ai fini commerciali, economici e di interessi – altri, occorre comprendere, interpretare e conoscere le forme della deformazione soggettiva attraverso una logica decostruttivista che consenta di ripensare una costruzione formativa che parta dal senso di intimo desiderio formativo, allontanando le deformazioni acquisite dal desiderio dell’inautentico apparire.
L’identità essenziale, autentica e fondamentale si costruisce attraverso una decostruzione e reinterpretazione dei significati dati come ovvi e scontati ma che in realtà impediscono l’emergere della struttura formativa originaria.
La terapia, intesa come propulsore della trasformazione, consente di attivare ulteriori forme della formazione in modo da innescare la cura del senso dell’umano, in antitesi con le forme della disumanità, tipiche dei riti, delle mode, degli individualismi, ecc. La terapia intesa allora come processo di liberazione dell’uomo dal ruolo di soggetto-oggettualizzato permette di intercettare le tracce di originarietà formative proprie dell’individuo eliminando quelle scorie inautentiche e deformanti che impediscono al soggetto di formarsi nell’armonia di se stesso.
Lo scopo terapeutico è quello di impedire la degenerazione della formazione che comporta la perdita dell’originarietà e lo smarrimento della trasformazione (Sola G., 2008., Il Melangolo, Genova).
Perdere la formazione originaria ed il senso dell’umano significa gettarsi nelle spirali della “nientificazione” dove si ha la normalizzazione della disumanità.
Prendersi cura delle forme della deformazione dell’uomo, attivando il senso originario dell’umano anche attraverso l’incremento della resilienza formativa, è possibile partendo dal senso di sé, dal proprio modo di sentirsi e di viversi adesso.
Il training psicoemozionale e sequestri emozionali
Il training psicoemozionale che propongo è una visione della psicologia esistenzialista che va ad innestarsi sui principi delle pratiche bioenergetiche e meditative, con il fine di attivare una ri-regolazione dei toni affettivi evitando i sequestri emozionali, come rabbia o paura, che progressivamente portano alla mancanza del senso di essere se stessi, alienando dalla vita e dal senso autentico ed originario di sé.
Il training psicoemozionale consente di contattare le emozioni più profonde partendo dal gesto intenzionale animato dal respiro e sostanziato dalle visualizzazioni in modo da riscoprire il senso di essere se stessi, una volta riattivate quelle sensazioni che donano la percezione di sentirsi vivi.
Lo scopo è riscoprire il senso dell’umano disarticolando da se stessi le tracce inautentiche e disumane dettate dalle critiche, dai pregiudizi, dalle etichette, dalle convinzioni errate circa se stessi e le proprie capacità.
Si tratta di dar voce al corpo, attraverso una “meditazione delle viscere” lontana anni luce dalle prassi della recitazione dei mantra o dallo sforzo della modificazione dei pensieri ritenuti disfunzionali.
Qui si tratta di attivare il sentire per discernere ciò che avvertiamo come nostro e quindi originario del proprio processo formativo e ciò che invece sentiamo come estraneo, frutto di altro, di non costitutivo del proprio divenire.
E’ legittimando il senso di autenticità percepita che iniziano ad emergere emozioni come la rabbia, non più sfogata irragionevolmente all’esterno ma direzionata verso quelle parti che non ci appartengono e che sono frutto del giudizio altrui, di critiche e di inganni.
Il training consente di andare ad eliminare le scorie dell’inautenticità attraverso la forza propulsiva delle emozioni che vanno a dare vita al gesto. Il training aiuta non solo a riequilibrare i toni e i volumi emozionali ma anche a canalizzarle in maniera costruttiva, destrutturando tutte le forme della deformazioni inautentiche.
La rabbia allora non sarà più autocorrosiva ma sarà canalizzata verso la propulsione trasformativa del proprio divenire assertivi e resilienti, in grado di farci assorbire gli urti della vita e scorgere le risorse nei momenti difficili.
Le fasi del riequilibrio emozionale
La paura, fedele compagna, non sarà più un ostacolo una volta regolata, ma diverrà un allarme importante ogni volta che i pericoli della de-formazione si fanno sentire.
La gioia avrà conseguentemente modo di esprimersi una volta liberi dai sequestri della rabbia e della paura e ci donerà il senso della nostra progressiva autoformazione che non potrà essere che il senso del piacere legato al sentirsi autenticamente se stessi.
La tristezza, emozione legata al senso della perdita sarà colei che consente di decostruire le forme ormai vecchie e logore, consentendo di interrogarci sul senso stesso della perdita in modo da consentire nuove ed inedite possibilità di ricostruzioni di se stessi.
Il dolore frutto della rottura, del senso dell’essere dilaniati ci riporta sempre sull’orlo dello smarrimento, rischiando di far perdere il senso del proprio essere. E ogni volta mette alla prova, per sentire quanto la resilienza della propria autenticità sia in grado di reggere e di non far smarrire la rotta.
Il training psicoenergetico ed il riequilibrio emozionale si svolge in una serie di fasi consecutive:
Essere qui ed ora
sentirsi attraverso la staticità nelle diverse posizioni in piedi, seduti e sdraiati, attraverso il contatto con le mani sulle varie parti del proprio corpo (sperimentarsi anche con il contatto di altri). Il respiro viene sperimentato sia come si manifesta naturalmente sia alterando il ritmo e l’intensità. Provare successivamente a descrivere su un taccuino le sensazioni.
Essere là ed allora
sperimentarsi in camminate diverse e a ritmi variabili incrociando gli sguardi degli altri. Il contatto visivo attiva molto a livello emotivo. E’ importante descriverlo.
Attivazione e scelta
scegliere all’interno del gruppo chi attiva in noi emozioni come rabbia, paura, tristezza, ecc. Iniziano i lavori a coppie per esprimere ciò che viene vissuto.
Attenuazione e normalizzazione
dopo l’espressione delle emozioni inizia la fase di esercizi corporei e di respirazione per riportare i toni emozionali ad un livello più basso.
Attivazione delle emozioni
Attivazione delle emozioni che non sono emerse attraverso gli esercizi di coppia mediante visualizzazioni e pratiche bioenergetiche specifiche.
Esercizi a coppie
Esercizi a coppie per l’espressione della propria assertività attraverso il gesto di spingere e tirare a sé. Sperimentare il cedere ed il sentimento della fiducia attraverso esercizi a coppie.
Canalizzazione delle emozioni
Canalizzazione delle emozioni esperite attraverso pratiche meditative attive (meditazione delle sfere di fuoco, dei 5 elementi, ecc.) e fantasie guidate (le forze della natura) in modo da riorganizzarle dentro se stessi.
Discussione di gruppo su quanto emerso
Lo scopo del training è in conclusione un modo per rinvenire la forma della propria autenticità non attraverso il pensiero o l’uso della parola ma mediante l’immagine, lo sguardo, il contatto, il gesto, il grido e tutto ciò che può in qualche modo, attivare le emozioni al fine di regolarne i toni e consentirne una salutare espressione.
A cura di Andrea Guerrini, psicologo e pedagogista
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Articolo interessante ma scritto usando una terminologia un po’ “difficile” per i non addetti.