Cosa succede alla psiche quando sperimentiamo nuovi luoghi

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Le nostre valigie erano di nuovo ammucchiate sul marciapiede; avevamo molta strada da fare. Ma non importava, la strada è la vita. (Jack Kerouac)

Il benessere psicofisico è dato, dopo il fondamentale appagamento dei bisogni primari, dalla possibilità di ampliare il proprio bagaglio affettivo e culturale ed uno degli strumenti fondamentali per star bene è aprirsi al mondo esterno, essere curiosi della diversità: di vedute, di vita, di cibo, di tutto ciò che ci circonda.

Rimanere lì, segregati nel proprio giardino fiorito, sempre con gli stessi identici fiori, che crescono sempre allo stesso medesimo modo ci fornisce un senso di tranquillità, serenità, pace, tepore interiore, ma non ci offre la possibilità di crescere, di costruire, di scoprire con i nostri occhi cose che, nella nostra breve vita, difficilmente incontreremo, se non siamo noi ad andarle a cercare.

Viaggiando scopriamo delle parti di noi latenti, ad esempio se viviamo in una grande metropoli connotata da traffico, caos, inquinamento acustico, ambientale, finché non proveremo ad andare in un luogo tranquillo e desolato, difficilmente sapremo se realmente lo preferiamo alla nostra attuale dimora.

Sperimentare, cambiare, andare all’estero, se ne si ha la possibilità, dove parlano una lingua totalmente diversa dalla nostra è una sfida contro noi stessi che vorremo a tutti i costi insegnare la nostra lingua, mentre, sì, saremo costretti a stare attentissimi agli occhi, ai gesti, alle espressioni e con le orecchie sempre vispe per capire l’altro. E chissà, la prossima volta che incontreremo, ad esempio, un inglese sapremo dirgli per lo meno “Hello, my name’s is Sofia” oltre che fargli un cenno con la mano.

Respirare aria nuova serve a staccare dal quotidiano, a respirare a pieni polmoni la libertà, al fine di poter poi rientrare, sì con la depressione tipica post-vacanza, il disperato ritorno alla realtà, ma con la voglia d’impegnarci sempre più nel nostro lavoro nell’attesa di una nuova affascinante vacanza.

Il termine “vacanza” viene dal latino “vacare” essere vuoto, libero, libero da pensieri, alle volte bisogna svuotare il cervello e mollare l’attenzione ed il controllo costante delle cose, abbandonarci all’imprevisto ed accoglierlo con gioia: ad esempio se dobbiamo andare al mare, ma perdiamo il pullman è una buona occasione per fare un giro della città. Se l’aereo ritarda, ci faremo un giro nei negozi dell’aereoporto o coglieremo l’occasione per approfondire la conoscenza del nostro compagno di viaggi.

Le tanto agognate ferie, per i fortunati che le hanno, hanno quindi un ruolo catartico all’interno della propria vita, guardare nuovi colori, nuovi visi, ci aiuterà nella vita quotidiana a migliorare la nostra prospettiva, a prendere in considerazione anche altri punti di vista, amplierà così la nostra capacità di problem solving in quanto non avremo un’unica soluzione al problema, ma prenderemo in considerazione più possibilità.

Viaggiare non significa necessariamente andare all’estero, ma anche andare a cena dal proprio vicino marocchino assaporando gusti diversi ed ascoltando usi e costumi differenti. Significa anche semplicemente fare 5 km dal proprio paesello o fare una semplice passeggiata in quel quartiere lontano dove abita la mia amica.

Non dobbiamo essere dei semplici e banali turisti, ma dei viaggiatori, sempre, anche nel tragitto per andare a lavoro, dobbiamo provare ad assaggiare la pasta col ketchup (coscienti che non ci piacerà), cibi con la cipolla ovunque, scoprire il mondo infinito delle spezie, imparare da ciò che è diverso da noi, è un’avventura che dura tutta la vita.

Scoprire nuovi mondi ci permetterà nei momenti di duro ed assiduo lavoro, quelli in cui ci sentiamo stressati ed insoddisfatti, di viaggiare con la mente, avere fantasie colorate con scenografie fascinosamente surreali.

Miriam Cassandra, Psicoterapeuta cognitivo-interpersonale


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