Gli esseri umani comunicano principalmente attraverso la parola (parlata o scritta che sia), la gestualità e gli atteggiamenti. È possibile distinguere due tipi di linguaggio, il linguaggio verbale (la parola) e il linguaggio non verbale (gesti del corpo, espressioni facciali).
Comunichiamo attraverso tutto il corpo, tutti i sensi, olfatto, gusto, tatto, vista… ad esempio gli odori che emaniamo sono molto importanti. Nel linguaggio del corpo il buon odore è un segnale di benessere, infatti se siamo sani e eroticamente attraenti non abbiamo bisogno di particolari profumi, in realtà potremmo limitarci a semplice acqua e sapone perché la nostra pelle emana profumo di suo; se invece siamo fisicamente o emotivamente malati e tristi, se stiamo attraversando un periodo di depressione, al contrario l’odore del nostro corpo potrà essere sgradevole.
Proviamo ad “ascoltare” l’altro con i cinque sensi
Quando ascoltiamo qualcuno quindi non dobbiamo limitarci ad ascoltare quello che dice con la parola, ma dobbiamo guardare l’espressione dei suoi occhi, l’orientamento delle gambe, la bocca, i denti, la vicinanza fisica. Ciò richiede tempo, non poca fatica e anche un allenamento pratico all’osservazione dell’altro che solo chi è particolarmente empatico riesce a fare.
Come dice Paul Watzlawick, famoso psicologo austriaco, il primo assioma della comunicazione è “Non si può non comunicare”. Anche se decidessimo di stare zitti, di non scrivere nulla sui social o tramite sms, di non gesticolare, staremmo comunque comunicando un messaggio tramite la CNV ovvero la comunicazione non verbale. Ricordate: “Nessun messaggio, è un messaggio!” che può significare rifiuto, disinteresse, rabbia. Qualsiasi interazione umana è sempre una forma di comunicazione.
Il problema è che non siamo chiaroveggenti, non possiamo passare la vita a interpretare i messaggi dell’altro. Le parole sono importanti diceva l’attore Nanni Moretti e servono a chiarire al nostro interlocutore ciò che proviamo davvero, è una forma di rispetto, di gentilezza, di educazione, di affetto. Se amiamo qualcuno dobbiamo guardarlo in faccia e dirglielo: “Ti amo!”.
Se riteniamo qualcuno bello, dobbiamo guardarlo e dirgli “Ma quanto sei carino stasera?”, “Questo vestito ti sta proprio bene!” o ancora “Questa volta sei stata davvero brava, hai cucinato un ottimo pranzo!”. Vero sì che i fatti sono quelli che contano e le chiacchiere se le porta il vento, ma le parole hanno una loro funzione specifica, hanno il loro posto nel mondo, servono per esprimere al meglio ciò che abbiamo dentro. A differenza di altre lingue, l’italiano, peraltro, ha un vocabolario ampissimo, per cui abbiamo una vastissima scelta di termini che possiamo utilizzare per esprimere i nostri sentimenti.
Spesso siamo molto generosi nelle critiche e un po’ tirchi nelle lusinghe, non credete? Essere premiati, rinforzati, sin dalla tenera età, accresce il senso di autoefficacia di cui parla Bandura che la definisce: “L’insieme delle convinzioni circa le proprie capacità di organizzare ed eseguire le azioni necessarie per produrre determinati risultati”. Se qualcuno non ci dice che siamo bravi, il nostro senso di competenza sarà traballante. E certamente uno sguardo, un sorriso fanno trasparire ciò che pensiamo, ma le parole accrescono ciò che pensiamo, ne danno pianta stabile, inoltre ne concretizzano il ricordo.
Cos’hai? – Niente!
Molte donne ritengono che l’uomo debba interpretare quando qualcosa non va, il classico “– Cos’hai? – NIENTE!”, ma non funziona così, se non lo comunichiamo che stiamo male, molto probabilmente l’altro non lo capiranno mai, perché magari stanno proprio in un altro pianeta, magari hanno una vita lavorativa molto stressante o semplicemente hanno un punto di vista diverso dal nostro.
Spesso diamo per scontato che l’altro sia il nostro doppione e dimentichiamo che l’altro è altro da noi, diverso, con le sue caratteristiche, con un vissuto spesso totalmente differente dal nostro e che lo porta a un modus pensandi che si discosta nettamente dal nostro. Mentre noi siamo lì nell’attesa che l’altro capisca, stiamo solo perdendo tempo, quando basterebbe chiarire ed esprimere cosa c’è che non va e risparmiarsi un rammarico inutile.
Diamo troppo per scontato di essere limpidi, invece la comunicazione essendo fatta di una serie di interferenze esterne diventa spesso fallace. Si pensi all’attuale più diffusa applicazione informatica di messaggistica istantanea, WhatsApp, canale di comunicazione dove viene meno il contatto visivo e verbale e passa solo la forma scritta che diventa oggetto di molteplici fraintendimenti facendo scaturire conflitti che non sono mirati a risolversi, bensì diventano un botta e risposta, un campo da ping pong in cui passarsi la palla dell’offesa, vince chi insulta di più.
Tutti lo sanno, ma pochi lo fanno: bisogna sempre pensare prima di parlare!
Le parole vanno ben ponderate e centellinate, bisogna sempre pensare prima di parlare, perché quella parola che per noi può essere simpatica o leggera, per un altro non lo è. Non serve parlare troppo e riempire di complimenti falsi il partner, ci dev’essere corrispondenza, un filo conduttore tra il cuore, la mente e la parola, altrimenti diventa lampante l’incongruenza e facciamo più danni che benefici. Come diceva l’attore pugliese Lino Banfi “una parola è poca, due sono assai” a significare che tacere e tenere tutto dentro non porta ad alcun beneficio e non fa che allontanare il prossimo, parlare a sproposito diventa sfiancante e privo di significato.
E allora non rimanete imbambolati a veder le stelle, guardate il partner negli occhi e diteglielo che l’amate, perché rischiate che intanto arrivi qualcuno a dirlo prima di voi!
Autore: Miriam Cassandra, Psicoterapeuta cognitivo-interpersonale