Come capire se soffri di attacchi di rabbia

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Gli scatti d’ira improvvisi possono essere indice di un profondo malessere psicologico e andrebbero ben indagati. Gli attacchi di rabbia sono il sintomo principale di un disturbo comportamentale introdotto nell’ultima versione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM V), nella categoria dei «disturbi dirompenti del controllo degli impulsi».

Si tratta del cosiddetto «intermittent explosive disorder» (IED). Parliamo di un disturbo comportamentale in cui il soggetto sperimenta una tensione crescente che culmina con un vero e proprio attacco di rabbia, a seguito del quale torna la calma. L’evento rabbioso è quasi necessario a promuovere un successivo stato di quiete, talvolta seguito da un profondo stato di rimorso o preoccupazione.

Subito dopo lo scatto d’ira il soggetto si sente sollevato, quasi gratificato, tuttavia a questa fase può seguire un successivo stato di rimorso. In cosa consiste l’attacco di rabbia descritto nel DSM V? Urla, aggressioni verbali, atti violenti con danni a persone oppure oggetti. Non è raro che per scaricare la rabbia, il soggetto senta l’impulso incontrollabile di rompere qualcosa.

Queste espressioni estreme di rabbia, spesso incontrollabili, sono sproporzionate rispetto alla provocazione. L’evento rabbioso (aggressività verbale o fisica) è impulsivo e può manifestarsi in seguito a una provocazione reale o anche solo percepita.

Disturbi dirompenti del controllo degli impulsi

Non solo disturbi del controllo degli impulsi. Nella prima edizione del Manuale diagnostico e statistico (DSM-I), l’aggressività impulsiva veniva descritta come indicatore nel disturbo passivo-aggressivo di personalità (tipo aggressivo). Questo costrutto era caratterizzato da una reazione persistente alla frustrazioneiper-attività ed eccessiva reattività agli stimoli.

Oggi, gli attacchi di rabbia possono essere caratteristici di disturbi della personalità (come il disturbo borderline di personalità) e disturbi dell’umore (come il disturbo bipolare e la ciclotimia). Un’accurata diagnosi può essere eseguita solo da un professionista. A mero scopo descrittivo, riporterò qui alcuni dei criteri inclusi nel DSM V che fanno riferimento al disturbo esplosivo intermittente (IED).

  • Esplosioni di rabbia ricorrenti che dimostrano l’incapacità di controllare gli impulsi. Si fa riferimento ad aggressioni verbali, ricerca di litigi e aggressioni fisiche.
  • Il comportamento aggressivo è sproporzionato rispetto all’entità dei fattori di stress psicosociali.
  • L’esplosione di rabbia non ha uno scopo premeditato.

Il DSM V descrive due tipi di esplosioni aggressive (A1 e A2). Nel criterio A1, le esplosioni aggressive sono ad alta frequenza ma a bassa intensità. Ciò significa che gli episodi di aggressività, non sono distruttivi o lesivi (non causano danni) e che si verificano con una frequenza media di due volte a settimana.

Nel criterio A2, le esplosioni di rabbia sono più rare ma a carattere più distruttivo. Il criterio temporale imposto dal DSM V vede una frequenza media di tre scatti d’ira nell’arco di un anno. In termini pratici, questa classificazione riguarda gli individui che almeno per tre volte all’anno sperimentano un episodio di rabbia che conduce alla distruzione di oggetti o l’aggressione a persone o animali. Tale criterio prevede attacchi di rabbia di elevata intensità ma a bassa frequenza.

L’uso di sostanze stupefacenti e in modo particolare l’uso di alcol, è strettamente associato alla disinibizione e alle condotte violente. Tutti dovrebbero evitare l’abuso di sostanze, chi soffre o sospetta di soffrire di scatti d’ira dovrebbe starne ancora di più alla larga.

La prevalenza dell’IED sembrerebbe essere più alta negli uomini che nelle donne (Boyd et al, 2008).

Perché si verificano gli scatti d’ira?

Un attacco di rabbia incontrollato è sempre il frutto di molteplici fattori. Sul fronte neurocognitivo possiamo descrivere una scarsa attività della corteccia prefrontale. Detta in parole più semplici: chi agisce d’impulso e perde il controllo, è una persona che non è abituata a riflettere profondamente prima di agire perché si lascia sopraffare dal volume delle emozioni.

Il soggetto, non reggendo le tensioni crescenti (volume emotivo troppo elevato) vissute nel contesto situazionale, letteralmente esplode. La capacità di regolare il volume emotivo si può apprendere in qualsiasi momento della vita.

Si suppone che il sistema serotoninergico a livello prefrontale potrebbero rappresentare la via neurochimica che media l’aggressività (Steinert et al., 2013). Ma come abbiamo visto nel nostro articolo su come migliorare la produzione di serotonina, i livelli di serotonina possono essere modulati dalle stesse esperienze sociali, cioè dal modo in cui noi viviamo le avversità. Come è intuibile, vi è una circolarità (e un’influenza reciproca) tra il modo in cui funziona il nostro sistema nervoso e il modo in facciamo esperienze dell’ambiente che ci circonda.

Come sostiene il neuroscienziato Damasio, attività mentali e strutture cerebrali dovrebbero essere viste come un’unica unità. Ciò significa che non possiamo considerare i fattori neurocognitivi come unica causa di uno scatto d’ira.

Tra le altre cause predominanti vi è una scarsa «teoria della mente». La teoria della mente fa riferimento alla capacità di una persona di rappresentare la mente dell’altro con i suoi stati d’animo e le sue intenzionalità. Chi soffre di scatti d’ira, invece, interpreta in modo negativo le intenzioni dell’altro, sentendosi minacciato, va incontro a un’iper-attivazione (percepita come uno stato di tensione crescente) che sfocia con l’attacco di rabbia.

Lo scatto d’ira come misura di difesa estrema: «attacco perché non sopporto l’idea di essere ferito»

Altre cause degli scatti d’ira sono le circostante situazionali e i vissuti interiori del soggetto. Le circostanze situazionali sono fattori come frustrazioniminacce o provocazioni (reale o solo percepita dal soggetto).

La teoria della frustrazione-aggressività proposta da Miller et al. (1939) suggerisce che ogni evento esplosivo o violento sia il risultato di uno stato di forte frustrazione: la frustrazione conduce sempre all’aggressività. Le persone che tendono a sperimentare esplosioni di rabbia sono sostanzialmente persone intolleranti e sofferenti.

Nel 1917 Freud parlò di rabbia narcisistica per spiegare quegli atteggiamenti di natura aggressiva. Successivamente, Kohult (1971), iniziò a parlare di ferita narcisistica teorizzando che le reazioni aggressive fossero il frutto di un dolore nascosto.

In altri termini: la minaccia all’autostima e al senso del sé, può innescare risposte violente nelle persone particolarmente sensibili. Evidenziare una minaccia all’autostima o all’identità non è semplice.

Come uscirne?

Un percorso psicoterapeutico è fortemente consigliato per imparare a controllare gli attacchi di rabbia. Vediamo alcuni fattori su cui bisognerebbe lavorare.

Chi sperimenta esplosioni di rabbia lo fa perché si sente sopraffatto da uno stato angoscioso che non trova altre vie di manifestazioni se non quella di rabbia. Le minacce e le provocazioni possono riguardare anche domini salienti per il soggetto iracondo. Per esempio, un semplice disaccordo può diventare una minaccia alla propria identità. Ricordiamo che l’aggressività in risposta a una minaccia è biologicamente programmata (Lorenz, 1963).

Allora cosa fare? Chi intende imparare a gestire la rabbia ha un lungo cammino introspettivo da compiere. Da un lato dovrebbe imparare a riflettere di più sui suoi stati emotivi e dall’altro capire l’entità delle minacce percepite.

Secondo diversi teorici la rabbia è una risposta istintiva quando percepiamo di essere stati danneggiati. Come premesso, chi soffre di scatti di rabbia spesso risponde in modo sproporzionato all’offesa subita.

La situazione che vive il soggetto al momento dell’esplosione di rabbia non rappresenta il danno in sé ma va a rievocare un torto subito. Comprendere le radici di quel torto potrebbe essere un primo fondamentale passo. Tale lavoro di introspezione consentirà al soggetto di discriminare uno stimolo realmente minaccioso da uno stimolo neutrale. Lettura consigliata: rabbia cronica, dove e quando è nata.

In contemporanea a questo lavoro di introspezione, il soggetto dovrebbe imparare a regolare il volume delle proprie emozioni e aumentare la finestra di tolleranza, cioè una sorta di soglia di suscettibilità/sensibilità.

Un aspetto correlato alla rabbia sono gli stati d’ansia. Se il soggetto soffre di forme d’ansia (es. paura dell’abbandono, ansia generalizzata, paura della solitudine), sarebbe opportuno anche lavorare su questi aspetti che sono fortemente correlati con le rievocazioni citate in precedenza.

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