La speranza è un lusso che alcune persone non riescono proprio a concedersi. La totale assenza di speranza caratterizza qualsiasi forma depressiva. Discostandoci -ma non troppo- da quelli che sono i criteri diagnostici del DSM V, oggi parliamo di una modalità depressiva molto più subdola perché all’apparenza è invisibile. Parliamo delle persone senza speranza che, pur non manifestano i classici «sintomi da manuale», hanno interiorizzato a pieno alcune delle caratteristiche salienti della depressione e vivono con una costante tristezza di sottofondo.
La depressione interiorizzata
Il cosiddetto «umore vuoto», un umore cupo e irritabile, l’assenza di speranza e l’idea di sottofondo che d’altronde, nulla può essere davvero risolutivo nella vita, accompagnano molte persone che non possono essere definite clinicamente depresse; spesso, queste stesse persone, funzionano bene sul lavoro, tendono alla produttività e tentano di riempire la propria vita con “qualcosa” anche se, al contempo, qualsiasi cosa può non essere abbastanza significativa.
La depressione interiorizzata non è un “disturbo da manuale” ma un malessere esistenziale che pone in evidenza i limiti della diagnosi categoriale del DSM, alcuni autori hanno descritto una «depressione esistenziale e affettiva», altri sono convinti della necessità di un manuale specifico per i disturbi depressivi. Il DSM V, con il suo sistema diagnostico dimensionale (e non categoriale!) ha tentato di superare questi limiti, tuttavia, i clinici italiani sono ancora reticenti alla diagnosi dimensionale, eppure questo approccio potrebbe essere più rassicurante per il paziente e più efficace nella comunicazione tra clinici.
La diagnosi dimensionale, messa a disposizione dal DSM V, consente la descrizione di un disturbo non mediante l’impiego di un «etichetta diagnostica» ma mediante l’individuazione di malfunzionamenti affettivi, emotivi, cognitivi… causati dal disagio. Per approfondire il tema della diagnosi dimensionale, suggeriamo la lettura dell’articolo: «le diagnosi senza etichetta: la valutazione dimensionale». La diagnosi dimensionale, in chi soffre di depressione interiorizzata, vedrebbe una compromissione entro diversi domini, compreso quello identitario.
La depressione interiorizzata può essere indotta da eventi di vita negativi o cronicamente stressanti. Si tratta di accadimenti che possono presentarsi lungo tutto l’arco della vita ma che divengono statisticamente più significativi quando si verificano in età precoce. Le esperienze negative precoci, infatti, possono causare difficoltà di adattamento e successivi malesseri mentali. Tra le esperienze precoci più significative che possono indurre uno stato di depressione interiorizzata e sfiducia generalizzata, troviamo:
- Abuso emotivo
- Esperienze di abuso fisico
- Maltrattamenti fisici
- Trascuratezza emotiva
- Modelli genitoriali disfunzionali
- Essere figli di un caregiver depresso, ansioso, narcisista…
- Qualsiasi esperienza in cui la fiducia dell’individuo è stata tradita in modo irreparabile
All’interno del sistema di attaccamento (legame tra genitore-figlio), il bambino inizia a farsi un’idea di sé e del mondo. Quando il legame è “sicuro”, il bambino sviluppa un’idea di sé come meritevole d’amore e un’idea dell’altro come degno di fiducia e degno di amore. Esperienze precoci di abuso, modelli genitoriali disfunzionali e trascuratezza emotiva, non consentono al bambino di fare esperienza di un “sé come meritevole d’amore”, ne’ tantomeno di sviluppare una sana fiducia epistemica primaria.
La fiducia epistemica primaria è definita come «l’atteggiamento per il quale il bambino assume un orientamento pedagogico verso la comunicazione ostensiva dell’altro, trattandolo come il depositario di una conoscenza culturale rilevante». In altre parole, il bambino impara quale, tra le diverse figure adulte di riferimento, sia più affidabile nel fornire indicazioni sul mondo, sulla vita e anche su se stesso. Se il bambino fa esperienza dell’altro come spaventante (un genitore particolarmente severo, ambivalente, ansioso o anche depresso), non riuscirà a sviluppare la capacità di vedere nell’altro una preziosa risorsa. Svilupperà, invece, una sorta di rassegnazione emotiva che potrebbe sfociare in quell’umore vuoto di cui abbiamo parlato in premessa.
Grazie alla fiducia epistemica primaria impariamo a sviluppare speranza e resilienza. La fiducia epistemica primaria, infatti, presuppone la disponibilità a dipendere da un’altra persona, a rendersi vulnerabile, a fidarsi dell’altro.
Le persone senza speranza
Le persone che hanno interiorizzato la depressione, partono dal preconcetto che tutto è inutile. Il quadro diviene ancora più complesso quando queste stesse persone si propongono scopi e valori difficili da raggiungere e così si auto-convincono di star vivendo un’esistenza poco significativa. In taluni casi, le persone possono estendere il malessere all’intera umanità che viene vista in termini estremamente negativi.
Per le persone senza speranza, l’amore è destinato a finire, è la fine l’unica certezza della vita e soprattutto nessuno può davvero aiutarle. Se c’è chi aspetta di essere salvato, la persona senza speranza sa che non può essere salvato, sa che nessuno potrà mai aiutarlo…. certo, non avendo mai fatto esperienza dell’altro come emotivamente disponibile ed efficace, cova la radicata credenza (sbagliata) che gli altri sono inutili.
La teoria dell’impotenza appresa
Negli anni Settata, Martin Seligman sviluppò la teoria dell’impotenza appresa osservando il comportamento di alcuni animali che vivevano dapprima in condizione di reale impotenza. L’autore osservò che quando gli animali vivevano in situazioni in cui non potevano controllare gli stimoli negativi, sviluppavano un comportamento ascrivibile a quello depressivo.
Negli esperimenti di M. Seligman, un gruppo di cani veniva posto in una gabbia progettata in modo che l’animale poteva evitare le scariche elettriche intermittenti saltando da un lato della gabbia privo di scariche elettriche. Altre gabbia erano progettate per impedire all’animale di saltare, l’animale, dunque, era costretto a subire la scarica elettrica.
I cani che, per un periodo, erano impossibilitati a fuggire, assumevano un comportamento passivo e così subivano le scariche elettriche anche quando avevano la possibilità di agire ed evitare lo stimolo. Questi cani, avevano appreso l’impotenza. Avevano elaborato che qualsiasi cosa facessero, il male era inevitabile… Ma questo era vero solo nella prima parte dell’esperimento! I cani continuavano a subire lo stimolo doloroso anche quando erano “liberi” di sottrarsi alle scariche.
I sintomi di inaiutabilità e passività di fronte agli eventi sono evidenti nelle persone che hanno interiorizzato la depressione. Proprio come i cani di Seligman, queste persone hanno imparato che il loro posto nel mondo è ricco di sofferenza e che i malesseri sono inevitabili.
L’idea centrale derivata dalla Teoria dell’impotenza appresa di Seligman è che gli individui depressi hanno la credenza di essere impotenti nel controllare gli eventi negativi e che tale convinzione possa derivare, in qualche modo, da eventi passati.
Le presone senza speranza, si muovono nella vita cercando conferme della loro idea iniziale, così accumulano relazioni sbagliate, amplificano fallimenti, e continuano a vivere situazioni negative anche quando queste sarebbero evitabili.
La credenza di base e la giusta vicinanza nei legami
Le esperienze precoci possono instillare in noi molte credenze. Un’esperienza precoce di umiliazione e svilimento, può innescare nel bambino l’idea di un Sé non degno di amore, un Sé non degno di stare al mondo a meno che non sia in grado di soddisfare elevati e improbabili standard. Al contempo, le stesse esperienze precoci di abuso con tutte le variabili del caso (un caregiver sadico, spaventante, ansioso…) possono instillare l’idea radicata che gli altri sono destinati a deluderci.
E’ chiaro che chi ha interiorizzato un pensiero depressivo di sottofondo, non vede nell’altro una risorsa sociale, un supporto emotivo così come dovrebbe essere… ma vede qualcuno di molto distante da sé o addirittura un pericolo. Queste stesse persone, infatti, possono presentare compromissioni dell’affettività con una difficoltà nell’instaurare la gusta vicinanza nei legami.
Le “persone senza speranza”, infatti, nelle loro relazioni interpersonali, finiscono per fondersi con l’altro nel tentativo di trovare un proprio significato/valore o mantengono abissali distanze nel tentativo di proteggersi dalla sofferenza. Talvolta, entrambi i modelli si verificano simultaneamente tanto che la persona si sentirà disorientata da se stessa e dai suoi sentimenti. Per approfondire i temi trattati, consigliamo la lettura degli articoli: «Le parti ferite del sé» e della «Teoria dei MOI di Bowlby».
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