Come potresti amarmi se mi conoscessi davvero?

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor


Hai mai pensato: “se le persone sapessero davvero chi sono, non mi apprezzerebbero?“. Questa è la domanda cardine della mancata accettazione di sé e dell’autosvalutazione. Anzi, se ti è capitato di pensare “Come potrebbero accettarmi se mi conoscessero davvero?” probabilmente ti vergogni di te stesso. Se non riconosci la vergogna come una tua emozione auto-valutativa, ti consiglio di leggere il paragrafo dedicato agli effetti della “vergogna inconsapevole“.

Mancata accettazione di sé

Chi non si accetta fa grandi sforzi per piacere agli altri, innalza muri, indossa maschere e, soprattutto, crede di essere indegno di amore. Il confine tra la mancata accettazione e la vergogna di sé è sfumato.

Vergognarsi di sé significa vedersi e sentirsi come indegni e inadeguati. Nel Disturbo Borderline di Personalità, la vergogna si riflette come la sensazione di essere profondamente sbagliati; in questo disturbo, la vergogna diviene una configurazione esistenziale.

La vergogna di sé solo difficilmente potrà condurre a una relazione d’amore appagante. Vergogna e unione intima non possono coesistere: le relazioni emotive intime sono basate sulla profonda condivisione, sulla fiducia e accettazione di sé e dell’altro.

Che cos’è la vergogna?

La vergogna è un’emozione che accompagna l’auto-valutazione di un fallimento globale; da una parte è un’emozione negativa che coinvolge l’intero individuo rispetto alla propria inadeguatezza, dall’altra è il rendersi conto di aver fatto qualcosa per cui possiamo essere considerati dagli altri in maniera totalmente opposta rispetto a quello che avremmo desiderato.

La vergogna può anche essere descritta come una spiacevole emozione che implica una valutazione negativa del sé. Avere vergogna si traduce nel negare i propri bisogni in un tentativo disperato di soddisfare le aspettative altrui o degli standard elevati e auto-prescritti.

La vergogna è spesso correlata con il senso di colpa ma le due sensazioni non vanno assolutamente sovrapposte. Gli autori Fossum e Mason dicono nel loro libro Facing Shame che “Mentre il senso di colpa è un doloroso sentimento di rimpianto e responsabilità per le proprie azioni, la vergogna è un sentimento doloroso di se stessi come persona.

Le false credenze della vergogna

Tutti abbiamo sperimentato vergogna nella vita: siamo stati derisi da un amico di scuola, durante un esame abbiamo sbagliato la pronuncia di una parola comune… oppure ci siamo vergognati di come possiamo apparire in costume da bagno. Entro certi limiti, la vergogna è un’emozione spiacevole che rientra nella norma.

Superati quei “certi limiti”, la vergogna diventa invalidante. La vergogna ti dice che le persone che ti circondano non potranno mai conoscerti nel profondo, perché se qualcuno dovesse conoscerti davvero, ti rifiuterebbe.

La vergogna ti mette sulla strada dell’isolamento, ti può allontanare dagli altri e soprattutto ti allontana dal tuo vero io. Ti fa isolare e poi ti fa credere che sei più sicuro lì, da solo, lontano da tutti… ti fa sentire solo ma, in qualche misura, protetto. Protetto dalla paura del rifiuto, dalla paura di essere scoperto come “indegno”, “inadeguato”.

Secondo lo psicoanalista Erik Erikson, viviamo alla ricerca di una identità autentica e in linea con i nostri bisogni e, in questo percorso, affrontiamo otto stadi di sviluppo. In ogni stadio siamo chiamati (dall’ambiente esterno, cioè dai genitori/società) a risolvere un conflitto. Durante il secondo stadio di sviluppo (tra 2 e i 3 anni) il conflitto risolto ci porta alla conquista dell’autonomia. In caso di esito negativo, il conflitto ci conduce verso la vergogna.

Mentre l’esperienza dell’autonomia fa emergere la volontà, la vergogna fa emergere il timore di essere percepiti dagli altri come inadeguati, la paura di non sapersi controllare o di essere eccessivamente controllati dagli altri.

Secondo Erik Erikson, genitori rigidi e controllanti, non darebbero modo al bambino di sperimentare la giusta autonomia. Ciò può accadere anche con genitori eccessivamente preoccupati: tra i 2 e i 3 anni lo sviluppo muscolare ci consente di camminare, acquistiamo la capacità di parlare e il controllo degli sfinteri (abbandoniamo definitivamente il pannolino). E’ in questa età che sperimentiamo, per la prima volta, l’autonomia.

Genitori supportivi consentono al bambino di esplorare il mondo e di sbagliare e, al contempo, gli fanno apprendere determinate norme sociali. Genitori apprensivi, opprimenti, rigidi o controllati, inibiscono l’autonomia e fomentano forti emozioni di vergogna.

Per approfondire: gli stadi di sviluppo di Erik Erikson

Essere severi con se stessi

Per provare vergogna la persona deve essere consapevole di aver trasgredito una norma sociale, un vincolo o uno standard normativo. Non è necessario che sia presente un pubblico per provare vergogna, ci basta immaginare il giudizio dell’altro o evocare l’immagine interiorizzata di un genitore severo e controllante.

In effetti la vergogna può essere spiegata come un apprendimento condizionato durante l’infanzia che continua a influenzarci in età adulta.

Se da piccoli abbiamo sistematicamente appreso a sperimentare vergogna per il nostro operato, questo sentimento ci accompagnerà lungo l’età adulta. La vergogna, in questi contesti, può quasi divenire un “tratto stabile” caratterizzante la nostra personalità.

Le donne sono più inclini a sperimentare vergogna (sia in termini di frequenza che di intensità). Di conseguenza, le donne sono più sensibili agli effetti negativi della vergogna, in particolare depressione e bassa autostima.

La vergogna nella psicopatologia

La vergogna è un sentimento molto comune in diverse psicopatologie. Il disturbo borderline di personalità è di certo l’esempio più emblematico. La vergogna può giocare un ruolo rilevante nel disturbo evitante di personalità, nella depressione (soprattutto nella depressione atipica), disturbi d’ansia, nel DOC, nel binge eating disorder, nella bulimia, nell’anoressia nervosa, nella fobia sociale, nel disturbo dipendente di personalità e finanche nel disturbo narcisistico di personalità.

È stato suggerito che il narcisismo possa essere correlato alle difese contro la vergogna e che la grandezza percepita di sé non sia altro che una forma di compensazione del mascherato sottofondo di vergogna. Secondo l’Autore Glen Gabbard, il disturbo narcisistico di personalità può essere classificato in due sottotipi, un sottotipo “inconsapevole” grandioso e arrogante, e un sottotipo “ipervigilante” facilmente feribile, ipersensibile, vergognoso.

Il sottotipo inconsapevole protegge la sua autostima cercando ammirazione, sperimentando invidia (o proiettandola negli altri) e percependo un sé grandioso. In antitesi con il narcisista inconsapevole vi è quello “ipervigile”, qui il sé interiorizzato è debole e caratterizzato da una forte vergogna di sé, in questo contesto il narcisista protegge la sua autostima nascondendosi e neutralizza gli eventuali rifiuti vedendo gli altri come abusanti e ingiusti.

Vergogna inconsapevole

Nel tentativo di sfuggire a dolorosi sentimenti di vergogna, molte persone tendono a proiettare responsabilità e rabbia sul prossimo, usandolo come comodo capro espiatorio. In questo modo, chi ha un’elevata vergogna di tratto può riacquistare un certo senso di controllo e sperimentare sensazioni di superiorità.

Se la vergogna rimane taciuta, la persona che “segretamente” la nutre può “sostituirla” con un altro stato emotivo, il più frequente è la rabbia. Se chi si vergogna di sé non è disposto a guardarsi dentro e riconoscere questo disagio, può iniziare a nutrire una rabbia cronica, può diventare intollerante con chiunque e soprattutto con i propri cari. La rabbia diviene uno stato emotivo comodo, più facile da far emergere rispetto alla dolorosa vergogna.

La “sostituzione emotiva” è, tuttavia, una forma di autoinganno: allevia il dolore e il disagio ma non risolve alcun problema, anzi, sposta l’attenzione. La persona, non concentrandosi sulla vergogna (che non riesce a esperire) si focalizza su altre emozioni perdendo l’opportunità di lavorare su di sé.

Come superare la vergogna di sé

Le persone con “alto tratto di vergogna” sono più vulnerabili alle dipendenze. Spesso l’abuso di sostanze serve a intorpidire i sentimenti dolorosi di vergogna e disperazione. Per “sostanze” non intendo necessariamente droghe, vi sono altri comportamenti che possono causare un transitorio stato dissociativo come le abbuffate del binge eating disorder, lo shopping compulsivo o il gioco d’azzardo.

Il modo più sano per superare la vergogna di sé consiste nell’indagare le origini di questa emozione per riconquistare l’autonomia perduta (a causa di un evento traumatico come un abuso) o negata durante l’infanzia.

La vergogna può dissiparsi gradualmente anche lavorando in modo diretto sulla propria autostima e sul valore personale.

Il concetto di autonomia va conquistato a 360°. Grazie all’autonomia, infatti, si evita di scaricare sugli altri la colpa delle proprie frustrazioni. 

Quando l’ancestrale vergogna è legata a un evento particolare, il confronto con il prossimo (non giudicante e accogliente) può essere una buona soluzione per iniziare un percorso di accettazione.

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