La depressione sembra a molti una destinazione molto lontana e invece cascarci è un attimo. Quando si arriva al punto di non ritorno si inizia a credere che sia impossibile risalire, ogni attività che ci propongono o che ci proponiamo ha subito una scusa pronta per non essere svolta.
La questione è che finché si tocca il fondo, con coraggio e dedizione piano piano è possibile rimettersi in moto, ma una volta varcata la soglia del terreno delle nostre possibilità per risalire abbiamo bisogno di corde resistenti e adesso le nostre mani non sono più sufficienti ad uscire dal pozzo della depressione. Abbiamo bisogno di aiuto, di qualcuno che dall’alto con le redini dell’amore e dell’affetto ci tiri su.
Il problema è che se sono nel burrone e mi tirano la corda giù, ma non l’afferro, potranno arrivarmi una marea di soccorsi, ma finché qualcuno non mi prende in braccio io non risalirò. In fondo mi sono abituato al buio, ho i miei ritmi, le mie abitudini e la luce è troppo abbagliante, ritornare nella società richiede troppa fatica, mentre qui meravigliosamente non devo confrontarmi con nessuno e posso crogiolarmi nel dolore senza esser giudicato.
Rivolgersi ad un professionista in questi casi è fondamentale, la formazione nei disturbi dell’umore acquisita attraverso gli studi e l’esperienza permette a uno psicoterapeuta di trovare la chiave giusta per motivare colui che non riesce più a trovare un senso alla propria vita.
Il mal di vivere diventa una costante, una coccola incessante, il malessere è molto più caldo del benessere, ci avete mai pensato? Ci lamentiamo da mattina sino a sera e non facciamo nulla per effettuare un cambiamento, siamo lì nell’attesa che un lavoro, l’amore della nostra vita ci caschi magicamente dal cielo o meglio dal soffitto della nostra stanza buia.
Per essere felici ci vuole coraggio, impegno, tolleranza al fallimento
Per creare un miglioramento bisogna esporsi, uscire dal proprio guscio ed esser sicuri di esser inondati da una pioggia di critiche che non abbiamo alcuna voglia di ascoltare. La distorsione cognitiva caratterizza il modo di pensare dei soggetti depressi, si tratta di una modalità disfunzionale d’interpretare la realtà che va a mettere in evidenza le difficoltà e a sottovalutare i propri successi e le proprie capacità. Alcuni esempi tipici sono:
- “Voglio lavorare, ma non lavoro da anni, chi crederà in me?”
- “Voglio andare in palestra, ma la palestra è troppo lontana”
- “Voglio fare sport, ma non ho tempo”
- “Voglio uscire con gli amici, ma non ho i soldi per farlo”
- “Gli amici mi sfruttano solo per ciò che do, nessuno è interessato a ciò che sono”
La depressione, inoltre, non cammina da sola, va spesso a braccetto con l’ansia: l’ansia sociale di dover avere a che fare con la gente, di essere giudicati in maniera superficiale per quello che non si è. Ciò che rimbomba nella testa di questi individui è il pensiero che gli altri non possano capire come mi sento, perché “io sono l’unico ad aver vissuto questi traumi” (pensiero irrazionale di essere gli unici sfigati su questo pianeta), “se mi viene un attacco d’ansia che faccio? Gli altri mi giudicheranno male e non vorranno vedermi più o si faranno un’idea sbagliata di ciò che sono.”
La vita è rischiare!
Sì, potrà capitare che si avrà un attacco d’ansia, ma intanto si sarà usciti di casa e si sarà raggiunto il posto di lavoro, un grande traguardo per chi è depresso. Avrò visto il sole, mi sarò vestito, avrò messo una sveglia presto, avrò fatto colazione e se non sarò perfetto in quel momento fa niente, io ci avrò provato!
Questi soggetti hanno ambizioni spesso troppo alte rispetto a ciò che è realmente realizzabile, una tecnica infatti è stabilire degli obiettivi SMART, cioè semplici e facilmente raggiungibili. Il vissuto che portano con sé è quello in cui raramente si è riusciti a portare a termine un progetto, hanno poca fiducia nelle proprie potenzialità e si sono sempre sentiti un po’ meno rispetto agli altri (il proprio compagno di classe, il cugino, il fratello).
Probabilmente hanno vissuto in contesti in cui il confronto con l’altro era all’ordine del giorno e anche se si faceva un buon lavoro, non era mai abbastanza. Sono persone che nella vita non sono state abbastanza gratificate per quello che si è fatto. Vi siete mai sentiti dire “Hai fatto la metà del tuo dovere” o “Hai preso 8 a scuola? Ma i tuoi compagni che voto hanno preso? Perché non hai preso 9 come Carlo?” Queste frasi che un genitore alle volte dice per spronare il proprio figlio diventano invece delle ferite indelebili sulle quali si costruiscono stili di personalità depressivi in cui predomina un forte senso di inadeguatezza.
Ma c’è un modo semplice per uscirne? Cantavano i Verdena
Sì, si può uscire dalla depressione o perlomeno si può imparare a gestire le emozioni negative e a farle diventare una risorsa per costruire qualcosa di positivo. Ad esempio: “I miei genitori credono che sia un fallito”, il pensiero disfunzionale tipico di un soggetto depresso è: “Non combinerò mai niente, non so far nulla!”, può essere modificato in “Devo dimostrare in primis a me stesso e in seconda battuta a loro quanto valgo!”.
Il giudizio negativo che ha pervaso la nostra vita deve diventare un punto di partenza per la nostra rinascita, perché non dobbiamo permettere a nessuno di affossarci e la vita ricordate che è la nostra e siamo noi i primi ad essere pronti, come una fenice, a risorgere.
Articolo a cura di Miriam Cassandra, Psicoterapeuta cognitivo-interpersonale
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