Una donna dovrebbe essere due cose: chi e cosa vuole

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Il ruolo della donna all’interno della società ha negli ultimi anni subito un notevole cambiamento. Una forte spaccatura rispetto al passato si ha solo dopo la seconda guerra mondiale, epoca in cui le donne lavoratrici diventano sempre di più, ciò va a modificare pian piano la classica idea dell’ideale di donna come casalinga, ma resta invariato il concetto, tutt’oggi presente, che la figura femminile sia più predisposta ai lavori di cura e assistenza; si pensi al ruolo di maestra, infermiera o di baby sitter.

Nonostante la rigidità dei ruoli assegnati, il passaggio da donna-casalinga a donna-lavoratrice segna un’importante trasformazione che si ripercuote nell’idea tradizionale di famiglia, questa trasformazione in termini sociali comporta una grande fonte di disagio all’interno della classica coppia e di conseguenza una significativa instabilità familiare.

La donna per troppo tempo ha realizzato sé stessa attraverso l’uomo

La donna per molto, troppo tempo ha realizzato sé stessa attraverso l’uomo, i figli, il proprio marito. Una donna realizzata era una donna madre, casalinga, rispettosa del proprio partner, che gestiva la casa in maniera pulita e ordinata e che aveva pochi e risicati contatti sociali. La gestione economica era sempre affidata al marito, perché era lui che lavorava e lui che aveva il potere di decidere cosa fare dei soldi e come investirli, omaggiando generosamente la donna di una quota per la sopravvivenza e per l’accudimento dei figli comuni. La donna pulisce, l’uomo lavora e porta i soldi a casa.

Una buona donna era una donna che sapeva comportarsi, composta, che sapeva stare al suo posto, che sapeva quando parlare e cosa dire, poche ed essenziali parole, ma buone. La donna esisteva, prendeva forma tramite l’uomo, un buon uomo aveva alle spalle sicuramente una valida donna.

La casa, i figli, il marito erano tutto. “Mi sento donna in quanto madre, in quanto moglie, in quanto angelo del focolare. Ma se mio marito mi lascia, resto pur sempre una donna? Come farò se non lavoro a sostenere me stessa e i miei figli? E se i miei figli vanno a vivere fuori e posso accudirli solo da lontano, resto comunque una donna felice? Se la casa non è mia dove vado andrò a vivere? Sono in grado di essere me stessa se non attraverso l’altro? Posso bastare a me stessa?”

Molte donne nel passato, ma altrettante ancora oggi, subiscono questo ricatto morale in cui vivono attraverso la felicità dell’altro, esistono solo in ombra a qualcuno. Ma dov’è la loro anima, esiste? Visceralmente tutte noi donne portiamo questo modo di vivere che ha caratterizzato i secoli scorsi incastrato tra le nostre doppie punte, incastonato nelle nostre papille gustative. Facciamo ancora fatica a sentirci donne se non siamo madri, ci sentiamo spesso a metà se non abbiamo un uomo a fianco. I social non fanno che incrementare questo senso di frustrazione: vedere coppie felici con figli felici e sorridenti, ci fa sentire sempre più sole ed è proprio in quel momento che dimentichiamo chi siamo.

Siamo, molte, delle professioniste, siamo delle donne che hanno scelto di investire nel proprio futuro, che hanno scelto di essere innanzitutto autonome economicamente e di non dipendere da nessuno. Siamo donne che non possono accettare di essere controllate da nessuno. Guadagniamo i nostri soldi e scegliamo come spenderli, pur fosse in rossetti e in borse firmate, non dobbiamo render conto a nessuno, sì, proprio a nessuno.

L’emancipazione economica

Essere delle lavoratrici significa inevitabilmente sacrificare per un periodo della propria vita, per costruirsi un futuro più concreto. In questo periodo in cui tentiamo di costruirci una carriera, spesso finiamo per lavorare gratis o a paga minima, anche per anni, il tempo in cui facciamo fotocopie presso l’azienda dei nostri sogni sperando un giorno di diventare dirigenti, il tempo in cui il libro è il primo alleato, il tempo in cui si passano giornate intere all’università, nei treni coi libri in mano e l’evidenziatore in tasca. Quel tempo in cui vogliamo vivere, ma trovare qualcuno pronto a vivere in questo marasma emotivo in cui neanche tu sai ancora chi vuoi essere, chi sarai e dove sarai e dove vorrai essere è un po’ difficile.

All’apparenza, è tutto invece è più facile quando non si hanno obiettivi precisi di vita, si sceglie di seguire il proprio compagno ovunque lui vada, si accettano i compromessi perché sarà lui a guadagnare e gestire i “soldi di famiglia”, ma al contempo ci si può concedere il lusso di godere dei propri figli, non dover essere stressati dal lavoro e andare il sabato sera in pizzeria, pizza offerta dal marito, ovvio.

Ciò non significa che una donna che non lavora non è un buon esempio di donna, non è affatto semplice trovare lavoro al giorno d’oggi, essere madri è altrettanto un’ambizione difficile e molte donne lavoratrici purtroppo non potranno vivere la maternità come ce l’hanno spiegata nelle favole: con un principe azzurro che ci sveglia dal grande sonno. Ma… dobbiamo svegliarci da sole, non dobbiamo aspettare che con un bacio ci svegliamo dal torpore di una vita in cui non siamo noi stesse.

Solo una volta che abbiamo conquistato la nostra tanto agognata autonomia e capito (a grandi linee) chi siamo e dove vogliamo andare, solo quando possiamo essere noi stesse con le nostre gambe allora possiamo accogliere qualcuno a rendere la nostra vita un po’ più spassosa.

Miriam Cassandra, Psicoterapeuta cognitivo-interpersonale
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