L’enciclopedia Treccani informa che il termine collaborare etimologicamente viene dal latino tardo ed è composto dai termini «con» e «lavorare»: significa letteralmente lavorare insieme, partecipare attivamente congiuntamente con altri ad un’attività comune.
La casa, il luogo che abbiamo scelto ci rappresenti e che condividiamo, dev’essere curato come la nostra persona, dobbiamo renderlo accogliente e perlomeno vivibile. Se abbiamo scelto di condividere il nostro spazio fisico ed emotivo con un altro e non è poco, come avviene nella relazione, ognuno deve metterci un pezzo di sé, deve contribuire, a suo modo, alla sua crescita, alla sua costruzione, alla sua evoluzione.
Convivere significa condividere potere e responsabilità
Tenete ben a mente che collaborare è ben distante dal concetto di delegare! Delegare è molto meno faticoso a differenza di ciò che si è solito dire. Avere tutto il carico del lavoro addosso è sì impegnativo, ma ci dà il pieno controllo sulle attività da fare, senza il minimo confronto con una mente diversa, con un’opinione differente, con un modo di fare le cose lontano dal nostro.
Il controllo ci fa sentire vivi e ci dà la falsa sensazione che le cose vadano bene. “Chi fa da sé fa per tre” dice il proverbio. Far da sé permette di tenere le redini del lavoro da effettuare in casa, ciò permette di metterci in una posizione di supremazia e potere che ci autorizza a rimproverare il partner come fosse nostro figlio e che lo mette in una posizione subordinata, di pigrizia e di disinteresse per la casa, per la sua casa, intesa come habitat, come luogo che ci accoglie.
Accettare il diverso da sé
Pensateci meglio, in realtà è molto più semplice delegare e avere pieno controllo delle cose da fare senza avere qualcuno che ci critichi o che ci dica cosa fare o non fare. La gestione della casa è molto più facile da soli che non in due o più persone, farle in due significa mettersi a tavolino e dividersi i compiti in base alle proprie attitudini e preferenze o fare ciò che serve un’abilità importantissima: l’accettazione! Accettare il diverso da sé.
Se io, ad esempio, lavo con la scopa e la pezza, mentre il mio compagno col mocho, dovrò accettare che userà un modo differente dal mio per lavare a terra, l’importante è che il pavimento sia pulito, anche se non splendido splendente, l’essenziale è che non ci sia polvere e che sia vivibile.
Se il mio compagno fa la lavatrice mischiando tutti i capi colorati con i bianchi, gli dirò che non è il caso e lui dovrà essere pronto ad accogliere il mio consiglio, farlo proprio e non pensare che lo stia giudicando e rimproverando. Siamo sempre restii al cambiamento, seppur sappiamo che stiamo palesemente sbagliando.
Sento ancora oggi spesso dire dalle donne “Mio marito è bravo: fa la lavatrice!“ o “Mio marito va a fare la spesa” collabora. No, non è questo collaborare, non è dire “fai questo o fai quello”, assolutamente no. Il partner non deve eseguire i compiti per gentile concessione e grazia ricevuta, come se ci stesse facendo un favore, no, deve essere parte integrante del nostro ambiente e per esserlo dobbiamo condividere lo scettro del potere.
Condividere lo scettro del potere: la leadership condivisa
Sì, dobbiamo accettare gli errori, perché non siamo perfetti, molto probabilmente il nostro compagno saprà fare delle cose meglio di noi, ma se noi non glielo permettiamo o lo permettiamo alle nostre condizioni, lui o lei non lo farà con piacere o lo farà solo come atto dovuto.
Collaborare è dividere il carico, dividere il potere, accettare l’errore, sopportare che quella cornice è in un posto che non ci piace, accettare che il sale nella pasta lo si mette prima o dopo che sia. Mi viene in mente il “cooperative learning” un metodo didattico utilizzato a scuola in cui gli alunni lavorano insieme in piccoli gruppi per raggiungere obiettivi comuni, qui la leadership è condivisa.
Ecco, nella coppia la leadership dev’essere tale, condivisa, se faccio tutto io, è vero che alle dieci di sera sarò distrutta e vorrò già andare a dormire, ma il “capo” della coppia sono io, sono io che gestisco, sono io che comando. Ve lo ricordate l’angelo del focolare? Ecco, molte donne in questa maniera si sentono le custodi del loro nido d’amore, seppur anch’esse lavorano, magari lo stesso numero di ore del marito. Ci si lamenta spesso, ma si fa molto poco per cambiare registro.
Alla domanda “Tuo marito collabora in casa?” la risposta dovrebbe essere: “Noi collaboriamo, noi siamo una squadra, siamo complici, lui non è il mio vice, siamo a pari livello in una relazione democratica, in cui ognuno dà il meglio di sé e cerca di aiutare l’altro”.
Lo stereotipo della donna casalinga e dell’uomo che aggiusta le lampadine è oramai visceralmente insito in ognuno di noi e scrollarselo di dosso è davvero un’impresa ardua. Che dite, ce la possiamo fare a spogliarci di questo pregiudizio e ad avere un concetto di collaborazione pieno e veramente condiviso?
Autore: Miriam Cassandra, Psicoterapeuta cognitivo-interpersonale