Ci sono molti stili relazionali familiari, ce n’è uno migliore dell’altro? In realtà, se ben equilibrati sono tutti funzionali, una buona dose di carezze emotive e autorevolezza potrebbe essere la miscela giusta per un’educazione sana. Dal momento che la perfezione, però, non ci è stata concessa, è naturale che ognuno di noi tenda più da un lato o dall’altro. Ci sono famiglie in cui ci si abbraccia e bacia facilmente, altre in cui dire un “ti voglio bene” sembra essere quasi pericoloso per la propria incolumità fisica.
Quanto il modo in cui ci siamo sentiti amati influisce sul modo di educare il nostro futuro figlio? Quanto siamo disposti a tagliare la corda della trans-generazionalità, ovvero a non ripetere fedelmente il copione che abbiamo recitato per tutta una vita? Ci sono adulti che sono stati bambini felici e che ripropongono ciò che hanno vissuto come modello lindo e pinto, unico e solo plausibile.
Ma, cosa succede nel momento in cui ci innamoriamo di partner che hanno avuto uno stile relazionale differente dal nostro? Siamo disposti a mettere in discussione il nostro metodo educativo per uno differente, ma potenzialmente egualmente valido?
Il bello dell’amore è far sì che la propria diversità diventi una ricchezza; pertanto, uno stile educativo che abbracci entrambi i vissuti, seppur distanti, ma, in maniera sana, potrebbe rappresentare un modo per far crescere il proprio figlio nell’armonia e nella serenità. Quando abbiamo avuto troppo poco da piccoli, vorremmo non far vivere lo stesso disagio ai nostri figli, quindi per spirito di compensazione, diamo tutto l’affetto e l’amore che ci è mancato, pur di non far rivivere gli stessi traumi infantili che ci hanno accompagnato per tutta l’esistenza. Iniziamo a essere iperprotettivi, eccessivamente affettuosi e presenti in maniera esagerata nella vita di nostro figlio, perché solo così non
vivrà quello che ho vissuto io.
Coccole a volontà, festeggiamenti costanti, complimenti incessanti, regali, tentativo di esaudire ogni desiderio del piccolo diventa la priorità della nostra vita, spesso tralasciando e dimenticando gli altri aspetti che ci rappresentano (vita lavorativa, amicizie, intimità col partner). Si pensa che questo possa essere il modo migliore per farlo stare bene, pensiero comune soprattutto a chi è stato privato del minimo di accudimento fondamentale per passare dalla fase della dipendenza assoluta dalle cure genitoriali all’indipendenza.
Secondo lo psicanalista britannico Donald Winnicott, il bambino sviluppa dei propri modi per riuscire autonomamente a fare a meno delle cure concrete, attraverso i ricordi delle cure materne. L’indipendenza, però, non è mai assoluta, in quanto l’individuo sano non si isola totalmente dall’ambiente familiare, bensì interagisce con esso in modo interdipendente.
L’adulto, grazie all’esperienza e all’interazione con il mondo esterno, mantiene nel tempo un legame con la famiglia di riferimento, creandosi una propria individualità, costruendo, così, il suo “Sé centrale”. Nel momento in cui sovradosiamo l’affetto, invadendo la possibilità di sbagliare per imparare, non stiamo permettendo a nostro figlio di cadere per imparare a rialzarsi, stiamo rallentando il suo processo di indipendenza e costruzione di una sua personalità, sulla base delle sue caratteristiche e delle relazioni che egli sceglierà durante il suo percorso di vita.
Accontentare in tutto e per tutto nel contesto familiare, farà credere a nostro figlio che tutto gli è concesso anche fuori, andando, così, a invertire i ruoli. Nel momento, però, in cui si ritroverà a fare i conti con i leoni che ci sono nel mondo reale, probabilmente non sapranno come cavarsela, non avendo sviluppato le risorse necessarie per far fronte alle difficoltà, essendo stati sempre rimpiazzati nelle intemperie.
Chi prende decisioni in questo ménage non è più il genitore, bensì il bambino, un “bambino tiranno” che veicola tutti i movimenti familiari a suo piacimento. L’adulto diventa così vittima del suo stesso eccessivo amore, non riuscendo più a gestire la normale quotidianità.
E allora non siamo avidi di coccole che andranno poi ad aprire ferite emotive, ma altrettanto non dimentichiamoci mai di noi stessi e permettiamo a chi amiamo di crescere sbagliando sulla propria pelle. “Il fallimento è una laurea per reagire” – Afterhours
Articolo a cura di Miriam Cassandra, Psicoterapeuta cognitivo-interpersonale
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