Conseguenze psicologiche di un lavoro che non ti gratifica

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Il lavoro nobilita o debilita l’uomo?

Nella piramide di Maslow il lavoro, dopo la realizzazione dei bisogni fisiologici: fame, sete, sonno, termoregolazione, ecc., e di salvezza, sicurezza e protezione, permette di soddisfare i bisogni di stima, prestigio e successo e la realizzazione di sé.

Ciò significa che saremo davvero felici se riusciamo ad appagare non solo i nostri bisogni primari, istintuali, ma anche quelli secondari.

Il lavoro presuppone un contributo economico, ovvero un rinforzo positivo al nostro operato, il che ci permette non solo di realizzare i nostri desideri, ma anche di sentirci premiati di quello che abbiamo fatto, accrescendo la nostra autostima e motivandoci a far sempre meglio.

Viviamo in una società consumistica, per cui avere uno stipendio è fondamentale per sopravvivere: fare la spesa, affittare una casa, pagare gli studi, viaggiare, vestirsi. La remunerazione economica è quindi indispensabile per avere una vita dignitosa.

Spesso può capitare però che il nostro impegno non venga premiato nella giusta maniera o che per nostra scelta decidiamo di svolgere attività di volontariato. Il volontariato è sempre e comunque un lavoro perché richiede tempo, disponibilità, preparazione, impegno, nella stessa misura in cui fosse retribuito. La soddisfazione personale di fare qualcosa per il prossimo va a compensare l’assenza di un contributo economico, il volontariato non è quindi un hobby o un passatempo, ma qualcosa che va ad affiancarsi alla nostra principale attività o eventualmente a sostituirsi, nell’attesa di un’occupazione retribuita.

Quando invece, lo stipendio non è proporzionale al nostro impegno o il piacere di aiutare gli altri non è sufficiente a renderci felici, questa è una condizione che può causare insoddisfazione che a lungo termine può trasformarsi in burn out, peggiorando le proprie prestazioni, diventando un danno per l’azienda o il luogo di lavoro in cui si è assunti.

Quando entriamo in questa situazione di stress ne risente la nostra mente ed il nostro fisico, ci sentiremo sempre stanchi e annoiati, verrà meno la motivazione e la voglia di fare qualunque cosa, provocando malessere anche nelle relazioni interpersonali. Se non riconosciuto in tempo e se non facciamo nulla per cambiare lo stato delle cose ovvero cambiare lavoro, accettare la condizione lavorativa in cui ci si trova, risolvere i conflitti con i propri superiori ed i propri colleghi, possiamo incorrere in sintomi come l’insonnia o patologie come la depressione.

Le 4 fasi del burnout:

  1. entusiasmo idealistico:
    voglia di aiutare gli altri, di sentirsi utili socialmente e di mettersi in gioco.
  2. Stagnazione:
    le aspettative non vanno di pari passo con la realtà, si iniziano a riconoscere le cose che non vanno ed a normalizzare la situazione.
  3. Frustrazione:
    senso di inadeguatezza, percezione di esser sfruttato, oberato e non giustamente valorizzato, con atteggiamenti di fuga dal contesto lavorativo (ad esempio malattie ingiustificate, esubero di ferie, non partecipazione ai momenti di convivialità tra colleghi come le cene di lavoro, e aggressività nei confronti dei colleghi.
  4. Apatia:
    rassegnazione, assenza di motivazione di crescita professionale, di obiettivi, fino a causare la così detta morte professionale, si rimane sempre nello stesso ruolo, senza far nulla per migliorare.

Altre cause potrebbero essere ad esempio la mancanza di correlazione tra i propri studi universitari e quindi le proprie aspettative e il lavoro (grazie al cielo) trovato. Il fatto di non fare un lavoro non in linea con i propri studi porta a sminuire il proprio lavoro, a non impegnarsi adeguatamente ed ad attendere che un cambiamento arrivi magicamente dall’alto, come un fulmine che colpisce proprio te.

Bisognerebbe invece impegnarsi nel lavoro che si fa come se fosse quello per cui si ambisce 

Bisogna cercare di dare il meglio sempre e comunque, anche se vogliamo fare il medico, mentre invece facciamo lo spazzino. Fare lo spazzino, ad esempio, non va a togliere qualcosa alla nostra identità, non va a non renderci dei buoni medici, posso essere un ottimo spazzino ed allo stesso tempo un ottimo chirurgo. Purtroppo viviamo in una società poco meritocratica, per cui bisogna sgomitare per farsi valere ed avere un atteggiamento pro-sociale con tutti, anche con quelli che proprio ci stanno antipatici, fare buon viso a cattivo gioco, alle volte ingoiare che qualcuno vada avanti nonostante tu sia molto più preparato e motivato.

Non dobbiamo mai mollare, perchè se ci facciamo condizionare dal fatto che ad esempio il nostro collega fa quello che noi vorremo fare solo perchè è figlio di, questo deve darci la carica per far ancor meglio e farci notare per quanto siamo bravi e se non lo siamo ancora, se studiamo, ci impegniamo, diamo sempre il massimo, arriverà qualcuno che ci riconoscerà e ci darà una possibilità.

 

Miriam Cassandra, Psicoterapeuta cognitivo-interpersonale


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