Da quanto tempo non ti fai abbracciare? Il distanziamento sociale ha creato molti effetti collaterali, uno di questi è la fobia di essere toccati, che nei casi più gravi segnala un disagio profondo. Le spiegazioni della psicologa e cinque consigli per superare l’isolamento.
Abbracci, carezze, strette di mano. Quelli che prima erano gesti di affetto e di amicizia o di semplice contatto umano comuni e all’ordine del giorno sono stati banditi per tutti questi mesi dalle nostre interazioni, perché da più di un anno la crisi sanitaria ci impone barriere e allontanamenti sociali. E questa assenza tattile ha creato in alcune persone una nuova paura: quella di essere toccati da altri. Un’ansia che ha un nome: aptofobia o afefobia. Proprio come è successo a Stella, 43 anni di Lucca.
“Ero una donna estroversa, che amava coccolare fisicamente chi amo, con calorosi abbracci e carezze. Parlo al passato perché ora non sono più così. Questa pandemia ha innescato in me il terrore di essere toccata. Non solo dagli estranei, ma anche dai miei affetti. E ora che la vita sociale sta riprendendo piede io mi sento un pesce fuori d’acqua. Vorrei ritrovare lo slancio che avevo prima, ma mi sento bloccata e pure lo sfiorarsi delle mani in modo casuale mi manda in panico. Così spesso rifiuto anche un semplice caffè all’aperto per evitare di ritrovarmi in situazioni che mi creano profondo malessere e imbarazzo. Sto facendo così anche con Giorgio, che ho conosciuto online e con cui parlo da mesi su WhatsApp. Ci piacciamo parecchio e lui insiste per vederci finalmente dal vivo. Fino ad ora ho inventato mille scuse e non so più come rimandare questo incontro. Ho anche pensato di dirgli come mi sento, ma temo che mi prenda per pazza e che scappi via da me. Non voglio perderlo e vorrei ritrovare il piacere di abbandonarmi nel suo abbraccio senza provare questa paura che non so controllare”.
Per capire meglio questo disturbo d’ansia e quanto il coronavirus l’abbia accentuato ne abbiamo parlato con Maria Claudia Biscione, psicoterapeuta e sessuologa, che ci ha spiegato anche come riabituarci al contatto fisico, agli incontri sociali e ai primi appuntamenti, provando a gestire e a uscire da questa fobia che riguarda il tatto, un senso primario per conoscerci.
Partiamo dalla definizione: cos’è l’aptofobia o afefobia?
“E’ una fobia che comporta grande disagio, a volte repulsione, verso il dare o ricevere un contatto fisico. Questo disturbo è dato da un’ipersensibilità del soggetto che vede nel contatto un’intollerabile invasione della propria o altrui zona intima. Chi ne soffre fugge da qualsiasi manifestazione emotiva, baci, effusioni, abbracci etc. È una condizione clinica che, pertanto, nei casi più gravi, può compromettere la qualità della vita, anche perché l’ansia suscitata da un abbraccio o da una stretta di mano può essere tale da scatenare un attacco di panico e, per impedire che accada, l’unica soluzione è evitare il contatto. Questo timore irrazionale e incontrollabile di essere toccati dagli altri, di solito si manifesta nel rifiuto di andare in luoghi affollati, portando l’afefobico a un’esistenza fatta spesso di solitudine”.
Quali sono i sintomi più comuni?
“Sicuramente si riscontra in chi soffre di questa fobia, un meccanismo depressivo e ansioso. L’angoscia del contatto visto come invasione crea meccanismi di evitamento, paura incondizionata, ritiro sociale e, nei casi più gravi, un totale isolamento. Inoltre, questa la fobia, come altre, può non manifestarsi in modo continuativo, ma può aumentare nei momenti di maggior disagio o fragilità divenendo espressione di tutte le ansie emotive di chi ne soffre. Ricordiamo che di base queste persone evitano la vicinanza e l’invadenza emotiva. Come se la pelle fosse una barriera che non dovrebbe essere superata in nessuna circostanza. È anche per questo che l’aptofobico fugge dal contatto umano, perché la sua vera paura è soprattutto l’intenzione e il significato dietro il tatto”.
Normalmente quali sono le cause di questa fobia?
“Spesso, alle origini di questo disturbo, possono esserci forme di attaccamento inadeguate con le figure di riferimento primarie. Oppure veri e propri traumi come gravi trascuratezze, abusi e violenze. Ma anche involontarie deprivazioni affettive durante l’infanzia. Un’esperienza affettivamente inadeguata costruisce nel soggetto delle convinzioni negative su di sé in cui il contatto assume una connotazione di pericolo, di minaccia emotiva ma, anche, a volte, può indurre la persona a sentirsi sbagliata, sporca e non meritevole di quella vicinanza che, di fatto, non ha mai potuto sperimentare o, di contro, ha provato in modi altamente disfunzionali.”
Abbracci, carezze, strette di mano. Quelli che prima erano gesti di affetto e di amicizia o di semplice contatto umano comuni e all’ordine del giorno sono stati banditi per tutti questi mesi dalle nostre interazioni, perché da più di un anno la crisi sanitaria ci impone barriere e allontanamenti sociali. E questa assenza tattile ha creato in alcune persone una nuova paura: quella di essere toccati da altri. Un’ansia che ha un nome: aptofobia o afefobia. Proprio come è successo a Stella, 43 anni di Lucca.
“Ero una donna estroversa, che amava coccolare fisicamente chi amo, con calorosi abbracci e carezze. Parlo al passato perché ora non sono più così. Questa pandemia ha innescato in me il terrore di essere toccata. Non solo dagli estranei, ma anche dai miei affetti. E ora che la vita sociale sta riprendendo piede io mi sento un pesce fuori d’acqua. Vorrei ritrovare lo slancio che avevo prima, ma mi sento bloccata e pure lo sfiorarsi delle mani in modo casuale mi manda in panico. Così spesso rifiuto anche un semplice caffè all’aperto per evitare di ritrovarmi in situazioni che mi creano profondo malessere e imbarazzo. Sto facendo così anche con Giorgio, che ho conosciuto online e con cui parlo da mesi su WhatsApp. Ci piacciamo parecchio e lui insiste per vederci finalmente dal vivo. Fino ad ora ho inventato mille scuse e non so più come rimandare questo incontro. Ho anche pensato di dirgli come mi sento, ma temo che mi prenda per pazza e che scappi via da me. Non voglio perderlo e vorrei ritrovare il piacere di abbandonarmi nel suo abbraccio senza provare questa paura che non so controllare”.
Per capire meglio questo disturbo d’ansia e quanto il coronavirus l’abbia accentuato ne abbiamo parlato con Maria Claudia Biscione, psicoterapeuta e sessuologa, che ci ha spiegato anche come riabituarci al contatto fisico, agli incontri sociali e ai primi appuntamenti, provando a gestire e a uscire da questa fobia che riguarda il tatto, un senso primario per conoscerci.
Partiamo dalla definizione: cos’è l’aptofobia o afefobia?
“E’ una fobia che comporta grande disagio, a volte repulsione, verso il dare o ricevere un contatto fisico. Questo disturbo è dato da un’ipersensibilità del soggetto che vede nel contatto un’intollerabile invasione della propria o altrui zona intima. Chi ne soffre fugge da qualsiasi manifestazione emotiva, baci, effusioni, abbracci etc. È una condizione clinica che, pertanto, nei casi più gravi, può compromettere la qualità della vita, anche perché l’ansia suscitata da un abbraccio o da una stretta di mano può essere tale da scatenare un attacco di panico e, per impedire che accada, l’unica soluzione è evitare il contatto. Questo timore irrazionale e incontrollabile di essere toccati dagli altri, di solito si manifesta nel rifiuto di andare in luoghi affollati, portando l’afefobico a un’esistenza fatta spesso di solitudine”.
Quali sono i sintomi più comuni?
“Sicuramente si riscontra in chi soffre di questa fobia, un meccanismo depressivo e ansioso. L’angoscia del contatto visto come invasione crea meccanismi di evitamento, paura incondizionata, ritiro sociale e, nei casi più gravi, un totale isolamento. Inoltre, questa la fobia, come altre, può non manifestarsi in modo continuativo, ma può aumentare nei momenti di maggior disagio o fragilità divenendo espressione di tutte le ansie emotive di chi ne soffre. Ricordiamo che di base queste persone evitano la vicinanza e l’invadenza emotiva. Come se la pelle fosse una barriera che non dovrebbe essere superata in nessuna circostanza. È anche per questo che l’aptofobico fugge dal contatto umano, perché la sua vera paura è soprattutto l’intenzione e il significato dietro il tatto”.
Normalmente quali sono le cause di questa fobia?
“Spesso, alle origini di questo disturbo, possono esserci forme di attaccamento inadeguate con le figure di riferimento primarie. Oppure veri e propri traumi come gravi trascuratezze, abusi e violenze. Ma anche involontarie deprivazioni affettive durante l’infanzia. Un’esperienza affettivamente inadeguata costruisce nel soggetto delle convinzioni negative su di sé in cui il contatto assume una connotazione di pericolo, di minaccia emotiva ma, anche, a volte, può indurre la persona a sentirsi sbagliata, sporca e non meritevole di quella vicinanza che, di fatto, non ha mai potuto sperimentare o, di contro, ha provato in modi altamente disfunzionali.”
In che modo il covid, che ci ha privato di contatti e tenerezza, può aver fatto sviluppare questo disturbo in persone che fino ad allora non ne soffrivano?
“Sicuramente con la pandemia e il distanziamento sociale imposto, la paura di toccare o essere toccati, è aumentata fortemente creando non pochi squilibri emotivi un po’ in tutti. Dobbiamo, però, distinguere tra chi soffre di questo disturbo da tempo e chi ha sviluppato o aumentato, invece, degli stati d’ansia post covid. Nel primo caso, per certi versi, l’emergenza sanitaria con le sue regole di distanziamento, divieti e chiusure, ha avuto dei vantaggi perché ha prodotto molte meno situazioni fobiche. Nel secondo caso, mi preoccuperei di meno perché la paura del contatto è una reazione legata ad un dato oggettivo, il virus appunto, e a soluzioni di prevenzione che ci sono state super raccomandate e imposte. Penso che la paura di essere in contatto con gli altri se ne andrà con il virus mano mano che si tornerà a condizioni di normalità. Mentre per gli aptofobici puri, la paura essendo per lo più immaginaria e irrazionale, non passerà. Non esistono mascherine o gel igienizzanti che proteggono dall’angoscia del contatto, esiste solo l’evitamento. Perché il mostro da combattere è, di fatto, una paura interna, un buco nero personale e non collettivo, con cui bisogna fare i conti”.
5 nsigli per gestire e uscire dalla fobia e dalla paura del contatto fisico
Riprendere il controllo. Per mesi tutti siamo stati impotenti di fronte a quanto accaduto, ora per quanto non siamo ancora fuori dal tunnel, abbiamo, però, il potere di compiere azioni (vaccino, tamponi, etc) che ci fanno sentire più al sicuro e in grado di governare la paura. Fare tutto quello che si deve e si può, significa sentirsi più a proprio agio anche nella vicinanza con gli altri e, quindi, più al sicuro. Avvicinarsi con calma. Iniziamo dal salutarsi con i gomiti e poi dalla stretta di mano fino ad abbracci baci etc., riprendiamo confidenza con i gesti fino a ieri naturali, in cui il contatto era uno strumento assoluto di conoscenza, lasciamo che il corpo ritrovi il suo ruolo e il suo spazio nel mondo, questo aiuterà a rieducare mente e corpo alla vicinanza.
Invertire i fattori. Proviamo a partire prima da una vicinanza emotiva e solo dopo accedere a quella fisica. Conoscersi, comunicare ad un livello più profondo, servirà ad aumentare la fiducia, l’intimità e il desiderio di portare questo contatto emotivo ad un livello fisico.
Riattivare i sogni. Per troppi mesi abbiamo dovuto censurare passioni e desideri perché impossibilitati a muoverci. Riprendere a progettare significa risintonizzarsi con i propri bisogni e il corpo è un’espressione della nostra emotività. Più saremo in contatto con i nostri desideri più sarà naturale cercare il contatto fisico con gli altri.
Indagare la paura. Le persone più fobiche è necessario che si chiedano cosa le spaventa maggiormente della vicinanza fisica e, quindi, emotiva con l’altro, al di là del virus. È facile che scopriranno che questa fobia ha radici lontane che bisogna affrontare se si vuole davvero reciderle.
Fonte: La Repubblica
Ciao Elisabetta, in realtà è un problema solo se tu lo vivi come tale. Se per te non è un problema e non lo è neanche per chi vive a stretto contatto con te, allora la questione non si pone. L’articolo è uno spunto di riflessione e non parla di “problemi o disturbi”.
Francamente non capisco perchè se a una persona il contatto fisico dà fastidio debba ricercarsi la causa del problema. E’ un problema? Secondo me no, a meno che non sia un rifiuto davvero verso tutti. Nel mio caso ci sono pochissime persone con cui mi fa piacere avere contatto fisico e soprattutto ne riservo tantissimo a mio figlio che è una bambino piccolo. Se non mi piace che la gente mi abbracci, mi stia super vicino quando parla o mi tocchi dove sarebbe il problema?
mi sono fidanzato con una ragazza che ha questo problema ma lei se vuole mi abbraccia ho mi bacia diciamo che se lo fanno altre persone gli viene ansia come posso aiutarla senza aver bisogno di uno psicologo??.